Anno 8 - N. 23/ 2009


LA MORTE DELLA VERGINE DEL CARAVAGGIO

Il pittore milanese nel suo dipinto sembra dare effettivamente risalto alla morte fisica… L'opera era stata commissionata nel 1601 dal giurista Laerzio Cherubini per la propria cappella

Nelle vicende di questo dipinto si riflettono la storia e la cultura europee dal Seicento all'età moderna.

di M. Giuseppina Malfatti Angelantoni



La morte della Vergine (particolare 1606)

Caravaggio (Michelangelo Merisi, Milano, 1571 - Porto Ercole,1610)

Parigi, Museo del Louvre

A volte ammirando i dipinti esposti in un museo restiamo talmente colpiti dalla bellezza della composizione e dei colori da non chiederci niente della loro storia, o del perché siano tanto affascinanti, o perché si trovino in una città piuttosto che in un'altra. In più, spesso, noi italiani pensiamo che alcuni dipinti si trovino all'estero come risultato di furti perpetrati ai danni del nostro patrimonio artistico soprattutto da parte di Napoleone. Se però cominciassimo a indagarne la storia, ci accorgeremmo quanto complessa ne sia stata la genesi, legata al momento culturale e spirituale che li vide nascere, e quanto interessante ne sia stato l'iter (non quello immaginato da noi!) che li portò ad essere esposti in un determinato museo, o in una collezione privata, o in una chiesa; vedremmo addirittura che la loro storia potrebbe essere la storia stessa degli uomini e dei popoli attraverso il tempo. Opera esemplare per un'indagine in tal senso è la grande tela del Caravaggio "La Morte della Vergine" che domina una delle sale del Louvre, attirando lo sguardo ammirato di folle di visitatori. Analizzare questo dipinto significa studiare un po' tutta la storia europea del '600 sia dal punto di vista artistico che politico ed economico; significa indagare sulla religiosità e la spiritualità di quel secolo, e sul gusto e il collezionismo degli alti strati della società in tutta l'Europa.
L'opera era stata commissionata nel 1601 al Caravaggio dal giurista Laerzio Cherubini per la propria cappella, sita nella chiesa romana di Santa Maria della Scala dei Carmelitani. Venne consegnata dal pittore forse nel 1605, ma i Carmelitani, dopo averla vista sull'altare della cappella, la respinsero "per motivi di decenza" - come scrissero gli storici del tempo - giudicandola troppo cruda e offensiva verso la Vergine. La Madre di Dio appariva loro come una popolana scarmigliata e gonfia, forse immagine della povera prostituta annegata nel Tevere in quegli anni, al cui recupero dalle acque del fiume aveva assistito anche il pittore. In più le figure degli Apostoli, simili a vecchi scomposti, e una Maddalena in primo piano piegata dal dolore, contribuivano a togliere a questo evento l'atmosfera soprannaturale rendendolo inesorabilmente solo una morte fisica.
"La Morte della Vergine" era soggetto iconografico molto diffuso in area bizantina dove veniva rappresentato come "Dormitio Virginis", stato di passaggio, privo di pathos, prima dell'assunzione al Cielo della Vergine, rappresentata come "animula" nelle braccia del Figlio. In area occidentale questo tema era meno consueto e, soprattutto nella pittura del '300, fortemente influenzato dall'iconografia orientale.
Il primo dipinto forte, realistico, su questo soggetto è opera del più religioso fra i grandi pittori fiamminghi del '400, Hugo Van der Goes; qui lo scorcio del corpo della Vergine fa pensare al "Cristo Morto" del Mantegna mentre, a sua volta, sembra essere fonte d'ispirazione per la composizione della "Morte della Vergine" del Caravaggio. Il pittore milanese nel suo dipinto sembra dare effettivamente risalto alla morte fisica: il corpo della Vergine è adagiato su un letto alto, quasi in aggetto, con i piedi nudi in primo piano, intorno gli Apostoli che esprimono in gruppi, in modo diverso, il proprio dolore. In questa rappresentazione esasperata di sentimenti diversi, il Caravaggio testimonia, ancora una volta, la sua attenzione all'insegnamento di Leonardo, in questo caso specifico, per quanto concerne i "moti dell'anima".
Il quadro era stato accettato dal committente, ma allontanato dalla chiesa come scandaloso dai Carmelitani che non ne capirono o, per paura, non ne vollero capire l'iconografia inusitata.
