Anno 8 - N. 23/ 2009


L'Arciduca e il Chirurgo

Austriae Est Imperare Orbi Universo (In) felix Austria

"Non bisogna buttare via niente, non si sa mai. Quasi in ogni famiglia gli uomini più sentimentali, cinici ed insicuri, vorrebbero seguire questa cautela austriaca, e differire sempre il momento di disfarsi delle cose: si sentono un po' preoccupati quando le donne di casa tendono a far ordine, a buttar via le cose e le carte vecchie, le anticaglie presumibilmente inutilizzabili". Claudio Magris, Danubio

di Giulio Cesare Maggi



La salma del Kronprinz Rudolf composta nella bara subito prima del funerale. Con ogni verosimiglianza la fasciatura al capo fu eseguita da Billroth.


"Caro Brahms, Le confesso che qualche volta rimpiango i nostri bei giorni di Zurigo, quando, sotto la Sua direzione, ci riunivamo da Lei per far musica, e Lei con grande amicizia e cortesia tollerava che io suonassi il mio violino, mentre eseguivamo qualcosa di Suo. Intendiamoci, a Vienna mi trovo benissimo, la mia attività chirurgica e di insegnamento mi riempie di soddisfazioni e, tra parentesi, anche di fiorini. Godo della stima dei Colleghi, degli Studenti e, in particolare del caro Arciduca Rudolf, munifico ed attento patrono della mia Istituzione Clinica".

"Caro Billroth, mi consenta anzitutto di dirLe, anzi di ripeterLe, che Lei è un violinista assai superiore ad un ottimo dilettante: lo lasci dire a me che di queste cose un poco me ne intendo. Sì, Lei ha ragione, anch'io rimpiango qualche volta i tempi di Zurigo. Eravamo giovani soprattutto, ed il mondo si apriva a noi, ricco di promesse. Anche io, Lei lo sa bene, ho avuto un ottimo successo qui a Vienna, la città d'oro, in tutti i sensi, della Musica, basta pensare a Mozart. E posso assicurarLe che Ella gode della stima non solo del Kronprinz Rudolf, ma anche dell'Imperatore e della Corte tutta".

I due amici chiamarono l'Ober che arrivò premuroso con un sorriso tra il rispettoso e l'amichevole, da vero viennese.

"Dicano, miei Signori".
"Ci porti, per cortesia, un altro eccellente moka e due piccoli schnaps".

Avevano intanto acceso entrambi un sigaro, offerto dal musicista al chirurgo.

"Caro Billroth, mi piacerebbe organizzare un viaggio per le vacanze estive dell'anno venturo, che al solito, se come spero vorrà, amerei trascorrere con Lei e la Sua cara famiglia. Avrei pensato, dopo un breve soggiorno a Venezia, di proseguire per la costiera amalfitana, così decantata da tutti, un vero paradiso... e, debbo dire, giustamente. Ci sono stato, brevemente, tre anni fa e ne ho un ricordo straordinario. Sa, ogni tanto mi tornano in mente i versi della Ballata Mignon del nostro amatissimo Goethe:

"Sai tu la terra ove i cedri fioriscono?
Splendon tra brune figlie arance d'oro
Pel cielo azzurro spira un dolce zeffiro
umil germoglia il mirto, alto l'alloro.
La conosci tu ben?"

Ah, un viaggio che, oltretutto potrebbe darmi delle ispirazioni originali.
Ci pensi anche Lei...".

"Vede Maestro, per me il momento adatto potrebbe essere l'inizio dell'estate, quando, finiti i corsi, mi restano solo gli esami di Clinica chirurgica e anche l'attività in sala operatoria si riduce: mai operare con il solleone... I miei bravi Aiuti restano a Vienna per la chirurgia d'urgenza. Sicché, se per Lei va bene, dobbiamo solo preoccuparci del miglior piano di viaggio possibile".

"Bene, carissimo, penserò anch'io a come è meglio spendere il nostro tempo nella bella Italia. Mi piacerebbe anche rivedere Roma, ora che da anni è la capitale del Regno e che pare assai elegantemente rinnovata".

