Anno 8 - N. 22/ 2009


Si vuole che il nome venga dal verbo cradainetai che significa pulsare, contrarsi

LA RAPPRESENTAZIONE DEL CUORE NELLA GRECIA ANTICA

“Il pitagorico Filolao (V sec. a.C.) affermava "la testa (il cervello) è la sede della ragione mentre il cuore è la sede della vita e dei sentimenti"

di Giulio Cesare Maggi




Il bello nell'arte fu da sempre un punto centrale della civiltà e della cultura dell'antica Grecia. In particolare la bellezza del corpo umano, femminile e maschile, guidò la mano di quegli artisti, verso i quali noi non pagheremo mai abbastanza un adeguato debito di riconoscenza.
Questa mirabile perfezione dell'esteriore e degli stati d'animo volta a volta ad esso correlati, non trovano riscontro - e ciò si può facilmente comprendere - nella raffigurazione dell'interno del corpo, anche per organi il cui correlato "psicologico" fu accettato sin dai tempi più antichi; tipico fra tutti, per motivi evidenti, il cuore.
In realtà il ritrovamento di rappresentazioni del cuore è assolutamente raro, per cui non si può non concordare con Lilica T. Valaes, archeologa della Scuola di Atene, che o mai esso fu rappresentato o gli archeologi non hanno individuato la forma data al cuore da quegli artisti. Vedremo che in realtà è la seconda ipotesi quella che giustamente raccoglie oggi il maggior consenso.
Converrà innanzitutto, prima di quelle artistiche visuali, ricordare in breve le fonti letterarie relative al cuore, la cui esistenza ed importanza non sono certo ignote all'uomo greco.
Egli l'aveva osservato e gli aveva dato un nome, cardia, nel dialetto ionico cardie, ne aveva definito il colore tendenzialmente purpureo e la forma simile alla puramis, il dolce greco il cui nome fu poi assegnato alle costruzioni egizie, le piramidi, che ai Greci ricordava un cibo assai gradito. Un altro nome dato al cuore era, come appare nell'Iliade, quello di ker o etor.
Si vuole che il nome venga dal verbo cradainetai che significa pulsare, contrarsi, e tale derivazione sembra assai pertinente.
Il termine cuore è spesso presente nella poesia, nel teatro e nella filosofia greci, con significato spesso psicologico: in Omero e negli scrittori drammatici, il cuore è la sede dei sentimenti e delle passioni. Lo è in Omero (Iliade, Odissea), in Eschilo (Supplici), in Aristofane (Nuvole) nonché nella poesia lirica ed amorosa.
Ma, accanto al sentimento, il cuore per l'uomo greco è anche la sede della ragione, opinione del resto condivisa dai filosofi, ed infine, la sede della vita e perciò l'ultimum moriens.
Il pitagorico Filolao (V sec. a.C.) affermava "la testa (il cervello) è la sede della ragione mentre il cuore è la sede della vita e dei sentimenti".
Democrito (460-370 a.C.) poneva il cuore come basileus, il sovrano della vita spirituale dell'uomo.
E così pure Aristotele (384-322 a.C.) aderiva alla interpretazione pitagorica, e come sorgente di vita lo considerano anche gli Stoici, in particolare Crisippo (281-205 a.C.).
Platone, e il concetto fu poi ripreso da Galeno, riteneva che nel cuore avessero la loro sede anima e temperamento.
Ma, a parte poeti, drammaturghi e filosofi, l'arte figurativa sembrerebbe aver ignorato il cuore, opinione basata sulla carenza di reperti archeologici pertinenti, in contrasto con l'aderenza che sempre nel mondo ellenico l'arte visuale aveva con la realtà delle cose. O non si tratta piuttosto, come fa osservare la Valaes, di una mancata attenzione dell'archeologo verso un soggetto che tanto ha appassionato poeti e scrittori dell'antica Grecia? E non si esclude che la scarsezza di reperti e notizie adeguate possa essere una spiegazione a siffatto disinteresse dei ricercatori almeno fino a qualche anno fa.
