Anno 8 - N. 22/ 2009


Quali sono le finalità e i principi basilari della finanza islamica?

FINANZA ISLAMICA

di Emanuela Scarpellini



La carità un obbligo del Corano


La crisi che ha travolto l'intero mondo della finanza a livello globale ha lasciato poco spazio a facili ottimismi sull'immediato futuro. Nelle dichiarazioni dei leader politici e nei vertici finanziari si è all'affannosa ricerca di soluzioni concrete. Eppure, sembrerebbe che esista un'isola relativamente poco toccata dalla crisi: il mondo della finanza islamica.
Poco conosciuto e poco presente nei summit internazionali, l'universo legato alle banche islamiche, cioè a enti finanziari che agiscono in conformità alle leggi della Shari'a, ha invece un peso determinante e crescente sui mercati globali (basti pensare al ruolo degli investimenti dei grandi esportatori di petrolio). L'idea di una finanza, e più in generale, di un'economia specificatamente islamica, che si differenzi sul piano teorico e pratico da quella occidentale, non è accettata da tutti, ma trova una crescente diffusione anche nei paesi occidentali (dove sono sorte alcune cattedre universitarie dedicate proprio allo studio di questo settore).
Ma quali sono le finalità e i principi basilari della finanza islamica? I fini, per iniziare, sono quelli di rafforzare l'identità interna della comunità dei fedeli, di estendere una condotta rigorosa e corretta al settore economico, di limitare i rapporti con i non-musulmani che possono agire in base a valori differenti.
Riguardo ai principi, il primo aspetto caratterizzante è la rigorosa proibizione dell'usura e dell'interesse sul denaro a qualsiasi titolo (riba), in osservanza delle norme coraniche. Questo, ad esempio, impedisce il pagamento di interessi sui debiti o sui crediti: il denaro è visto come uno strumento di scambio, non un bene in sé, e non può generare ricchezza. Un secondo aspetto è l'insistenza sull'eguaglianza economica, sulla redistribuzione della ricchezza e quindi sulla necessità che i ricchi diano ai poveri (tramite azioni di beneficenza o attraverso la tassa detta zakat). Il terzo aspetto è il richiamo all'etica nella conduzione degli affari, che rimanda ai fini sociali delle azioni economiche (per questo sono anche proibiti gli investimenti in imprese che pratichino attività illecite, come la produzione e il commercio di alcolici, di maiale, o che includano forme di gioco d'azzardo).
Con queste norme, ci si potrebbe chiedere come possa funzionare una banca, almeno nel senso che noi intendiamo usualmente. Ebbene, la risposta che si ottiene è che mentre nel mondo occidentale le banche hanno in genere una funzione di debitrici o creditrici nei confronti dei loro clienti, nella finanza islamica esse sono viste più come partner o come investitrici: vista la proibizione di guadagnare sul denaro, esse comprano beni immobili o investono in imprese attraverso capitali o azioni (private equity).
Le banche islamiche possono intervenire con vari strumenti per effettuare un investimento: possono per esempio firmare un contratto di Mudarabah, basato sul principio della condivisione dei profitti e delle perdite: il finanziatore (la banca) mette il capitale, il partner (lavoratore o imprenditore) lavoro e competenze; in seguito, i profitti o le perdite sono divisi secondo una percentuale concordata. Oppure la banca può realizzare un contratto di Murabaha (cost plus), comprando un bene reale per un cliente (ad esempio una casa o un veicolo), che viene poi ripagato nel tempo a un prezzo pattuito comprendente i costi e un certo margine per la banca stessa. Ancora, si può stipulare un Musharaka, una sorta di joint venture dove banca e cliente mettono capitale e risorse in misura diversa, e concordano un determinato tasso di profitto che la banca otterrà per un periodo limitato, una volta che l'impresa è riuscita ad avviarsi.
Questi e altri strumenti finanziari messi a punto dalla finanza islamica si basano dunque sul principio che il profitto non derivi dal denaro in sé, ma da un'attività reale alla quale le banche concorrono; e sul principio dell'utilità sociale dell'intervento economico. Tutto ciò all'interno di una visione che considera l'economia uno dei tanti aspetti della vita del fedele, tutti collegati e tutti ugualmente soggetti alle regole derivanti dai testi sacri, e non certo come un settore autonomo (magari prevalente rispetto agli altri), dotato di sue regole e norme speciali.
Certo, non mancano i critici di tale visione: sia rispetto alle forme di pratica attuazione di tali norme, sia rispetto a un'impostazione ritenuta troppo chiusa e conservatrice, che limiterebbe di fatto le potenzialità delle risorse a disposizione. E non è detto, fanno osservare altri, che questo comportamento prudenziale abbia messo davvero al riparo rispetto alla crisi odierna: se le banche islamiche non sono coinvolte dal vortice dei derivati, la rapida discesa dei valori immobiliari e dei capitali nelle imprese dove hanno investito in giro per il mondo può colpirle molto duramente.
Comunque la pensiamo, la finanza islamica è un'importante realtà in estese parti della società contemporanea e la comprensione dei suoi meccanismi di funzionamento potrà aiutarci a comprendere meglio la realtà in cui viviamo, sempre più multiculturale.