Anno 8 - N. 23/ 2009


STORIA DELLA MEDICINA

LA MEDICINA CONVENTUALE Un presidio sanitario pubblico

Il monacus infirmarius tra la preghiera e l'orto dei semplici La cura del malato come dovere cristiano

di Francesco Piscitello




Uno dei più grandi intellettuali del VI secolo, Cassiodoro, consigliere di Teodorico con Simmaco e Severino Boezio, si ritirò dalla vita pubblica nel 540 per trascorrere gli ultimi anni della sua vita in Calabria a Vivarium, presso Squillace, nella prima collettività a carattere monastico del mondo occidentale da lui stesso fondata, sebbene ancora priva di una regola scritta: il Vivariense.
In oriente e in Egitto il monachesimo era già attivo da oltre due secoli. Proprio in Egitto, nella Tebaide, era sorta nel 320 la prima comunità di cinquemila cristiani provvista di una regola dettata da san Pacomio, che metteva già in luce la vocazione sanitaria dei monasteri. La comunità pacomiana prevedeva infatti un luogo isolato dove potessero essere ospitati i malati, alla quale si poteva accedere solo con un permesso speciale che doveva essere presentato ai ministri degli infermi. A costoro, che vivevano in questa specie di infermeria della quale avevano responsabilità, era interdetto l'accesso alle cucine e i malati non potevano entrare nei refettori: a differenza degli altri membri della comunità, invece, avevano libertà di prendere un bagno senza restrizioni. Di derivazione culturale ebraica ed egizia, dove il rito dell'abluzione rivestiva grande importanza, quest'ultima facilitazione - accanto all'insieme delle altre regole - testimonia del grande rilievo sanitario attribuito alle pratiche igieniche. La medicina fu subito importante anche nel Vivariense: ne è prova la presenza, fra i molti manoscritti di cui fu dotata dal suo colto fondatore la biblioteca della comunità, dell'opera di Dioscoride, di Ippocrate, di Galeno, di Celio Aureliano e di altri medici dell'antichità.

XENODOCHI E ARMARIA PIGMENTARIORUM
Quando ancora vi risiedeva, Benedetto da Norcia, contemporaneo di Cassiodoro, aveva dedicato il primo dei monasteri da lui fondati, quello di Subiaco, ai santi Cosma e Damiano. Una scelta rivelatrice del vero fondatore del monachesimo occidentale: Cosma e Damiano furono santi medici, protettori ancor oggi degli esercenti le arti sanitarie. La regola benedettina, condensata nel motto Ora et labora, prevedeva infatti che l'assistenza ai monaci infermi avesse la precedenza "avanti tutto e sopra tutto".
A Montecassino, dove più tardi san Benedetto si ritirò, esistevano le infermerie dove i malati ricevevano non soltanto assistenza corporea e spirituale come nel convento di san Pacomio, ma anche cure mediche vere e proprie. Queste richiedevano però conoscenze ed esperienza pratica, un sapere che andava appreso: e il monacus infirmarius aveva, tra i suoi compiti, anche quello di istruire nell'arte i confratelli che gli sarebbero succeduti, un abbozzo di scuola medica conventuale. Il monacus infirmarius non era necessariamente approfondito nella dottrina della quale pure esistevano nel convento, come si sa, testi anche di grande importanza: ma lo studio, l'approfondimento teorico erano più propri del monaco studioso che dell'infirmarius, il cui sapere era eminentemente pratico, empirico, artigianale ma forse, all'atto pratico, di assai maggiore utilità di quello del monaco colto che sulla malattia speculava filosoficamente e teologicamente senza che questo avesse una ricaduta pratica.
Man mano che il monachesimo si andava estendendo nello spazio e nel tempo e si arricchiva di nuovi ordini (cluniacense, 910; camaldolense, 977; di Vallombrosa, 1060; cistercense, 1098 etc.) le infermerie si organizzavano sempre meglio fino a divenire quegli "xenodochi", all'inizio puri e semplici asili per i pellegrini, che costituirono degli autentici ospedali aperti al popolo e non soltanto ai monaci infermi
Il monastero era autonomo anche dal punto di vista della produzione dei mezzi terapeutici. Nel terreno annesso al convento, accanto all'orto e al frutteto, esisteva un "orto dei semplici" nel quale venivano coltivate le piante medicinali che venivano essiccate e conservate nel grande armadio, l'armarium pigmentariorum, che non poteva mancare in un monastero degno di questo nome: claustrum sine armario est quasi castrum sine armamentarium.

