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I cavalli di Leonardo “di tutti gli animali addomesticati dall’uomo il cavallo è il solo ad essergli compagno e socio” (Filippo, Duca di Edinburgo) |
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“commo l’admiranda e stupenda equestre statua la cui altezza dalla cervice a piana terra sono braccia dodici... e tutta la sua ennea massa a libre circa duecentomila ascende... a sanctissima invicta vostra paterna memoria dedicata...”
Immagine a lato: Cavallo impennato con cavaliere bronzetto attribuito a Leonardo, Budapest, Museo delle Belle Arti |
Erano innamorati, quei gran Signori e Condottieri del Rinascimento, del nobile e coraggioso animale, il cavallo, che nei tornei, nei trionfi, nelle cacce ma anche sui campi di battaglia ne assecondava le gesta: tanto che ne affidarono la memoria dell’immagine ai massimi artisti di quella felicissima stagione del genio italico.
Nel 1500 Leonardo ritorna a Firenze con soste a Mantova, Venezia e in Romagna: vi resterà fino al 1506. In questo periodo detto secondo fiorentino (1500-1506) ricco di opere nel campo della pittura – da Sant’Anna alla Leda inginocchiata – due sono i gruppi di studi del cavallo, finalizzati l’uno all’affresco della Battaglia di Anghiari, l’altro al Nettuno. Di quest’ultimo restano solo due disegni, il primo di Nettuno sul cocchio tirato da quattro cavalli marini (RL 12570), poi completato a Milano tra il 1506 ed il 1508, e l’altro relativo alla fontana del Nettuno (RL 12591r) nel quale si vorrà notare una figura sicuramente ispirata al Davide di Michelangelo che è del 1504, esattamente 500 anni fa. Dei disegni per la Battaglia di Anghiari verranno qui presentati questo stupendo studio di cavallo impennato in matita rossa e tracce di penna (RL 12336r) che è ritenuto il punto di partenza per il gruppo “Lotta per lo stendardo” (RL 12339r). è qui di particolare interesse lo studio della fisionomia del cavallo, del suo atteggiamento di “ferocia” come si addiceva ad una lotta cruenta, coinvolgente in eguale misura la coppia cavaliere-cavallo, davvero un’unità funzionale nella quale è difficile separare l’uno dall’altro (penna ed acquarello RL 12326r). La straordinaria plasticità ed il dinamismo del gruppo di uomini e cavalli, lodato dai contemporanei e da coloro che ebbero ancora possibilità di vedere l’affresco di Palazzo Vecchio, anche se ormai in corruzione, sopravvivono nel cartone di Pieter Paul Rubens oggi al Louvre, derivato dai cartoni, forse del 1600, anno del suo arrivo in Italia. È di questi giorni la notizia del “possibile” ritrovamento dell’originale leonardiano sotto l’affresco del Vasari de La battaglia di Marciano in val di Chiana (1563). Tornato a Milano nel 1506 Leonardo ebbe dai Francesi numerosi incarichi di architettura ed ingegneria, tanto da essere nominato nel 1507 peintre et ingénieur di Luigi XII. È di questo periodo il progetto di monumento equestre al nobile GianGiacomo Trivulzio, Maresciallo di Francia. La serie di disegni di Leonardo bene si riassume in questa pagina di Windsor (RL 12355r): come si vede anche in questo progetto Leonardo insiste sulla figura del cavaliere-cavallo che travolgono il nemico caduto. Della sua destinazione abbiamo certezza, dopo gli studi di Kenneth Clark (1935) che ha collegato questi disegni con un preventivo di spesa di Leonardo che si trova nel Codice Atlantico (Atl. f. 489r nuova class.). Anche questo monumento equestre, al pari del Cavallo Sforza, non ebbe fusione in bronzo: era destinato alla Cappella Trivulzio in San Nazaro in Brolo, una delle quattro chiese extramurali fondate da Ambrogio. Decisamente Leonardo non aveva fortuna nella scultura e nella statuaria! D’altra parte è noto che secondo non pochi leonardisti