§§§§

Avevano finito la loro tazza di caffè e sorseggiato uno schnaps delizioso. Pregarono l'Ober di chiamare due fiacre.
Salutatisi, mentre Brahms raggiungeva la propria abitazione, Billroth si fece condurre alla Rudolfinerhaus, la clinica chirurgica da lui diretta donata alla città dal generoso Arciduca.
Andava ora pensando quanto stretta e sincera fosse l'amicizia con il grande musicista. Entrambi tedeschi del Nord, avevano avuto una giovinezza di grandi sacrifici e di intensi studi. Billroth, figlio di un pastore del piccolo villaggio di Bergen sull'isola di Rügen, nel Mare del Nord, era stato inviato dal padre a Berlino ove si era laureato in Medicina e Chirurgia presso la celebre Facoltà, sotto la guida del grande Maestro Landenbeck. In seguito era stato chiamato alla cattedra di Chirurgia dell'Università di Zurigo: in breve era diventato assai noto per l'arditezza e l'abilità dei suoi interventi, innovativi e spesso geniali. In quel periodo l'Università di Vienna godeva di una fama, nel campo medico, superiore ad ogni altra in Europa, con l'eccezione di quella di Pavia: bisogna ricordare che fu proprio un chirurgo pavese Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1809), medico di Giuseppe II, a elevare la Chirurgia a dignità pari alla Medicina. Simbolo di questa alta protezione fu la fondazione dello Josephinum, che inaugurò una tradizione degli Absburgo quali promotori di fondazioni medico-chirurgiche a Vienna e in tutto l'impero.
Un esempio di questo mecenatismo illuminato è anche l'Alma Mater Ticinensis, ampliata sotto il regno di Giuseppe II. Billroth, chiamato a Vienna come cattedratico di Chirurgia, iniziò la propria attività nell'anno accademico 1867-68. Cattedratico e direttore dell'Operationsbildunginstitut, Billroth conobbe un successo incredibile per la sua abilità al tavolo operatorio, imponendosi anche per la sua grande corporatura e per la instancabilità fisica, oltre che per la grande cultura non solo medica, ma anche generale, in particolare musicale. Ammirato anche per questo da Brahms, continuava, anche da Vienna, a dirigere la critica musicale per alcuni giornali svizzeri. Molte delle conoscenze che oggi possediamo su Brahms le dobbiamo alle sue lettere (Briefe von Theodor Billroth), pubblicate nel 1895. Le notizie in esse riportate sono state preziose per non pochi biografi di Brahms (ad esempio l'interessantissimo Claude Rostand. Brahms, Fayad, 1978 trad. it. Milano, Rusconi, 1986).
Il 15 novembre 1863 Johannes Brahms, chiamato a Vienna quale direttore della Singakademie, diresse il suo primo concerto, che comprendeva musiche di Bach ed il Requiem per Mignon dell'amico Schumann, alla Grosseredoutsaal: iniziava così la sua carriera trionfale nella capitale dell'Impero absburgico, diventando il Nume della musica sinfonica della sua epoca, come lo era stato Mozart un secolo prima. Il trasferimento a Vienna di Billroth consolidò i rapporti di amicizia e stima reciproca tra i due eminenti personaggi, legame del resto sempre mantenuto per tutta la loro vita.
Sotto il giovane imperatore Francesco Giuseppe, da poco sposato con Elisabetta Wittelsbach - per tutti la bella e dolce Sissi - Vienna andava trasformandosi, per assumere il magnifico aspetto che oggi ci incanta, la vera capitale della Mitteleuropa: la si poteva ancora definire la capitale di una Felix Austria, purtroppo tale non ancora per molto tempo.
