Anno 8 - N. 23/ 2009


Mark Twain e l'impostura

Samuel Langhorne Clemens dalla vita ebbe tutto, e quasi tutto dovette perdere

La filosofia di Mark Twain, a prima vista, è semplice. È la dottrina ottimista e pragmatica, egualitaria e illuminista che fa la grandezza dell'America. Gli uomini sono tutti eguali [...]

di Paolo Brera



Mark Twain (Florida, 1835 – Redding, 1910)


Samuel Langhorne Clemens dalla vita ebbe tutto, e quasi tutto dovette perdere. Celebre come scrittore, sposato - per amore - a una ricca ereditiera, era destinato a rovinarsi, analogamente a quanto era successo settant'anni prima e in un altro Paese a Honoré de Balzac, per un'intrapresa commerciale andata storta. L'ex tipografo ed ex giornalista, infatti, nel 1885 si mise in società con un inventore per realizzare una macchina tipografica di nuova concezione, capace di fondere insieme più caratteri. L'idea era buona, ma la fase di ricerca e sviluppo si protrasse troppo a lungo, le difficoltà pratiche si ammucchiarono. Sicché sui libri di storia della cultura materiale finì non Clemens ma Ottmar Mergenthaler, con la sua ben superiore linotype.
Vista sotto un'altra angolatura, la vicenda dell'imprenditore Clemens è una specie di nemesi letteraria. Lo scrittore datosi agli affari fallisce perché ha voluto essere ciò che non è, un businessman; ma nell'attività che più corrisponde alla sua essenza e che svolge sotto falso nome - quella a cui dobbiamo i romanzi e i racconti firmati Mark Twain - l'impostura e al limite la sua forma più estrema, lo scambio di persona, sono situazioni ricorrenti, così come lo è la carnevalizzazione in Dostoevskij.
La filosofia di Mark Twain, a prima vista, è semplice. È la dottrina ottimista e pragmatica, egualitaria e illuminista che fa la grandezza dell'America. Gli uomini sono tutti eguali: nel 1905, Mark Twain mette in bocca allo zar russo le seguenti parole: "Nudo, che cosa sono?... Senza i miei vestiti, sarei altrettanto privo di autorità di qualunque altra persona nuda. Nessuno potrebbe distinguermi da un prete, un barbiere o un damerino. Dunque chi è il vero imperatore della Russia? Il mio abito. Nessun altro". Di fronte all'"impostura della diseguaglianza", all'inganno della pompa, del potere e della ricchezza, tutte le altre forme di impostura sono veniali.
Lo scambio di persona, che è vicino all'impostura e spesso ne rappresenta una delle forme, esercita su Mark Twain un fascino ambiguo. La persona scambiata si trova là dove non dovrebbe essere, fuori dal suo ambiente per inganno, errore, viaggio nel tempo o irresponsabile sperimentalismo. Le qualità che possono salvarla dalle minacce implicite in questa situazione comprendono certo un'anima pura, ma soprattutto l'intelligenza e la prontezza di spirito. Lo dimostra lo straccione americano della Banconota da un milione di sterline: una storia notevole perché dimostra il potere dell'"immagine" - in questo caso non gli abiti del monarca ma l'enorme ricchezza astratta rappresentata dalla banconota - e perché adombra, mutato nomine, l'ascesa dello stesso Clemens dall'orlo del suicidio alla ricchezza, alla fama e al più romanzesco coronamento possibile di una storia d'amore.
Altro celeberrimo scambio è quello dello schiavo Valet de Chambre, sostituito al suo padroncino Thomas Beckett Driscoll al momento della nascita (in Pudd'nhead Wilson). Valet de Chambre diventa un gentiluomo del Sud con tutti i crismi, ma (o forse non "ma", semplicemente "e") debosciato, egoista e vigliacco. Quando lo scambio viene scoperto, salta fuori anche che gli abiti non sono poi tutto: "Il vero erede si ritrovò improvvisamente ricco e libero, ma anche in una posizione estremamente imbarazzante. Non sapeva né leggere né scrivere, e parlava soltanto il dialetto del quartiere negro". Lo scambio di persona, come si vede, non necessariamente finisce bene. Al vero Thomas Beckett Driscoll e al suo alter ego Valet de Chambre va proprio maluccio; e se il principe di Galles conclude la sua immersione nel pauperismo dei suoi sudditi recuperando il trono (Il Principe e il Povero), come re Artù (Un americano alla corte di re Artù), non altrettanto si può dire del povero Boss (appunto l'americano del Connecticut che dà il titolo al libro).