sarebbe “del tutto improprio e tuttora improponibile quello di un Leonardo scultore” (P.C. Marani, da ultimo 1999). Continuò nondimeno studi sulle proporzioni e sul movimento del cavallo anche a Roma (1513-1516): una passione perciò di tutta la sua lunga vita, conclusasi in Francia a Cloux il 2 maggio 1519. Non ci resta di lui nessun bronzo, nessuna scultura, essendo perduto oltretutto il modello in creta del monumento Sforza. Attribuito a Leonardo è un modellino di cavallo rampante con cavaliere che si trova al Museo Nazionale di Budapest e che sicuramente, secondo il noto leonardista Pietro C. Marani che l’ha esaminato direttamente nel 1992, deriva da un disegno di Leonardo, il miglior “candidato a sostenere l’autografia leonardesca”. Per altri bronzetti analoghi, in accurati studi (1992, 1999 e 2001) Marani è giunto a pensare ragionevolmente ad una collaborazione tra Leonardo e lo scultore Giovan Francesco Rustici, in particolare in base a disegni alla Royal Library relativi al “Cavallo” Sforza e altri ve ne sono di analogo impianto al Museo del Bargello a Firenze. Milano, anche se privata delle due statue equestri progettate da Leonardo, ha ricevuto in dono nel 1999, cinquecento anni dopo la distruzione del modello del “Cavallo Sforza”, una colossale statua in bronzo di un cavallo, ispirata ai disegni leonardiani, opera della scultrice giapponese Nina Anaku; la statua venne fusa vicino a New York, omaggio della Leonardo da Vinci’s Horse Inc.: il bell’oggetto (del costo di tre milioni di dollari), di buona fattura, figura oggi su un basso piedistallo all’ingresso dell’Ippodromo milanese di San Siro. È il ricordo di un Genio, la cui memoria è particolarmente sentita in un periodo caratterizzato dalla tecnica, che credo non sarebbe dispiaciuto a Leonardo. Preferisco tuttavia chiudere queste brevi note su I Cavalli di Leonardo, ricordando quanto Marguerite Yourcenar, l’ultimo epigono dell’Umanesimo, dice del cavallo in libertà, con pensiero laico, ma per certo non blasfemo: essere cioè una delle trenta voci con le quali si può chiamare Dio. Ne abbiamo un mirabile esempio proprio in questo Salone dei Cavalli di Palazzo Te. Fu nel Quattrocento il cavallo l’espressione tipica ed esaltante della forza e della velocità non meno che della bellezza: non stupisce perciò l’interesse che l’uomo, e segnatamente l’Artista, ha riservato a questa veramente straordinaria creatura, capace di evocare al contempo sentimenti di potenza e di armonia spesso ineguagliabili quando montato da un provetto cavaliere. Il presente contributo si volge ad un affascinante tema, quello de I cavalli di Leonardo da Vinci. L’interesse di Leonardo per la rappresentazione del cavallo fu costante per tutta la sua vita artistica, il che equivale a dire tutta la sua lunga esistenza. Sicché converrà seguire, nel presentare questa parte dell’opera sua sconfinata, un criterio a prevalenza cronologico. Sottolinea Jane Roberts, curatore della mostra I Cavalli di Leonardo (Firenze, 1984) come gli uomini dell’Umanesimo ritenevano il cavallo secondo solo all’uomo come soggetto di interesse culturale ed artistico. Già Leon Battista Alberti nel suo De equo animante aveva raccolto il pensiero degli Antichi e degli uomini del Medioevo sull’argomento, senza trascurare gli studi veterinari. Ciò a dimostrazione dell’interesse che il tema allora suscitava e che a Leonardo faceva scrivere (Ms.K3 di Parigi, f.109v) “qui fo me ricordo di dimostrare la differenzia ch’è dell’omo al cavallo…”, anche come canone di proporzioni, in analogia con quanto l’Alberti aveva fatto per l’Uomo. Nella bottega del Verrocchio – nel suo primo periodo fiorentino 1470-1482 – Leonardo ebbe commissioni per le cosiddette Adorazioni giovanili, quella dei pastori (1476) e quella dei Magi, ora agli Uffizi (1481-82). Fece per queste disegni preparatori di cavalli, i più antichi che di lui si conoscano, oggi alla Royal Library di Windsor Castle. Qui si presentano tre di questi studi sicuramente relativi a questo periodo: a) disegno a punta di piombo con ripassi a penna (RL12324); b) disegno a punta metallica su carta preparata color arancione (RL12325); c) disegno a punta metallica (RL 12315): lo studio si riferisce ad un cavallo impennato, di slanciata eleganza. Quest’ultimo disegno trova riferimento al particolare nell’angolo destro in alto dell’Adorazione dei Magi degli Uffizi. Per esso è stata posta analogia con uno dei due Colossi di Monte Cavallo (l’odierno Quirinale) a Roma, detti anche Opus Praxitelis, le statue dei Dioscuri che trattengono i loro cavalli, provenienti dal Tempio di Serapide costruito da Caracalla nel 217 d.C., copie romane di originali greci del V Secolo a.C. Delle statue esiste a Windsor un’incisione di mano di Raffaello, molto nota all’epoca di Leonardo e probabilmente da lui conosciuta. Di particolare interesse lo studio di teste di cavallo (RL 12285), una punta metallica (fotografia ai raggi UV): si noterà l’atteggiamento di “ferocia” del cavallo, la sua fisionomia in armonia con quello che doveva essere l’atteggiamento del cavaliere in battaglia. È assai probabile che Leonardo abbia visto nel giardino di Palazzo Medici due antiche teste colossali di cavallo in bronzo, proprietà di Lorenzo. È anche possibile che abbia potuto incontrare a Palazzo Ludovico Sforza, in quel periodo in esilio a Pisa (1477-1479). Una premonizione per il “Cavallo” Sforza? Oltre al problema della fisionomia del cavallo, Leonardo si occupò ben presto infatti di quello delle proporzioni: purtroppo il libro sull’anatomia e le proporzioni del cavallo andò perduto, con ogni verosimiglianza in occasione dell’ingresso dei Francesi a Milano nel 1499. Questo Trattato, nel quale Leonardo aveva raccolto i suoi disegni anatomici e di proporzioni del cavallo, fu originato, secondo Vasari, dalla necessità di studi per la realizzazione del Cavallo Sforza, il “Cavallo” per eccellenza: è ricordato anche dal Lomazzo che probabilmente vide qualche foglio salvato oppure studi successivi al 1499. Sempre nell’àmbito dello studio delle proporzioni si veda questo splendido disegno dal vero di un cavallo di profilo e di trequarti, una punta metallica su carta preparata azzurra (RL 12321). Per gli studi di proporzione Leonardo ideò più tardi un singolare compasso che consentiva riproduzioni corrette dei disegni in varie scale. Sempre sulle proporzioni si presenta qui il disegno a punta di piombo con ripassi a penna (RL 12318r). A Milano alla Corte sforzesca dal 1482 al 1499, il primo periodo milanese, Leonardo si applicò con ondivago interesse agli studi per il monumento equestre a Francesco Sforza, padre di Ludovico. Per lo studio dal vero Leonardo aveva a disposizione modelli delle più varie razze presenti nelle scuderie del Duca e del Sanseverino di lui genero, appassionato di allevamenti ed incroci. Viene qui presentato il bellissimo cavallo impennato e cavaliere che travolgono un nemico, punta metallica su carta preparata colorata di azzurro (RL 12358r). Di singolare interesse è il disegno di cavallo al passo, ora alla Royal Library al n° 12345r, proveniente dal Codice Atlantico (Atl. f. 99r nuova class.): nel testo Leonardo ricorda di aver visto e schizzato (1488 o 1490) il famoso Regisole di Pavia, statua equestre del I secolo forse relativa a Marc’Aurelio. Si fa notare che il cavallo del disegno è al passo mentre è noto che il Regisole era in ambio, come i cavalli di San Marco. Forse di qui Leonardo trasse l’idea per il secondo progetto del monumento Sforza. Conferme