Scomparse ormai le vecchie fortificazioni, le Linien, nasce il Ring. È una Vienna che si rinnova. Alla Corte e all'alta società l'etichetta che risale a Carlo V e a Filippo II, etichetta autoreferenziale per un ceto sociale elevato e formale, nel contesto di un'Europa sempre più posseduta dal démone dell'industrializzazione; alla borghesia ed al popolo invece la joie de vivre, il Prater, i valzer di Strauss, una grassoccia libertà di espressione nei Teatri e nella conversazione, amplificato epigono dell'età mozartiana e del Congresso.
Il matrimonio tra Francesco Giuseppe ed Elisabetta, che sembrava incarnare le speranze della Casa absburgica per un reale consolidamento della istituzione, non ancora dimentica del motto del fondatore Massimiliano, e cioè il famoso A.E.I.O.U. Austriae Est Imperare Orbi Universo, fu allietato il 21 agosto 1858 dalla nascita al castello di Laxenburg, del Kronprinz, l'erede dell'Impero Rudolf Franz Carl Joseph. L'evento fu seguito da una salva di 101 colpi sparata da 20 cannoni. Vienna e l'Impero apprendevano così che la successione era assicurata. L'Arciduca fu battezzato dal Cardinale Raucher, seguendo il più rigido protocollo di Corte, vecchio di oltre quattro secoli. Il giorno stesso della nascita a Rudolf fu conferito il grado di colonnello di fanteria nell'esercito imperiale e reale, un omaggio alla più fedele istituzione della Corona, che aveva salvato il trono nel corso dei moti del Quarantotto, quando la famiglia reale dovette lasciare Vienna per Olmütz. Un riconoscimento, ed una riconoscenza alla fedeltà dei suoi che l'Imperatore avrebbe ricordato per tutta le sua lunga vita. Ancora in culla, ricevette dal padre le insegne del Toson d'oro, facendolo inoltre donatore e patrono del Rudolf-Spital, ente ospedaliero caritatevole aperto a tutte le etnie, ben undici, dell'Impero absburgico, senza distinzione di sesso, di religione o nazionalità.
Ad appena otto anni di età Rudolf è cosciente della perdita, da parte dell'Austria, del conflitto con la Prussia e percepisce dolorosamente lo stato d'animo del padre, mentre la madre gli scrive che "è meglio andare in rovina con orgoglio". Ora il cambiamento di tutore si rendeva necessario per un ragazzo nervoso ed irritabile, con la presenza del col. Latour, uomo di spirito libero che corresse l'impostazione educativa dei propri predecessori ed al quale Rudolf resterà molto attaccato per sempre. Una educazione sostanzialmente dottrinale, senza una vera educazione dei sentimenti, finì per determinare, come ritiene la De Carli Szabados "solitudine ed infelicità che gli parve senza via d'uscita". A Rudolf, che amava teneramente la madre, venne ben presto a mancare il rapporto diretto con lei: ritenuta dall'Arciduchessa Sofia, madre dell'Imperatore, non adatta all'educazione del figlio, Elisabetta si era ritirata in un suo mondo di chimere, di malinconie e di viaggi. Rudolf, sempre più impegnato nei doveri della propria istruzione, senza un rapporto con il padre, estremamente impegnato nei doveri della propria complessa posizione, restò privo di quegli affetti che contribuiscono a formare il carattere di un adolescente.
Era inoltre impegnato in un piano di studi molto complesso, con tutori più volte cambiati anche perché incapaci di instaurare con il Principe un rapporto che non fosse esclusivamente formale. Tutto ciò contribuì a rendere il giovane uomo bene indottrinato, buono scrittore, conoscitore delle lingue, esperto in arti militari, ma sempre più rinchiuso in sé stesso quanto desideroso di affetti che, di fatto, gli erano negati. Gli mancò, salvo sporadici contatti con la madre, un confidente ed un amico.
Una passione che gli consentiva di incontrare il padre, fu la caccia.
Di lui fu detto, da sua cognata Luisa di Coburgo, che "aveva temperamento, razza e capricci di un puledro di razza", come ricorda Romana De Carli Szabados nel suo "Mayerling" (Trieste, Edizioni LINT, 1989).

