Anno 8 - N. 23/ 2009


Il sentimento del sublime nell'architettura di Alessandro Antonelli

La fonte classica della sua architettura, squisitamente mediterranea, è da ricercarsi nell'Umanesimo razionalista del Quattrocento...

"movimento e mutamento non sono fini, termini, muraglia che defrodino e sottraggano la infinita copia delle cose (…) perché dall'infinito sempre nuova copia di materia nasce". Giordano Bruno

di Gabriella Colletti



Mole Antonelliana (Torino, 1863 - inaugurata nel 1889, altezza 167,5 m.)


L' architettura di Alessandro Antonelli è stata definita "architettura nodale". Di apertura europea, essa prefigura le strutture metalliche del XX secolo. Antonelli non è un eclettico. Non è un modernista. Né uno strutturalista. Nemmeno può dirsi un neoclassico tout court. Nessuna etichetta può ingabbiare con una definizione posticcia la sua originalità. Egli è un precursore come tutti i geni. Secondo alcuni, il più grande architetto del XIX secolo. Inventore della struttura-limite della costruzione in muratura. Oltre la quale nessuno si è spinto. La sua opera è sintesi geniale di innovazione e tradizione classica. Rivoluzionaria è la tecnica costruttiva, che si fonda, tuttavia, su un materiale antichissimo: il mattone.
La fonte classica della sua architettura, squisitamente mediterranea, è da ricercarsi nell'Umanesimo razionalista del Quattrocento, nello specifico in Brunelleschi, l'inventore della prospettiva, quel nuovo modo di intendere lo spazio che permise all'Italia di divenire culla delle arti e della bellezza.
Ma Antonelli ha presente anche il progetto per il Battistero di Pisa (1153) del Diotisalvi e, secondo lo storico dell'arte André Chastel, le creazioni antonelliane "rammentano certe intenzioni del Filarete" (cit., in A. Chastel, Storia dell'arte italiana, Laterza, Bari 1982, p. 586). L'architetto novarese ha forse in mente le torri fantastiche dei progetti per Sforzinda, città ideale del trattato che Filarete scrisse per Francesco Sforza nella seconda metà del XV secolo. Da organismi classicheggianti si librano verso il cielo torri gotiche con miriadi di finestrelle - architetture visionarie del regno della fantasia, ipotesi come espressione figurata della tensione ininterrotta dell'ingegno e dell'immaginazione -.
Forse, Antonelli ha presente questa architettura di fantasia dominata al suo interno, però, dal rigore geometrico. E, sempre all'architettura utopica è debitore nei suoi progetti e nelle sue realizzazioni. In particolare a Boullée e Ledoux, architetti visionari della Rivoluzione francese. Da essi ha assimilato la ricerca sulla forma essenziale, la quale è geometrica, modello astratto di perfezione, eidos. Pura essenza, traducibile nel concetto del modulo quadrato. Il quadrato: forma ossessiva di Alberti e del Rinascimento, adottato da Alberti nella facciata per Santa Maria Novella (1456). Il quadrato: armonia, giusto accordo fra le parti, modello geometrico della bellezza, poiché figura inscrivibile in un cerchio, simbolo quest'ultimo di perfezione.
Il modulo quadrato è una costante nell'orientamento della pianta dei palazzi antonelliani, del tutto indipendenti dal tracciato stradale, come possiamo rilevare nella Casa Bossi a Novara. Armonia, semplicità, sobrietà rimandano ad una visione organicistica e logocentrica, con al suo interno ferree regole matematiche e geometriche. Il modello geometrico si rifà a sua volta al principio dell'economia, altro elemento fondamentale del sistema antonelliano. Esso deriva dall'ingegneria, dalla tecnica della costruzione - la formazione di Antonelli è ingegneristica; frequentò un corso di architettura civile con discipline quali geometria descrittiva, matematica, geometria pratica e meccanica -. Creare con il minor dispendio di energia, come in natura, al fine del raggiungimento della forma semplice, concisa, polita; antidoto all'enfasi, al dispersivo, al superfluo. Al fine del raggiungimento della bellezza.
Sempre un richiamo alla tradizione è evidente nel Duomo novarese (edificato negli anni '60 dell'Ottocento). Qui, la fonte d'ispirazione potrebbe essere stata offerta da Palladio, per la soluzione scenografica del porticato con l'antifacciata del pronao, con funzione di prolungamento in profondità dello spazio della facciata, al fine di guadagnare spazio, di ingrandirlo nella zona antistante la facciata. Nel Duomo si colgono le componenti dell'architettura di Antonelli. Innanzitutto una linea classicista, per l'applicazione degli ordini classici, delle colonne che reggono l'architrave, del pronao, del porticato e delle strutture frontonali. Vi è poi una linea brunelleschiana, evidente nella cupola per San Gaudenzio, in cui Antonelli parte dalla tecnica della costruzione muraria rinascimentale, improntata al razionalismo e alla sobrietà. Per finire, una linea visionaria, che anima tutte le sue costruzioni. Come il sentimento del sublime che le pervade.