Il corpo gonfio della Vergine poteva anche essere letto come corpo ripieno della Grazia , nel momento di passaggio verso l'Assunzione che avrebbe mantenuto la fisicità del corpo di Maria, ma l'estremo realismo sembrava negare questo concetto. In verità la grande tenda rossa, incombente, considerata espediente del pittore per nascondere debolezze prospettiche, con la negazione dello spazio, diventa citazione dell'Infinito, del Cielo.
Per questo dipinto ci sono però ulteriori letture, anche quella fatta già dai contemporanei in chiave alchemica che vedeva nella "Morte della Vergine" la fase finale della trasformazione della materia e dell'evoluzione da "anima psichica", ad "anima razionale", ad "anima creativa": il raggiungimento della piena contemplazione di sé. Tutto questo, secondo la lettura di colti Iniziati, sarebbe stato intuibile dalle posture e dalle espressioni dei personaggi rappresentati e dalla sistemazione spaziale e prospettica all'interno del dipinto. Con cautela e spirito critico potrebbe essere accettabile anche tale lettura riconoscendo una matrice alchemico-ermetica a questo dipinto; altre opere del Caravaggio - "Amore Dormiente" per esempio - potrebbero essere spiegate alla luce di una cultura esoterica. Il rivo sotterraneo dell'alchimia e dell'ermetismo fluisce sempre dentro la Storia e, non di rado, si manifesta proprio attraverso opere d'arte. E Roma, al tempo del Caravaggio, fu certamente luogo di cultura esoterica anche in ambiti vicini alla Curia papale.
"La Morte della Vergine" fu forse l'ultimo dipinto eseguito dal Caravaggio a Roma prima della fuga avventurosa che lo portò a Napoli, a Malta, in Sicilia ed alla sua morte solitaria, tristissima, sulla spiaggia di Porto Ercole nel 1610. Egli era stato infatti condannato dalla giustizia papalina, quella di Paolo V Borghese, che lo inseguì con pervicacia fino alla fine, per aver ucciso in uno scatto d'ira un amico, suo compagno di libertinaggio. Ma forse causa di tanto odio non fu solo questo fatto di sangue.
Nei primi anni del '600 a Roma il Caravaggio era una delle personalità artistiche dominanti; rivoluzionario ed affascinante, dalla sua formazione lombarda borromaica gli derivavano grandi ideali e forte desiderio di giustizia e di verità che però, paradossalmente, si manifestavano con violenti atti di ribellione e di sfida alla società e alle sue leggi. La sua pittura era specchio del suo sentire, con i forti contrasti di luce e d'ombra che egli realizza al massimo della bellezza e dell'invenzione grazie alla sua conoscenza delle teorizzazioni leonardesche e della sperimentazione scientifica galileiana, e con la ricerca ossessiva ed esasperata della "realtà". Nei suoi dipinti appare la società nella quale vive, ma soprattutto compaiono gli"ultimi", i diseredati; alla rappresentazione di nobili e potentati, insieme ai cantori effeminati, ai santi e ai martiri, si aggiunge una folla di povera gente, dai piedi scalzi e sporchi che pure ha il coraggio di avvicinarsi al "sacro". Il suo realismo, che ha matrice lombarda e fiamminga, lo spinge a cercare il dettaglio più significativo che, illuminato da una luce fisica ma carica di simbolismo, possa comunicare al riguardante il suo messaggio di testimonianza e di condanna. Questo forte realismo non deve mai far dimenticare il valore simbolico che è sempre insito nelle composizioni del Caravaggio a partire dalla "Fiscella" dell'Ambrosiana, una delle prime "nature morte" - simboliche - apparse nella nostra pittura insieme a quelle di Jan Bruegel.
La fama di questo grande e controverso dipinto aveva attirato l'attenzione degli artisti e degli intenditori che erano a Roma al momento della sua esecuzione, fra questi si trovava il pittore fiammingo Pietro Paolo Rubens che da anni era in Italia al servizio del duca di Mantova Vincenzo Gonzaga. Egli si impegnò affinché "La Morte della Vergine" entrasse nelle collezioni gonzaghesche e grazie all'intermediazione di un agente del duca, ma forse anche per interessamento dello stesso Caravaggio, dopo mesi di trattative, riuscì ad acquistare il quadro per il suo signore per un totale di 300 scudi d'oro, pagati al proprietario Cherubini. Questa valutazione molto alta testimonia il grande apprezzamento per il bellissimo dipinto che, per esplicita richiesta degli artisti romani, venne esposto presso l'Università