Nell'estate del 1876 Rudolf, non ancora diciottenne, fu invitato da Ludwig II, cugino di sua madre, al castello di Neushwanstein. Ludwig era stato proclamato Re di Baviera all'età di diciott'anni, succedendo al padre Massimiliano II, nel 1864. All'età di undici anni Ludwig aveva assistito nel Teatro di Corte alla prima del Lohengrin che Wagner, ospite quasi permanente del Re, aveva composto nella pace di quei luoghi meravigliosi. Rudolf, ospite del secondo cugino, aveva potuto assistere ad una replica dell'opera, diretta da Wagner, unico ospite di Ludwig. Era rimasto sconvolto dalla musica del Maestro tedesco e dall'attenzione riservatagli dal cugino. Ludwig era particolarmente attratto dal giovanissimo e bellissimo cugino e, con ogni verosimiglianza lo stesso accadeva a Rudolf: Ludwig, come si può vedere dal suo ritratto del 1865, all'età di vent'anni era indiscutibilmente un bellissimo giovane sovrano.
I due cugini, felici, si facevano le loro confidenze circa il loro futuro, sui loro desideri fino ad allora inespressi, anzi repressi. Passeggiavano lungo il viale alberato di Ginkgo bíloba, le piante antiche come il mondo, risalenti al Carbonifero che dalla Cina erano giunte in Europa nel XVIII secolo, le cui foglie bilobate, a forma di ventaglio, evocavano l'Oriente. Sapevano entrambi che la foglia dello straordinario albero simboleggiava quella unificazione degli opposti, così cara a Goethe che all'albero aveva dedicato una breve poesia:

