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Una festa per Albino Pierro Il poeta, nato aristocratico e benestante, ebbe un'infanzia molto travagliata… |
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Era il 19 novembre 1916, "mia madre, morì poco dopo la mia nascita" raccontò poi il poeta e anche io "venni dato per morto". "Mi avevano già vestito e messo nella bara. La nutrice disse d'aver udito…
Immagine a lato: Albino Pierro |
"Come un pianto nascosto... Albino Pierro e la terra del ricordo", è il nome della serata, patrocinata dall'Ambasciata di Svezia, dal Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali, dal Comune di Tursi e il Centro Studi "Albino Pierro" tenutasi il 16 settembre 2009 a Roma. Era il 19 novembre 1916, "mia madre, morì poco dopo la mia nascita" raccontò poi il poeta e anche io "venni dato per morto". "Mi avevano già vestito e messo nella bara. La nutrice disse d'aver udito, a un tratto, il grido di mia madre morta. Io ne fui riscosso e tornai a vivere. Me lo riferiscono le mie zie. Ero troppo piccolo per ricordare". "La mia nutrice non aveva quasi latte. E mi davano alle donne del paese, madri fresche, per una poppata. Ancora oggi, quando torno a Tursi, incontro vecchiette che mi ricordano il debito: «Don Albine, io ti ho dato il latte»". Laureto in lettere e professore per professione iniziò a pubblicare poesie nel 1946. La sua "conversione" al dialetto avvenne con la raccolta "'A terra d'u ricorde" (1960), che scrisse in tursitano, l'idioma del suo paese. Un dialetto dalle antiche origini saracene che non era stato mai codificato in forma scritta. Nel 1976 ha vinto il "premio Carducci" per la poesia. Nel 1986 e nel 1988 fu vicino alla vittoria del Premio Nobel per la Letteratura, essendo stato riconosciuto un grande poeta anche all'estero. Ricevette nel 1992 la laurea honoris causa dall'Università della Basilicata. Il 23 marzo 1996, ad un anno esatto dalla scomparsa, il Consiglio Comunale, ha proclamato Tursi "Città di Pierro" e intitolato a lui l'Istituto Comprensivo di scuola Materna, Elementare e Media. Al Comune di Tursi Pierro ha donato la sua casa e la biblioteca contenente migliaia di libri. Secondo Giovanni Caserta “il caso letterario di Albino Pierro meriterebbe una attenta analisi soprattutto in merito al fatto che egli sia molto noto negli ambienti dotti e accademici, e che a livello di pubblico comune, invece, il suo nome è poco conosciuto. Nel 1960 il mondo lirico italiano era dominato dalla terna Montale-Ungaretti-Quasimodo. C'era poco spazio per una voce nuova e diversa. Forse fu anche per questo che Albino Pierro fece la scelta, ardita e provocatoria, di assumere a strumento di espressione una "lingua" assolutamente sconosciuta e inedita, cioè il dialetto tursitano, incomprensibile a chi non era tursitano, e anzi, nella forma data da Pierro, a gran parte degli stessi tursitani. Si trattava di una scelta di tipo sperimentale, perché identica era l'aspirazione a puntare ogni sforzo sulla forma, esattamente come accade in una qualsiasi officina o laboratorio. Che si trattasse di sperimentazione pura in una lingua tutta diversa, lo diceva l'esigenza di affiancare al testo dialettale la traduzione in lingua italiana, spesso curata dallo stesso Pierro. Tema costante, intorno a cui quelle poesie giravano, era quello del villaggio-infanzia, contrapposto a quello della civiltà e della città, della ragione e della coscienza. In tale contrapposizione, però, il paese non era quello di Pavese, o Quasimodo, e nemmeno quello di Sinisgalli e Rocco Scotellaro. A Pierro mancava una approfondita e originale "filosofia" della vita, e mancava una ideologia politico-sociale. Perciò non andò, quanto ai contenuti, oltre la rappresentazione impressionistica o espressionistica di Tursi, che era ridotto a "terra del ricordo", ovvero a nomenclatura di molteplici episodi i più diversi, i più curiosi ed estranei ai più. Vi comparivano, indifferentemente, l'asino e il porco, gli ubriachi e gli innamorati, il palazzo baronale e la Rabatana, il prete e la vecchia infagottata, la fontanella e il passerotto, il matrimonio e il funerale, tutti colti nella loro esteriorità di epifenomeni”. Nel 1985 il poeta, ormai notissimo in molti paesi, fu invitato a Stoccolma dall'università della capitale scandinava, a recitare le sue poesie in tursitano. Una lezione che, registrata, ancora oggi è a disposizione degli studiosi. "Mi hanno detto che uno di loro ama recitare una mia poesia, ma non in svedese, in tursitano", confidò Pierro. E’ stato tradotto in svedese dallo stesso traduttore di Dante, Virgilio e Giacomo Leopardi ed è stato recitato da grandi attori del teatro di Bergman. Da qui gli elementi preliminari che hanno determinato la realizzazione della serata in ricordo di Albino Pierro. La presentazione, ideata e diretta dalla regista Maria Luisa Fiorenza, è stata veramente avvincente ed emozionante come pure la disposizione teatrale. Vedendo dalla platea a destra si aveva la Coli, voce recitante in italiano, a sinistra la Ekmanner ed al centro uno schermo da cui compariva in video Albino Pierro, più vitale che mai, a recitare le sua poesie. In scena anche l’accompagnamento musicale costituito da un violoncello. Lo spettacolo, che è stato preceduto da un dibattito su Albino Pierro, è partito su un ritmo di gioco a schemi sempre diversi. Prima Aneta, poi a Coli, poi Albino e viceversa. Sino ad arrivare al vero pezzo di bravura delle due attrici che hanno recitato insieme ad Albino Pierro dal video. Così in contemporanea si sono avuti Albino Pierro in tursitano, Aneta Ekmanner in svedese e Claudia Coli in Italiano, che declamavano la stessa poesia. Emozioni fortissime, anche per la immediatezza dei testi, sottotitolati in italiano, che arrivavano dirette ai sensi degli spettatori.
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