Romana dei Pittori prima della sua spedizione a Mantova. Entrata a far parte della "nobilissima galleria" ducale, l'opera venne sistemata nella "Galleria della Mostra", all'interno della palazzina detta La Rustica, dove si trovavano altre opere eccezionali della pittura rinascimentale quali i "Trionfi di Cesare" e il "Cristo Morto" del Mantegna. Alla morte del duca Vincenzo, discusso condottiero imperiale che si recava in battaglia contro i Turchi seguito da Claudio Monteverdi e dai suoi musici, la casse dello Stato mantovano erano in dissesto per cui il figlio Ferdinando - che aveva dovuto lasciare lo stato ecclesiastico - e il nipote Vincenzo II, si videro costretti a vendere sul mercato europeo la maggior parte del patrimonio artistico di famiglia, inventariato purtroppo in modo frettoloso e inesatto.
"La Morte della Vergine" del Caravaggio, insieme ai cartoni delle "Storie di Cesare" del Mantegna e a tanti altri capolavori, venne acquistata tramite il mercante fiammingo Daniel Nys, e dopo lunghe trattative iniziate nel 1626, dal più raffinato collezionista e intenditore del tempo, il re d'Inghilterra Carlo I Stuart.
Questo debole e sfortunato sovrano fu anche estimatore dell'arte fiamminga; alla sua corte visse e lavorò il grande pittore Anton Van Dyck che ritrasse lui, la sua famiglia e molti aristocratici, in splendidi ritratti che si trovano ora nei più famosi musei del mondo. La tela del Caravaggio venne inclusa nella ricchissima collezione reale sistemata nei palazzi di Hampton Court e di Whitehall e proprio dalla galleria dei dipinti di questo palazzo londinese, il 30 gennaio 1649, Carlo I Stuart uscì su una traballante passerella per arrivare al palco della decapitazione cui l'aveva condannato il Parlamento di Oliver Cromwell. Il Re era stato riconosciuto colpevole di tradimento nei confronti del suo popolo, ma da molti suoi sudditi venne considerato un "martire". Dopo la sua morte una parte delle collezioni reali passò allo Stato inglese, un'altra poté essere acquistata dalla nobiltà , mentre alcuni straordinari dipinti furono venduti a grandi collezionisti europei, quali il re di Spagna Filippo IV, il cardinale Mazarino e il banchiere franco-svizzero Jabach che riuscì ad aggiudicarsi proprio la "Morte della Vergine" del Caravaggio che espose nel suo castello in Francia. Nel 1671 il re di Francia Luigi XIV, il Re Sole, che dal 1662 stava procedendo al completamento delle raccolte d'arte iniziate dal padre Luigi XIII, riuscì a entrare in possesso di questo quadro, dietro pagamento, o come omaggio "spontaneo" da parte del banchiere, non è certo. Così settant'anni dopo la stipulazione del contratto di committenza fra il giurista romano e il Caravaggio, la grande tela della " Morte della Vergine" entrò, molto apprezzata, nelle collezioni reali francesi, prima nella residenza parigina di Luigi XIV poi, quando fu terminata, nella reggia di Versailles. Il Re Sole, come il padre, era un grande ammiratore della pittura italiana contemporanea e rinascimentale e acquistò molti dipinti dei grandi pittori barocchi italiani, mentre non apprezzò mai l'arte fiamminga.
La ricchezza delle sue collezioni di pittura, insieme alla protezione che dette a tutte le arti, rientrava nel suo programma di magnificenza reale, espressione della "grandeur" della Francia, ma era anche indubbiamente espressione della sua cultura e del suo gusto.
Durante la bufera della Rivoluzione Francese tutte le opere più preziose delle collezioni reali vennero confiscate e riunite nel Musée Central des Arts, dislocato in varie sedi, finché la maggior parte di queste, compresa "La Morte della Vergine", non venne trasferita al Louvre dove ora si trova.
Del Caravaggio ci sono in questo Museo altri due dipinti della stessa provenienza reale: il "Ritratto di Alof de Wignacourt", Gran Maestro dell'Ordine di Malta, altro nemico acerrimo del pittore, e "La Buona Ventura", donato personalmente a Luigi XIV dal principe romano Camillo Doria Pamphili che lo inviò al Re tramite un ambasciatore d'eccezione, Gian Lorenzo Bernini. Questo grandissimo architetto e scultore, massimo esponente dello straordinario barocco italiano, era stato invitato a Parigi dal Re Sole che cercò, invano, di coinvolgerlo nella sua opera di rinnovamento e abbellimento della sua capitale.