"La foglia di quest'albero, affidato
dall'Oriente al mio giardino,
sensi segreti fa gustare
al sapiente e lo conforta.
E una cosa viva che
in se stessa si è divisa?
O sono due, che hanno scelto
le si conosca in una?
In risposta alla domanda,
il senso giusto l'ho trovato:
non avverti nei miei cantici
che sono duplice e sono uno?

Questo tema, centrale nella filosofia goethiana e chiave di lettura del suo "Divano occidentale-orientale", fu senz'altro cogente in questa fase dei rapporti tra i due cugini, che in base all'epistolario di Ludwig, come sottolinea la De Carli Szabados, non devono essere stati solamente affettivi. In una lettera del 12 dicembre 1867 Ludwig, nel congratularsi con Rudolf per il successo di certi esami di arte militare, giunge a dire al cugino: "Nella tua testa trovano spazio lo spirito di Maria Teresa e quello di Giuseppe II: e la verità è che sarebbe mio nemico personale chi ponesse in dubbio quanto io affermo".
Ma le cose si spingono ben oltre. "Non ho più trascorso, da quando tu hai lasciato la Baviera, ore così liete. Il ricordo di quelle ore continua a struggermi, nel ricordo di quelle ore indimenticabili. Per tutta la vita resterò fedele a questa nostra amicizia solida e sincera".
"Tu mi hai assicurato nella ultima lettera che mi ami e mi stimi. Anche io ti amo e ti stimo dall'intimo del cuore, carissimo..."
Al punto che, pensando probabilmente ad una propria scomparsa, promette a Rudolf di lasciargli il Regno di Baviera, al futuro imperatore d'Absburgo cui lo legano vincoli anche di sangue.
"È mio immenso desiderio che tu, dopo la mia morte, ottenga la Baviera".
Entrambi sarebbero morti tragicamente, in fondo, in maniera inesplicabile e, di più, Rudolf non sarebbe mai salito al trono.
Rudolf era un brillante oratore, un ottimo scrittore, si occupava di politica, conosceva bene i problemi relativi ai difficili rapporti tra l'Austria e l'Ungheria, forse per suggerimento di Elisabetta grande fautrice dell'indipendenza ungherese, e di alcuni ambienti politici di identica inclinazione presenti a Vienna. Si muoveva in un terreno infido per un principe ereditario, sicuramente seguito, con la massima discrezione, dalla Polizia di Stato che, probabilmente, filtrava le informazioni che potevano giungere all'Imperatore.
La sua passione sfrenata per la caccia, che lo accomunava alla madre, era forse accentuata dal desiderio di fuga dall'ambiente opprimente della Hofburg, un modo per esprimere la propria vitalità, un immergersi nella natura, una alternativa ai disegni ai quali si opponeva, se ne rendeva conto, tutto il sistema. Questo desiderio di isolamento che poteva realizzare durante la caccia, l'aveva indotto ad acquistare e sistemare secondo i propri gusti il piccolo castello di Mayerling sufficientemente vicino e sufficientemente lontano da Vienna.
Era giunto, secondo l'Imperatore, il momento per il Kronprinz di ammogliarsi, fatto tanto più necessario per le numerose, sia pure occasionali, relazioni con dame dell'aristocrazia sulle quali il gossip cominciava a diventare poco lusinghiero per l'immagine di Rudolf. Mentre si trovava a Londra per una visita alla regina Vittoria, Elisabetta ricevette la notizia che il figlio si era fidanzato con l'appena sedicenne Stefania di Coburgo, principessa dei Belgi. Stefania era piuttosto bruttina: appare strano che un uomo colto, amante della bellezza, sensibile fino allo spasimo e in più giovanissimo, abbia potuto accettare una persona come Stefania, a quanto pare altezzosa, ma soprattutto assai lontana dai canoni della bellezza e della grazia.
Certo incombeva l'ombra di Francesco Giuseppe, Elisabetta si era rifugiata nella malinconia e nella propria infelicità.
Nel suo libro "Come non fui Imperatrice" (Verona, Mondadori, 1934) Stefania Coburgo-Absburgo descrive Rudolf come estremamente collerico e geloso: Stefania era stata così poco felice da ricordare solo due eventi che la resero, per pochi giorni, felice, la visita in Ungheria, dopo le nozze, ove aveva presentato un piccolo discorso in ungherese, tra gli applausi di quel Parlamento, nonché la visita a Vienna di Umberto e Margherita, i Reali d'Italia, nel 1881. Veramente troppo poco anche per una persona opaca come era Stefania.
Spesso assente da Corte per gli impegni di Ispettore generale dell'esercito a Praga, Rudolf ritornava volentieri a Vienna a seguire l'attività della Rudolfinerhaus, l'istituzione benefica diretta dal chirurgo Billroth.