LA LAICIZZAZIONE DELLA MEDICINA
Il monacus infirmarius non rivestiva, nel convento, un ruolo gerarchico particolarmente elevato: ma l'importanza della sua funzione finì presto per attribuirgli uno status un po' speciale. Per esempio, a differenza degli altri monaci, egli usciva non di rado dal convento, richiamato da una qualche necessità legata al suo ufficio. È facile comprendere che questo poteva fornire occasione di altre meno innocenti deroghe e che, di conseguenza, pontefici, concili, sinodi, furono indotti ad emanare norme limitative dell'esercizio della medicina da parte dei monaci fino al suo totale divieto.
Il concilio di Reims (1119), il V concilio di Clermont (1130) e il secondo lateranense (1139) sono particolarmente severi: il canone IX di quest'ultimo s'intitola Ut monachi et regulares canonici leges temporales et medicinam non discant. La medicina, come la pratica della legge civile, non solo non devono essere essere esercitate ma neppure apprese (1).
Le ragioni di tali divieti non sono solamente di ordine morale sessuale ma anche economico: non è difficile, per l'infirmarius spesso assente dal convento, contravvenire al voto di povertà oltre che a quello di castità. Ne fa esplicita menzione il concilio di Montpellier del 1162.
Naturalmente questi divieti non ebbero un successo esteso e totale: la diversità delle regole, l'esistenza di frati secolari, la stessa varietà degli atti medici si prestavano a discussioni pedanti e causidiche, come il medioevo amava fare, intorno al fatto che questo i quel confratello ricadesse o non sotto il divieto, che questa o quella pratica rientrassero tra quelle interdette.
Ma la medicina laica era alle porte. Non fu tuttava la pur prestigiosissima scuola salernitana, laica fin dal suo nascere, a sostituire la medicina conventuale: il suo raggio d'azione era necessariamente limitato, e poteva estendersi di là dal suo ambito territoriale solo per assistere i malati che, abbienti, potevano permettersi di avere al proprio capezzale un prestigioso esponente della scuola o fossero in gradi di recarvisi. Il vero concorrente laico dell'infirmarius cominciava ad essere colui che andava apprendendo l'arte nelle nascenti università il cui progressivo affermarsi segnò il declino del monastero come punto di riferimento sanitario.

L'IMPORTANZA DELLA MEDICINA MONASTICA
Per circa sei secoli, dalla fondazione del Vivariense al sorgere delle prime università, il monastero svolse l'importante funzione di unico presidio sanitario territoriale, al servizio di tutti e non solo dei confratelli sofferenti: una vera e propria istituzione pubblica. Salvo i nobili e ricchi, che potevano permettersi le cure del medico al proprio domicilio (a volte un infirmarius di buona reputazione), tutti potevano trovare assistenza e cure nel convento: contadini, religiosi, soldati, artigiani, popolo minuto.
Il merito dei monasteri non fu però soltanto quello di costituire l'unico luogo al quale ricorrere in occasione della malattia. Le biblioteche erano ricche di manoscritti, molti dei quali recanti il testo di importanti opere mediche dei periodi precedenti che l'amanuense replicava e lo studioso consultava, chiosava, commentava. Ma il monaco erudito, dopo tutto, era confratello dell'infirmarius che poteva rivelarsi fonte di osservazioni le quali, accanto alla sua dotta speculazione filosofica e teologica, contribuivano allo sviluppo del sapere medico sia pure nel rispetto, scrupoloso fino all'ossessività, delle idee fondamentali dei grandi del passato - Ippocrate, Galeno, Celso - mai venuto meno fino ai tempi della biologia e della medicina sperimentali delle laiche università.

SANTA ILDEGARDA
La medicina monastica è in gran parte anonima: non mancano però nomi di grande rinomanza, come quello di santa Ildegarda di Bingen, una località sul Reno dove fondò un monastero.
Grande conoscitrice della medicina antica e del suo tempo - è autrice di due opere sull'argomento: Physica e Causae et curae - ma anche della teologia della quale tratta nel Liber Divinorum Operum. Il suo nome è legato anche alla storia della musica (Symphonia harmoniae coelestium revelationum).
Un posto centrale nel pensiero medico di Ildegarda occupa il concetto di Viriditas, una sorta di filosofica forza vitale fatta di pensiero, sentimento, emozione che lega l'uomo alla natura.