in questo senso vengono anche dal Ms. Madrid II (f. 151v). È infatti assai probabile che Leonardo considerasse il cavallo al passo dotato di quella “vivacità naturale” che manca all’ambio, in realtà passo di addestramento. È qui interessante ricordare che nell’Abbazia vallombrosana di S. Lanfranco fuori Pavia, opera dall’Amadeo (1489) presentante spunti architetturali vinciani (F. Malaguzzi Valeri, 1904), l’arca del Santo posta al centro dello spazio absidale, in un pannello posteriore detto del miracolo dell’impiccato “si staglia con rilievo delicato l’eccezionale figura di un cavaliere, citazione puntuale di un disegno di Leonardo, realizzata certamente mentre egli si trovava alla corte di Ludovico il Moro forse verso gli anni Novanta” (M. Giuseppina Malfatti, 1992): debbo l’illustrazione alla cortesia della Prof. Malfatti! Abbiamo notizia (Luca Beltrami) che l’Oratore fiorentino a Milano nell’estate 1489 riferiva a Lorenzo de’ Medici che l’Artista stava facendo un “grandissimo modello” in creta del Cavallo: qualche dubbio restava sulla capacità da parte di Leonardo di portarne a buon fine la fusione, della quale ci restano disegni tecnici di sua mano. Che il problema della fusione di un monumento così colossale quale il “Cavallo Sforza” fosse per Leonardo una “preoccupazione professionale” è documentato infatti dal fascicolo di 17 fogli posto alla fine dei Ms. Madrid, tutto dedicato a tale argomento. Nel novembre 1493 il modello era pronto per la fusione: in quell’occasione il “Cavallo” fu paragonato in senso elogiativo ai famosi Colossi di Monte Cavallo, assai celebrati nel Rinascimento come si è detto in precedenza. Il monumento, secondo i dati di Luca Pacioli, era alto 12 braccia, cioè 7.20 metri. La enorme quantità di bronzo necessaria per la fusione, calcolata in 160.000 libbre cioè circa 70 tonnellate, l’anno successivo (1494) fu inviata, per fondere cannoni, da Ludovico allo suocero Ercole d’Este, Duca di Ferrara, la cui passione e competenza in quell’arte erano note ed apprezzate in tutta Europa. Una ripresa di studi e di interesse alla fusione si ebbe nel 1498. Sembra in realtà che il modello in creta Leonardo l’avesse trasferito nel suo studio, probabilmente prossimo alla Curia dell’Arengo, al Muro Rotto, l’attuale Via Larga, e successivamente collocato nella sua vigna alle Grazie. L’ingresso dei Francesi a Milano (1499), il mancato accoglimento da parte di questi della richiesta di Ercole d’Este (1501) di acquistare la forma di fusione da utilizzare verosimilmente per un monumento equestre da erigersi in Ferrara, furono esiziali per il modello che iniziò a guastarsi e fu preso a bersaglio dagli archibugeri guasconi e finalmente distrutto verosimilmente già alla fine del 1499. Nel 1500 Leonardo ritorna a Firenze con soste a Mantova, Venezia e in Romagna: vi resterà fino al 1506. In questo periodo detto secondo fiorentino (1500-1506) ricco di opere nel campo della pittura – da Sant’Anna alla Leda inginocchiata – due sono i gruppi di studi del cavallo, finalizzati l’uno all’affresco della Battaglia di Anghiari, l’altro al Nettuno. Di quest’ultimo restano solo due disegni, il primo di Nettuno sul cocchio tirato da quattro cavalli marini (RL 12570), poi completato a Milano tra il 1506 ed il 1508, e l’altro relativo alla fontana del Nettuno (RL 12591r) nel quale si vorrà notare una figura sicuramente ispirata al Davide di Michelangelo che è del 1504, esattamente 500 anni fa. Dei disegni per la Battaglia di Anghiari verranno qui presentati questo stupendo studio di cavallo impennato in matita rossa e tracce di penna (RL 12336r) che è ritenuto il punto di partenza per il gruppo “Lotta per lo stendardo” (RL 12339r). È qui di particolare interesse lo studio della fisionomia del cavallo, del