Nel corso degli anni tra i due era intercorsa una corrispondenza epistolare, di oltre 150 lettere. Oltre ai problemi gestionali dell'Istituzione e al di là di questa si era sviluppato tra i due personaggi un certo grado di confidenza. Di questa corrispondenza, conservata gelosamente da Billroth e alla sua morte (1894) restituita all'Imperatore, fu fortunatamente eseguita una copia dalla figlia del chirurgo. Iniziato nel 1875 l'epistolario si compone, come detto, di oltre 150 lettere. Da esse emerge una figura del Kronprinz come quella di un uomo colto, attento ai problemi della scienza, con interessi epistemologici, equilibrato valutatore della realtà della Monarchia absburgica. Vero e sincero ammiratore di Billroth, che in una lettera arriva a chiamare al di là dell'etichetta "caro amico", Rudolf dimostra una notevole maturità di giudizio e un certo rimpianto di non aver potuto avvicinarsi, come avrebbe voluto, al mondo scientifico del quale apprezzava gli aspetti positivi, di un positivismo rivolto tuttavia al bene comune, il vero problema dell'umanità in tutti i tempi.
Spunti di benevola invidia compaiono in una lettera che, pur diretta a Billroth, sembra essere dedicata agli uomini di scienza: "Nutro invidia per la vostra posizione nell'ámbito della scienza... deve essere meraviglioso e fonte di soddisfazione, essendo un'autorità in materia, per quello che consente di costruire". Traspare, dal contesto delle lettere, un atteggiamento di modestia del Kronprinz, come sottolinea A. Wandruszka (Gli Asburgo. Milano, Dall'Oglio, 1974); in queste lettere si evidenzia un atteggiamento anticlericale, sorprendente nel rampollo di una dinastia nella quale l'Imperatore stesso seguiva le processioni di Corte portando in mano un cero acceso.
In realtà i motivi che legavano l'Arciduca al chirurgo superavano di molto i rapporti relativi all'Istituzione. Rudolf d'Absburgo ammirava Billroth, prima e più che per le capacità professionali, per la rettitudine morale, per le doti umanitarie, per la fedeltà, per l'attitudine saggia quanto ferma nell'affrontare i problemi, in una parola per la sua grande personalità. Del resto i sentimenti di Billroth nei riguardi del Kronprinz erano della stessa natura: ne ammirava l'intelligenza, e aveva la netta sensazione che sarebbe stato un Re dall'animo volto al bene di tutti.
Lo preoccupava un poco la presenza, talora, di spunti depressivi nel giovane Principe, anche se aveva potuto constatare di persona, durante la visita dal Kaiser Guglielmo a Vienna, la capacità di brillante conversatore, di acuto e prudente politico nel discutere i problemi dell'Europa e dell'Impero absburgico. Pur non conoscendolo, concordava con il giudizio di Ludwig II: aveva il temperamento di Giuseppe, l'Absburgo "rivoluzionario" come l'avrebbe chiamato lo storico Fejtö, ma anche le qualità dell'Arciduca Massimiliano, "lo zio Max", il fondatore della Marina austriaca, fucilato a Querétaro dai rivoluzionari messicani. Billroth era sinceramente affezionato al Kronprinz ma sapeva mantenere il suo posto, come gli insegnavano, anzi gli imponevano, la propria educazione e la dovuta formalità. Così era soprattutto il suo stile di vita, intemerato, che il Kronprinz considerava l'insegnamento morale più elevato che potesse avere. Dal padre riceveva al più biglietti di questo tenore: "L'Imperatore a S.A.I. il principe ereditario Arciduca Rodolfo a Laxenburg. Avremmo il piacere di vederti con Stefania a pranzo, sabato alle 5 da maman, in tutta intimità. Vi abbracciamo cordialmente".
Billroth sapeva, e del resto tutta Vienna era al corrente del fatto, che i rapporti tra Rudolf e Stefania non erano dei migliori. Stefania lascerà poi scritto nel libro già citato che, già un anno prima della morte, il principe era diventato di una irascibilità patologica anche per inezie: probabilmente scontento di sé stesso, frustrato per la incomunicabilità con il padre, gli mancava soprattutto il contatto con la madre Elisabetta, sempre più lontana, ritiratasi nell'Achilleion di Corfù. La tempestosa relazione con la cugina contessa Larisch, intrigante invisa alla Corte, scatenava in lui sentimenti opposti e non dominabili.
Nell'autunno del 1888 Rudolf, che si recava spesso a cavallo al Prater, aveva notato una graziosissima e giovane fanciulla che aveva salutato con un cenno del capo, in risposta ad un inchino. Mary Vetsera, una baronessina di poco più di diciassette anni, aveva più volte notato il Kronprinz e se ne era perdutamente innamorata. Il passo fu breve: Mary scrisse al Principe una lettera appassionata, oltre l'innocenza, e da allora un fiacre l'attendeva verso sera quando la madre e la sorella si recavano a teatro per seguire il ciclo wagneriano che essa, diceva, non poteva soffrire, come scrive Claudio Magris nel suo Danubio (Milano, Garzanti, 1986). Ben presto la relazione divenne di pubblico dominio, e la baronessa Elena Vetsera, madre di Mary, forse con qualche mira, lasciò fare.
