Anno 8 - N. 22/ 2009
“La Sapienza del Padre sul grembo della Madre”
IL MISTERO DELLE VERGINI NERE
L'origine di questa suggestiva iconografia cristiana è misteriosa e inevitabilmente ammantata di esoterismo ed ermetismo
di M. Giuseppina Malfatti Angelantoni
Madonna Nera di Czestochowa
In molte chiese d'Europa sono presenti immagini della Vergine col Bambino dal singolare, inquietante, colore bruno, sono le "Vergini - o Madonne - Nere", oggetto di culto profondo e di antichissima devozione. Sono custodite in santuari, chiese e cappelle poste generalmente lungo i cammini di pellegrinaggio, ma di questi pellegrinaggi, spesso ne sono esse stesse e le chiese che le custodiscono, la meta privilegiata.
L'origine di questa suggestiva iconografia cristiana è misteriosa e inevitabilmente ammantata di esoterismo ed ermetismo. La Chiesa la spiega ricorrendo alle parole della Sposa nel Cantico dei Cantici - (I, 5): "Nigra sum, sed formosa…", " Sono scura, ma bella, o figlie di Gerusalemme…", Queste parole, se il Cantico dei Cantici fu veramente composto dal re Salomone, potrebbero essere la testimonianza e la memoria dell'incontro fra il re e la bella signora del Sud, yemenita o etiope, dalla pelle scura: la regina di Saba.
Nel XII secolo Bernardo di Chiaravalle aveva interpretato questo passo con forte carica simbolica: la Sposa, anche da lui considerata prefigurazione di Maria e della Chiesa, era di colore bruno per il dolore a lei causato dalla Passione e dalla Morte del Figlio. Ma questa lettura, che si rivolge all'animo del fedele, non può essere sufficiente dal punto di vista antropologico, storico e artistico per chi, senza negare il valore simbolico del messaggio spirituale, voglia percorrere tutte le vie della conoscenza.
Per arrivare a penetrare il mistero delle Vergini Nere è necessario, come primo passo, indagarne la tipologia e la storia attraverso il tempo. Questa indagine conduce a scoperte sorprendenti e affascinanti che si riallacciano alla storia più antica dei popoli e delle culture nel bacino del Mediterraneo. Oggi si tende a dare una spiegazione che ha presupposti storici di verità ma che, attraverso acritiche e superficiali interpretazioni date frettolosamente dai mezzi di comunicazione, rischia di banalizzare un fenomeno di assoluto valore spirituale: la Vergine Nera sarebbe la trasposizione dell'immagine delle Grandi Madri mediterranee, da Iside a Cibele, ad Artemide Efesina, un passaggio cioè dall'antichissimo mito pagano al culto cristiano.
La prima differenziazione da fare, per ciò che riguarda la tipologia delle Vergini Nere, è quella fra immagini dipinte, le "icone" ei simulacri in scultura, le "statue" a tutto tondo.
Le icone, nelle quali è rappresentata la Vergine col Bambino, seguono, per la maggior parte, il modello iconografico bizantino della Vergine Hodigìtria - Colei che indica la strada, Colei che protegge il Viaggiatore - o della Vergine Eleùsa - la Compassionevole, Madre della Tenerezza. Questi dipinti derivavano dal modello costantinopolitano della icona dell'Hodigìtria, che si trovava nella capitale bizantina già nel V secolo, testimonianza della nascita e dell'affermazione del culto mariano in area orientale, come conseguenza del primo Concilio di Efeso del 431. In quella lontana assise Maria era stata riconosciuta come Theotòkos, Madre di Dio.
L'icona della Vergine Hodigìtria di Costantinopoli era considerata miracolosa, opera dell'Evangelista Luca che, essendo colui che maggiormente aveva parlato di Maria, era stato considerato autore di ritratti della Vergine. Il soggetto iconografico di San Luca che ritrae la Vergine sarà ricorrente particolarmente in ambito fiammingo, soprattutto nel '400, e a San Luca saranno dedicate le Corporazioni dei pittori dal Medioevo fino al '600.
L'icona di Costantinopoli rappresentava la Vergine col Bambino, con i profondi occhi orientali allungati e la carnagione molto scura, peculiarità derivate dall'accentuazione delle caratteristiche fisiche e somatiche di persone non appartenenti alla razza europea. Forse però questo cromatismo nasceva anche dall'intento di rappresentare Volti Santi con colori non naturalistici.