suo atteggiamento di “ferocia” come si addiceva ad una lotta cruenta, coinvolgente in eguale misura la coppia cavaliere-cavallo, davvero un’unità funzionale nella quale è difficile separare l’uno dall’altro (penna ed acquarello RL 12326r). La straordinaria plasticità ed il dinamismo del gruppo di uomini e cavalli, lodato dai contemporanei e da coloro che ebbero ancora possibilità di vedere l’affresco di Palazzo Vecchio, anche se ormai in corruzione, sopravvivono nel disegno di Pieter Paul Rubens oggi al Louvre e che dovrebbe essere del 1600, anno del suo arrivo in Italia. Tornato a Milano nel 1506 Leonardo ebbe dai Francesi numerosi incarichi di architettura ed ingegneria, tanto da essere nominato nel 1507 peintre et ingénieur di Luigi XII. È di questo periodo il progetto di monumento equestre al nobile GianGiacomo Trivulzio, Maresciallo di Francia. La serie di disegni di Leonardo bene si riassume in questa pagina di Windsor (RL 12355r): come si vede anche in questo progetto Leonardo insiste sulla figura del cavaliere-cavallo che travolgono il nemico caduto. Della sua destinazione abbiamo certezza, dopo gli studi di Kenneth Clark (1935) che ha collegato questi disegni con un preventivo di spesa di Leonardo che si trova nel Codice Atlantico (Atl. f. 489r nuova class.). Anche questo monumento equestre, al pari del Cavallo Sforza, non ebbe fusione in bronzo: era destinato alla Cappella Trivulzio in San Nazaro in Brolo, una delle quattro chiese extramurali fondate da Ambrogio. Decisamente Leonardo non aveva fortuna nella scultura e nella statuaria! D’altra parte è noto che secondo non pochi leonardisti sarebbe “del tutto improprio e tuttora improponibile quello di un Leonardo scultore” (P.C. Marani, da ultimo 1999). Continuò nondimeno studi sulle proporzioni e sul movimento del cavallo anche a Roma (1513-1516): una passione perciò di tutta la sua lunga vita, conclusasi in Francia a Cloux il 2 maggio 1519. Non ci resta di lui nessun bronzo, nessuna scultura, essendo perduto oltretutto il modello in creta del monumento Sforza. Attribuito a Leonardo è un modellino di cavallo rampante con cavaliere che si trova al Museo Nazionale di Budapest e che sicuramente, secondo il noto leonardista Pietro C. Marani che l’ha esaminato direttamente nel 1992, deriva da un disegno di Leonardo, il miglior “candidato a sostenere l’autografia leonardesca”. Per altri bronzetti analoghi, in accurati studi (1992, 1999 e 2001) Marani è giunto a pensare ragionevolmente ad una collaborazione tra Leonardo e lo scultore Giovan Francesco Rustici, in particolare in base a disegni alla Royal Library relativi al “Cavallo” Sforza e altri ve ne sono di analogo impianto al Museo del Bargello a Firenze. Milano, anche se privata delle due statue equestri progettate da Leonardo, ha ricevuto in dono nel 1999, cinquecento anni dopo la distruzione del modello del “Cavallo Sforza”, una colossale statua in bronzo di un cavallo, ispirata ai disegni leonardiani, opera della scultrice giapponese Nina Anaku; la statua venne fusa vicino a New York, omaggio della Leonardo da Vinci’s Horse Inc.: il bell’oggetto (del costo di tre milioni di dollari), di buona fattura, figura su un basso piedistallo all’ingresso dell’Ippodromo milanese di San Siro. È il ricordo di un Genio, la cui memoria è particolarmente sentita in un periodo caratterizzato dalla tecnica, che credo non sarebbe dispiaciuto a Leonardo. Preferisco tuttavia chiudere queste brevi note su i Cavalli di Leonardo, ricordando quanto Marguerite Yourcenar, l’ultimo epigono dell’Umanesimo, dice del cavallo in libertà, con pensiero laico, ma per certo non blasfemo: essere cioè una delle trenta voci con le quali si può chiamare Dio.
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