Probabilmente all'inizio la relazione tra Rudolf e Mary era quella di una romantica ragazzina per un Principe bello, male sposato, un intellettuale di giudizio indipendente, certo un amante affascinante. La dedizione adorante della giovanetta, ad un certo momento, deve aver conquistato irrimediabilmente un uomo che aveva ricevuto molto dalla vita, ma non certo affetto. Una lettera di Mary lo convinse che finalmente aveva raggiunto quella felicità affettiva alla quale aveva sempre aspirato e che paradossalmente gli aveva dato, e per breve tempo, Ludwig, morto suicida per annegamento, assieme al suo psichiatra il 13 giugno 1886 nello Starnbergersee. Era stato un duro colpo per Rudolf: la perdita della forse unica persona che l'aveva amato. Per di più l'Imperatore lo aveva delegato a rappresentarlo alle esequie funebri del cugino di Elisabetta.
Il pensiero della morte, il vuoto che sentiva attorno a sé, e al quale contribuiva egli stesso, lo rendevano cupo. Solo i rapporti con Billroth, uomo di grande equilibrio psicologico, sembravano dargli transitorio sollievo.
La baronessa Elena Vetsera, madre di Mary, era con ogni verosimiglianza, forse fin dall'inizio, al corrente della relazione della figlia con il Kronprinz. Essa tuttavia già nel 1891, a due anni dalla morte di Mary, aveva pubblicato in proprio un libretto, prendendo le distanze da una connivenza ed accusando il Principe di un'azione non solo illegittima ma scandalosa. Certamente si trattava di un rapporto illecito, la fanciulla era di soli diciassette anni e Rudolf era sposato con figli. La pubblicazione, sequestrata subito dalla Polizia di Stato, venne successivamente pubblicata in Germania con il titolo "Mayerling" (trad. it. Pordenone, Editore Studio Tesi, 1982).
Di frequente Rudolf e Mary si ritiravano in una casina di caccia nel bosco viennese, trasformata in un castelletto, a Mayerling, che era diventato negli ultimi anni il buen retiro preferito di Rudolf.
Sopra il letto egli aveva fatto collocare i due ritratti incorniciati della madre Elisabetta e del cugino Ludwig, per certo le due persone alle quali egli era attaccato in modo passionale, le uniche che avevano esercitato un ruolo significativo nella sua esistenza emotivamente travagliata. Qui, nella notte tra il 29 ed il 30 gennaio 1889 i due giovani amanti avevano trovato la morte, dando origine ad una tragedia della quale si scrive e si parla ancora a distanza di oltre un secolo: era iniziato il Finis Austriae. Era l'ultimo omicidio-suicidio romantico, la fine di un amore sconvolgente, e di due vite, di due vite singolari.
Si trovava al castello, espressamente invitatovi da Rudolf, il conte Hoyos, di recente nominato consigliere segreto del Kronprinz: egli era giunto a Mayerling con il principe Philip di Coburgo, fratello di Stefania. Hoyos in un suo memoriale si dimostrò persuaso della volontà di suicidio dei due amanti: egli ricorda di aver udito, in più occasioni, il principe asserire di non temere minimamente la morte. Rivela Hoyos che l'Imperatore Francesco Giuseppe venne informato il mattino di buon ora della morte del figlio per veleno dal medico personale dott. Widerhofer. Hoyos riferisce anche che Rudolf, che evidentemente aveva premeditato il tutto insieme a Mary, aveva chiesto per iscritto un prete che pregasse "per me".
Molti notano le reticenze di Hoyos, eventualmente comprensibili data la sua posizione di consigliere oltre che amico di Rudolf . La presenza dell'Imperatore Francesco Giuseppe a Mayerling, riferita da Costantino Nigra, è negata da tutti i testimoni del tragico evento.
La sera stessa del 30 gennaio Theodor Billroth si era recato a Mayerling e aveva poi scritto una lunga lettera-relazione sul Kronprinz, il grande benefattore della Rudolfinerhaus. Vien fatto rilevare che il testo del manoscritto di Billroth presenta due grafie, sicuramente della stessa mano, ma lievemente diverse come se le due parti del testo fossero state scritte una il 30 e la seconda il giorno o i giorni successivi. Lo scritto di Billroth, redatto nell'immediatezza della tragedia mostra sentimenti di affetto ma anche di perfetto equilibrio nei riguardi di una persona alla quale da tre lustri era attaccato da sincero spirito di amicizia e di comprensione. Con lui vi era stata una corrispondenza anche confidenziale: Billroth pertanto la fece restituire alla Hofburg al momento della morte (1894) ma fortunatamente, come si è detto, di molte restano copie manoscritte ad opera della figlia del chirurgo.