Di regola il cuore indicava per traslato la vittima: infatti l'animale sacrificale in toto era chiamato kardioulkon.
In realtà i Greci avevano nozioni sufficientemente esatte non solo, come si è detto, sulla morfologia del cuore, e non solo di quello degli animali, ma anche per l'uomo in base a quanto essi poterono osservare sui campi di battaglia (Iliade).
Il significato del cuore per la vita, nonché per la morte anche sul campo di battaglia, fu fondamentale: di quest'organo pulsante usque ad finem, come è descritto in questi versi dell'Iliade (Il. 13, 422) che riportiamo nella traduzione di Annibal Caro, "… e il batter del core fè la cima tremar dell'asta infissa ch'ivi alfin tutta si quetò".
Sicché l'uomo greco aveva conoscenze sul cuore che gli venivano soprattutto dai fatti della vita quotidiana, come si può osservare nelle numerose rappresentazioni sacrificali in pitture vascolari a figure rosse e nere.
Per contro nel mondo romano l'attenzione al cuore nei riti sacrificali fu tardiva: Plinio (Nat. Hist. XI, 18) ci dice infatti che solo dopo il 274 a.C. gli áuguri dettero importanza al cuore tra i visceri dell'animale sacrificato. In un saggio di Jules Wiberg sulla scienza medica nell'antica Grecia (Janus, 41, 225/54, 1937), l'autore esprime l'opinione che i Greci dell'età di Pericle (V sec. a.C.) erano divisi circa l'origine dei vasi sanguigni, avendo due differenti opinioni.
Sostenevano alcuni che essi vasi provenissero dalla testa mentre per altri dal fegato e dalla milza, diretti al cuore.
Secondo Littré, il grande storico della medicina antica, questa diversità di opinioni è da riferirsi alle due grandi Scuole mediche, quella di Cnido e quella di Cos. Ed Empedocle (482-423 a.C.) paragona il pensiero a "sangue che circonda il cuore" ed al "fegato ricco di sangue", poliematon epar (Fragm. 105 e 148/9/50).
Tuttavia è solo con Aristotele e con il contemporaneo Diocle di Caristo che la parola cuore assume il significato più preciso di organo origine dei vasi e causa della circolazione. E su queste basi si mossero le Scuole mediche di Grecia e di Alessandria ed a Roma con Claudio Galeno (130-c.ca 200 d.C.). La dottrina della circolazione del sangue era stata presentata da Ippocrate (c.ca 460 - 377 a.C.) anche se con incompleta visione, poi da Erasistrato (250 - 200 a.C.) e infine da Erofilo (III sec. a.C.). Il concetto di moto circolare del sangue ad opera del cuore attraverso i vasi, al fine di distribuire calore a tutto il corpo, prospettato da questi autori, finì successivamente per essere dimenticato per secoli.
Del cuore Ippocrate descrisse, con buona aderenza alla realtà, oltre a quanto già prima ricordato circa colore e forma, le cavità ventricolari, le valvole (definite membrane come le chiamò poi anche Leonardo che non conosceva i testi ippocratici), ed anche pericardio e liquido pericardico. Osservazioni queste condotte soprattutto sugli animali, come poi avrebbe fatto a Roma Galeno, dalla scimmia all'elefante.
Non si può però escludere che autopsie umane fossero state eseguite in Grecia nell'antichità, ma i Greci avevano orrore di quello che oggi chiameremmo "vilipendio di cadavere": essi sapevano sì che gli egiziani praticavano l'eviscerazione del cadavere preparatoria all'imbalsamazione, conservando i visceri nei vasi canopi, mentre il cuore restava nella mummia e in caso di asportazione accidentale, veniva sostituito da scarabei di pietra o metallo. Non si può tuttavia escludere che in qualche raro caso vi sia stata una vivisezione di schiavi condannati a morte in Alessandria ad opera di membri di quella Scuola.