Il fenomeno della rappresentazione realistica delle caratteristiche somatiche avverrà, a distanza di un millennio, anche nell'iconografia della amata Vergine della Guadalupe in Messico.
Va però anche sottolineato che molto frequentemente il colore scuro della carnagione delle icone poteva essere determinato da inevitabili reazioni chimiche dovute al passare del tempo e alle condizioni ambientali alle quali i dipinti erano soggetti per cui, un'immagine dipinta appena più scura del naturale poteva, col passare del tempo, divenire "nera". Quando poi un'immagine, già alterata, veniva presa come modello e imitata, il colore veniva ripetuto ed anche accentuato. Si diffusero così immagini della Vergine col Bambino molto scure, copie ispirate alla "Madonna di Costantinopoli", l'Hodigìtria, chiamate semplicemente "Madonna Bizantina" o "Madonna di San Luca".
La Vergine Hodigìtria era la protettrice della città di Costantinopoli, la sua icona era riprodotta sui vessilli che sventolavano alla testa dell'esercito bizantino, ma la storia di questa immagine sfuma nella leggenda. Si diceva che fosse stata portata da Gerusalemme nella capitale bizantina per volontà di pie principesse appartenenti alla famiglia imperiale che, per questa icona, ed altre insigni reliquie della Vergine, avrebbero fatto costruire tre basiliche nel sito protetto delle Blacherne. La chiesa che custodiva la Hodigìtria era quella degli Odeghi, o della via Odilonica (la Strada Retta), officiata dai monaci basiliani. Il gioco delle etimologie però non ci fa capire se la dedicazione della chiesa avesse influenzato la denominazione dell'icona, o viceversa.
Il ruolo della Vergine Hodigìtria, che in greco vuol dire: "Colei che indica la via", venne letto come protezione in senso fisico del viandante, di colui che percorre una strada, viaggiatore o pellegrino, ma in verità il contenuto simbolico era più alto: la Vergine indicava con la mano il Figlio quale Via, Verità e Vita. Ma insieme, per il colore scuro della pelle, simbolo di dolore, l'icona assunse anche il significato di Vergine Addolorata, o Vergine della Passione.
Molte leggende circondano la sparizione dell'Hodigìtria da Costantinopoli, la più diffusa è quella della sua distruzione nel 1453 al momento della conquista della città da parte di Maometto II, ma altre parlano della sua traslazione nell'Italia meridionale. Una leggenda, rielaborata e certamente alterata nel '700, parla dell'arrivo nel porto di Bari di una nave, l'unica superstite della flotta bizantina distrutta da un terribile fortunale, nell'anno 733. Quella flotta, tanto miseramente naufragata, era stata inviata dall'imperatore iconoclasta Leone III l'Isaurico per andare a Roma contro il Papa. Sulla nave arrivata a Bari si trovavano due monaci basiliani che avevano portato con sé, nascondendola, la miracolosa Hodigìtria di Costantinopoli, che trovò accoglienza nella cattedrale di Bari dove tuttora si trova. La piazza antistante la cattedrale di San Sabino si chiama piazza dell'Hodigìtria a ricordo di questo arrivo miracoloso. L'icona che, coperta da una lastra d'argento che lascia visibili solo i volti e le mani, ora si trova sull'altare della cripta, ma è copia cinquecentesca dell'immagine più antica.
Una storia, permeata di leggenda, narra invece che l'icona della Hodigìtria di Costantinopoli fosse stata portata in Italia, nel 1261, dall'ultimo sovrano dell'Impero Latino d'Oriente, Baldovino II di Fiandra, che la donò agli Angioini di Napoli. Questi l'avrebbero nascosta nel monastero benedettino di Montevergine, presso Avellino, dove tuttora si trova. La Madonna Nera di Montevergine, detta con affetto dalle popolazioni locali "Mamma Schiavona" in quanto protettrice di tutti gli schiavi e i derelitti, è un grande dipinto su tavola, formato da due parti: il volto severo, dalla bellezza enigmatica, è molto antico, il resto, è invece un dipinto tardo duecentesco attribuito al pittore Montano d'Arezzo che al tempo lavorava nel duomo di Napoli. Secondo alcuni studiosi il volto di questa icona sarebbe la prima copia occidentale della Hodigìtria di Costantinopoli; questa ipotesi nasce dalla eccezionale scoperta occorsa durante il restauro della "Madonna del Conforto" in Santa Francesca Romana a Roma, negli anni '50 del secolo scorso. Questo dipinto nascondeva sotto due stesure di pittura medioevali, due strati antichissimi con un'immagine della Vergine Hodigìtria del V secolo, dipinta ad encausto su tela di lino incollata su tavola. Questa icona, col capo reclinato verso una spalla, con la pelle scura e i tratti orientali dai profondo occhi neri, è apparsa immagine speculare della Madonna di Montevergine, il modello originario al quale si sarebbe ispirata. La Madonna di Montevergine dovrebbe quindi essere considerata la più antica icona bizantina in Italia e la più antica copia (se non l'originale) dell'Hodigìtria di Costantinopoli.