La linea classicista è visibile nella forma esterna, improntata al senso del grandioso e insieme alla semplicità, al senso della misura come armonia, eleganza, ordine, ma lo spirito che vivifica la struttura visibile è romantico, appartiene all'epoca di Antonelli: l'Ottocento italiano e risorgimentale.
La cupola della Basilica di San Gaudenzio (m.125 d'altezza dal suolo), come la Mole di Torino (m.167 d'altezza dal suolo) sono simboli della città stessa, della sua Novara la prima, del Piemonte la seconda. La cupola visibile da lontano, al di fuori della città, dalla strada che conduce a Novara, come faro illuminante non solo della cristianità, diviene punto di riferimento per il territorio circostante di nuovi valori, civili e laici. La cupola, nell'ottica del Romanticismo risorgimentale in cui è nata, simboleggia anche la nuova classe borghese, quella borghesia che volle la sua edificazione, che finanziò Antonelli affinché i novaresi entrassero anch'essi nella storia come committenti.
Sublime è la spinta ascensionale, il verticalismo delle sue strutture, così "terribili", perché grandi e alte. Esse suscitano nell'osservatore una forte emozione estetica, che sgomenta il cuore e l'animo. È l'irrompere nella sfera dei sensi del sublime dinamico e matematico. Dinamico perché si tratta di costruzioni estremamente animate, paiono vibrare per la forte tensione che le spinge oltre le proprie possibilità interne, oltre il materiale di cui sono fatte, la muratura di mattoni. La cupola di San Gaudenzio a Novara è torre che spicca il volo dalla terra verso il cielo. Il lavoro dell'uomo che l'ha costruita si scioglie in canto, inno di gioia a Dio. Risuonano le colonne, dicono di Apollo, il dio costruttore che edificò templi con il suo canto, conquistò lo spazio dandogli una forma matematica e geometrica. Così il mito evoca la nascita dell'arte dello spazio: l'architettura. Sublime matematico per la grandezza: la cupola di San Gaudenzio, la Mole, le colonne del Duomo di Novara presentano uno sviluppo ascensionale estremo.
E ciò che è grande in senso assoluto è infinito, indefinito, vago. Colui che fa esperienza dell'infinito sente e vive su di sé la piccolezza della natura umana di fronte all'immensità del cosmo.
Antonelli ha trasposto nell'architettura il sentimento romantico espresso dai poeti, massimamente in Italia da Leopardi. Sentimento racchiuso nella sua poesia L'Infinito.
In questo senso la visione del mondo espressa dalla cupola è romantica e non classica, e già Daverio lo diceva nel suo saggio La cupola di San Gaudenzio. Una struttura verso l'alto. Il contenuto interiore della cupola antonelliana è romantico, la forma esteriore che lo esprime è classica. L'anima romantica trabocca esteriormente nella struttura-limite della muratura di mattoni. Nello spingersi ai limiti delle possibilità insite nella muratura vi è il tendere verso il superamento infinito della materia. Questa tensione è rischio dell'artista. Costituisce il suo mettersi in gioco. Sfida da cui può anche scaturire lo scacco .
La tensione, volontà di andare oltre i propri limiti, è spinta metafisica: volontà di infrangere la barriera sensibile per entrare nell'infinito. Oltrepassare il presente caduco della storia per entrare nell'eternità. Questo il grande sogno che nutre l'inquietudine, il rovello della mente di ogni artista, di ogni tempo, di ogni arte. Creare opere destinate a durare nel tempo. Infinite.
Il rovello come un tarlo non dava mai tregua alla sua mente di immaginare inedite e sconvolgenti soluzioni, nuovi mondi, nuovi oggetti estetici. Inquietudine, sperimentazione, ricerca artistica. Egli sperimentava sempre nuove soluzioni formali. Non indugiava in nostalgie inconcludenti. Non esitava ad abbattere ciò che secondo lui non esprimeva l'anima del tempo. Del suo Ottocento. Con fulminea velocità decise di abbattere il vecchio Duomo novarese. Dare spazio al nuovo, questo l'imperativo morale di Antonelli. Nessun architetto, nel XIX secolo, in Italia, fu così originale come Alessandro Antonelli.
Egli inventò il nuovo appoggiandosi all'antico della tradizione rinascimentale italiana e alla tradizione piemontese che va da Guarini a Juvarra, con la sua sintesi.
E quest'ultima è, sempre, genio. Capacità di unire parti note, assimilate, rielaborate, oltrepassate, ricreando un tutto completamente nuovo.