Non c'è dubbio che sull'eguaglianza Mark Twain qualche riserva l'avesse. Come dice in un libro che raccoglie le idee che non osava esprimere in vita per paura dell'opinione pubblica, e che farà pubblicare dopo la morte, alcuni uomini si elevano al di sopra del livello intellettuale medio dell'umanità (deprimente, secondo il Nostro), però solo di pochi pollici. Questa superiorità intellettuale fonda il diritto degli uomini superiori al rispetto da parte degli altri, a preferenza dei vari esseri blasonati o muniti di soldi; però non giustifica alcun assoggettamento od oppressione, né sociale né coloniale. La prima e più stridente delle diseguaglianze ingiustificate è la schiavitù, che Mark Twain demolisce (sul piano delle idee) nei suoi libri del Mississippi, come Tom Sawyer, Huckleberry Finn e Pudd'nhead Wilson. Ma il feudalesimo, di cui Clemens scorge numerose vestigia nel suo viaggio in Europa, non gli è meno antipatico.
La storia francese, per esempio, si riduce per lui a gradazioni della barbarie, e del Paese dell'Encyclopédie scrive in questi termini: "Nutro le più grandi speranze per la Francia, e con tutto il cuore le auguro di elevarsi moralmente e intellettualmente. Ma sento e so che questo grande bene non può venirle dagli sforzi isolati e non organizzati della nostra colonia americana, per quanto attivi, benedetti e preziosi. No, c'è un solo modo: impiegare un reparto addestrato di missionari americani laici, ufficialmente riconosciuti (a loro protezione), decorati con la Legion d'Onore per essere meno notati e non suscitare invidie, e pagati dal governo con uno stanziamento finanziato da una tassa speciale. Contribuiamo tutti ad aiutare il francese! Prendiamo a cuore questo anello denigrato e disprezzato tra l'uomo e la scimmia, e facciamo sì che possa diventare un nostro fratello!".
Né Mark Twain è cieco di fronte alle ingiustizie sociali dell'America dei suoi tempi. Nella sua Open Letter To Commodore Vanderbilt, lo scrittore riversa a profusione il suo disprezzo sugli "infatuati adoratori di dollari non loro", capaci di venirsene fuori "con una colonna o due che spiega in dettaglio la tua (di Vanderbilt) ascesa dalla penuria all'opulenza, e ti loda come se fossi l'ultima e più nobile creazione di Dio, ma senza rendersene conto dice quanto squisitamente meschino dev'essere un uomo per compiere quello che tu hai compiuto". E al cinese Ah Song Hi, che cerca The Land of the Free and the Home of the Brave, fa incontrare solo percosse, sfruttamento e ingiustizia.
Tocca all'americano sbalzato alla corte di re Artù esprimere la fiducia in un progresso storico lineare. Il suo tentativo di introdurre il capitalismo moderno nell'Inghilterra feudale, il primo Paese sottosviluppato in cui sarebbe stata tentata l'impresa, è destinato però allo scacco. Il progresso sembra dapprima marciare a gonfie vele, ma come osserva Prezzolini, in ogni mutamento c'è un guadagno e una perdita (e Vero Conservatore è colui che sottolinea la perdita). Privato del suo passatempo tradizionale di ammazzar draghi e salvar donzelle, non più disponibile nelle nuove condizioni economico-sociali, Lancillotto si mette a speculare in Borsa: e rovina un paio di consanguinei di Artù, i quali pensano bene di informare il re di alcune recenti attività della regina Ginevra. Profondamente indignato contro la speculazione di Borsa, Artù scaglia i suoi armigeri contro Lancillotto, che li mette in fuga a colpi di warrant. Scoppia la guerra civile.
Le forze della conservazione, spalleggiate da una Chiesa caricaturale che assomiglia all'Islam dei talebani, si riorganizzano. L'economia entra in crisi. Il partito filoamericano - quello su cui può far leva il Boss - non ha profonde radici sociali e ideali nel Paese, e non riesce a organizzare una difesa efficace. E si arriva al tragico epilogo. Al grido Yankee, Go Home, il mago Merlino rispedisce nel suo tempo il Boss con il primo incantesimo del libro che funziona davvero.

La modernizzazione è dunque fallita, la barbarie riprende il sopravvento. Ma nel caso opposto, sarebbe stata vera gloria? Il Mark Twain del 1889, anno in cui è pubblicato il romanzo, pensa di sì - o forse reprime i suoi dubbi. Lo scrittore del 1906 li esprime apertamente in Riflessioni sulla religione: "Preti e ottimisti continuano a parlare del costante progresso della razza umana verso la perfezione, ma, come sempre, trascurano le statistiche".