La figlia di Billroth - riferisce la De Carli Szabados - ricordava perfettamente che la notte della tragedia una carrozza di Corte aveva condotto il padre a Mayerling. Dopo le onoranze funebri di Rudolf, a proposito delle quali un telegramma cifrato di Francesco Giuseppe era stato inviato al Pontefice, la povera Mary fu sepolta con un funerale assai modesto.
Dalle lettere di Billroth traspare un giudizio assai positivo sulle qualità umane di Rudolf e la sua ammirazione per il lavoro indirizzato a fini umanitari. Così pure egli ne ammirava la cultura, la capacità di brillante scrittore, in particolare quella espressa nell' "Orientrese", per l'acutezza dei giudizi e la grande sensibilità. E Billroth, rendendosi conto di aver perso un protettore di alto ingegno, finiva la sua relazione con questa frase: "Una volta mi scrisse "caro amico": le due parole, quando le leggo, mi toccano sempre. Addio, caro amico Kronprinz Rudolf, per l'eternità".
Parole più sincere non avrebbero potuto essere scritte.
Il memoriale della baronessa Vetsera, al quale abbiamo fatto cenno, fu certo uno scritto "partigiano" di necessità.
Fu imposto ai parenti stretti di Mary, due persone, di accettare per valido il certificato medico che parlava di suicidio della giovane creatura, la cui salma uscì dal castello di Mayerling nascostamente e venne sepolta nel locale cimitero senza segni di riconoscimento sulla tomba, almeno all'inizio. Elena Vetsera dovette allontanarsi per un certo periodo a Venezia, e venne fatta oggetto, al ritorno, di scortesie e di disprezzo, come se la figlia avesse operato contro la Corona e fosse la vera causa del suicidio del Kronprinz. Si volle a tutti i costi ignorare che Mary era stata uccisa e che, innamorata di Rudolf, ne precedette la morte, già da tempo preannunciata per scritto dall'erede delle due corone di Austria e Ungheria.
Dalle lettere di Mary ad una cara amica e confidente, e anche da rivelazioni della contessa Larisch, cugina e verosimilmente ex-amante di Rudolf, risulta chiaro che la baronessina era appassionatamente innamorata del Principe, del resto ricambiata. Sull'inclinazione al suicidio di Mary sono state scritte molte cose, senza che tuttavia vi siano elementi o tracce epistolari sicure, salvo forse in una lettera diretta alla Larisch, sua amica-nemica, l'idea di annegarsi nel Danubio.
La libertà di stampa presente in Austria consentì, già poco tempo dopo i fatti di Mayerling, la pubblicazione delle più crudeli ipotesi sulla tragedia.
Forse si iniziava a pensare che la vecchia cara Felix Austria, con una inevitabile, anche se non immediata, declinazione politica e morale stesse scivolando verso una Infelix Austria. Non erano più i tempi dell'A.E.I.O.U....
Un'altra straordinaria memoria fu lasciata scritta al figlio dal valletto Loscheck, il primo ad accorrere al momento degli spari e che riuscì ad aprire la porta della camera da letto ove giacevano morti Rudolf e Mary, sotto i ritratti di Elisabetta e Ludwig. (De Carli Szabados. op. cit. pp. 146-150). La confessione del valletto fu pubblicata, alla sua morte, nella Berliner Illustrierte Zeitung (1932) e in parte sulla rivista Trieste nel 1955 col titolo "La verità storica del dramma di Mayerling". Il valletto riferisce che la sera il Principe Rudolf ed il conte Hoyos cenarono da soli e, verso notte, il Kronprintz si recò nella stanza da letto ove l'attendeva Mary, dando ordine che nessuno entrasse nella stanza. Al mattino successivo alle ore 6.40 Rudolf, completamente vestito, ordinò a Loscheck di preparare i cavalli. Qualche minuto dopo vi furono due detonazioni da arma da fuoco. Accorso assieme al conte Hoyos il valletto dovette forzare la porta che era chiusa dall'interno. Rudolf e Mary, completamente vestiti giacevano sul loro letto a parete, mentre il revolver militare di Rudolf era per terra. Era chiaro che Rudolf aveva ucciso Mary e poi aveva rivolto l'arma contro se stesso.
In un biglietto diretto a Loscheck il Kronprinz chiedeva di essere seppellito con Mary in una fossa normale a Heiligkreuz. Erano allegate una lettera per Stefania e, da parte di Mary, alcune lettere per la madre, poste in una busta con l'indirizzo vergato da Rudolf stesso.
Malgrado tutto è difficile credere che i due amanti siano stati uccisi da mani estranee e tutto quanto è stato scritto di complotti politici sembrerebbe non dover essere preso in considerazione.
Dice lo storico Gordon Brok-Shepard nel suo "Il tramonto delle monarchie" (Milano, Rizzoli, 1989): "Di tanto in tanto sono stati compiuti tentativi per lavar via dallo stemma degli Asburgo questa macchia terribile affermando che la coppia fu vittima di un misterioso assassinio politico. Ma tali affermazioni vengono smentite dalla mezza dozzina o più di ultime lettere - dichiarazioni di suicidio - che Rodolfo scrisse a parenti stretti e ad amici. Al padre tuttavia non scrisse una sola parola".
È un fatto che il vecchio Imperatore convocò separatamente tutti coloro che a qualsiasi titolo erano stati presenti a Mayerling o vi erano stati convocati. Sulla Bibbia furono fatti giurare che mai avrebbero proferito parola su quanto avessero potuto udire o vedere a Mayerling. Il grande vecchio uscì distrutto da questo dramma, che non sarebbe stato l'ultimo della sua lunghissima esistenza.


§§§

"Cosa vuole, mio caro Brahms, è come se avessi perso, non dico un vero amico, come mi onora di chiamarmi in una lettera che Le farò leggere, ma quasi un parente, oltre che un Principe. Non Le dirò nulla, sono legato per tutta la vita a un sacro giuramento, ma - può credermi - un velo nero oscura l'avvenire della vecchia, cara Austria, per noi una seconda Patria. Nulla sarà più come prima...".

"Caro Billroth, Le sono vicino in questo momento così grave per noi tutti, ma ancor più per Lei, del quale ho sempre apprezzato la lealtà al Kronprinz, giovane sventurato uomo, così bisognoso d'affetto, di un affetto che forse ha avuto solo nell'ultimo anno di una vita breve, quanto difficile.
Il mio Requiem tedesco, che come Lei sa ho dedicato alla memoria di mia Madre, oggi lo intendo dedicato anche a Rudolf...".