Da questa immagine famosa derivarono molte icone venerate in chiese e santuari dell'Italia meridionale dove il suggestivo e misterioso volto bruno della Vergine divenne quasi conferma della sua sacralità legata alle potenze primordiali e ctonie della Terra.
Spesso le icone, oggetto di grande devozione filiale, erano ricoperte da lamine preziose d'argento sbalzato, decorate con oro e gemme, dalle quali emergevano solo i volti della Madre, del Figlio e le loro mani, col risultato di divenire per il fedele un'apparizione ancor più carica di spiritualità e di mistero divino.
In Europa le icone bizantine si diffusero prima al tempo della crociata iconoclastica nell'VIII secolo, nascoste e salvate da monaci e pellegrini che venivano dall'Oriente, poi al tempo delle Crociate, portate nei loro Paesi d'origine dai Crociati e dagli Ordini religiosi e cavallereschi, primo fra tutti l'Ordine dei Cavalieri Templari che avevano per la Vergine un culto particolare, ammantato di affascinante sincretismo filosofico-iniziatico. In seguito all'arrivo di icone da Bisanzio e dalla Terrasanta, ebbe inizio in Occidente una produzione di immagini della Vergine col Bambino, ad imitazione di quelle bizantine, ieratiche, dominate dal senso del divino e dell'immutabile, vennero realizzate in gran parte nel XII secolo e possono essere considerate alla base dell'evoluzione stilistica dell'iconografia mariana che portò due secoli dopo alle dolci e umanissime Madonne toscane di Giotto.
Dal punto di vista della valutazione critico-estetica, le icone con la Vergine, Cristo e Santi, procedono tutte dagli stessi modelli che conosciamo attraverso le famose icone del monastero di Santa Caterina del Sinai, di età giustinianea. Alcuni di questi dipinti sono molto raffinati e di alta qualità, attribuibili a maestri costantinopolitani, epigoni degli autori delle tavolette funerarie imperiali e romano-ellenistiche, dipinte a encausto - pigmenti sciolti nella cera fusa - su tavolette di legno ricoperte di tela di lino. Queste opere sono eredi della tradizione pittorica classica e la Vergine col Bambino in trono ripropone il modello del ritratto imperiale nel quale l'Augusta appare con fissità divina.
L'evoluzione stilistica nell'arte bizantina è stata nei secoli molto lenta essendo l'arte legata alla stretta osservanza di canoni contenutistici di forte spiritualità e profondo simbolismo, come la stessa religione ortodosso-bizantina che si nutriva dell'eredità culturale della filosofia greca. Per questo è a volte difficile datare le icone, mentre è più facile identificarne il luogo, o la scuola, d'origine - Grecia, Russia, Creta - poiché ogni scuola si differenziava per peculiarità propria nella tecnica e nella composizione pittorica.
La realizzazione delle icone, per la sacralità della quale erano ammantate, indipendentemente dal luogo e dal tempo di elaborazione, era sempre accompagnata da un profondo e complesso percorso spirituale al quale il pittore, quasi sempre un monaco, si sottoponeva per rendersi degno di rappresentare la Santità attraverso la sua opera.
In Europa le icone con Vergini Nere sono centinaia, in particolare in Italia e in Francia, due Paesi cattolici legati alle Crociate e ciascuna di queste tavole è testimonianza di fede, di storia e di avvincenti vicende umane. Tra le icone più note, dopo l'Hodigìtria di Costantinopoli e la Vergine Nera di Montevergine, sono da ricordare la Nicopeia di Venezia e la Madonna di Czestochowa in Polonia.
La Vergine Nicopeia, " Colei che dà la Vittoria", si trova in San Marco a Venezia, non è una "Vergine Nera" come le altre, il suo volto è sottolineato da colore bruno, non completamente scuro. Questa icona ebbe un ruolo molto importante prima nella città di Costantinopoli, dove si trovava nel monastero del Pantocratore, poi a Venezia, dove arrivò nel 1204 insieme ad altre straordinarie opere d'arte, bottino di guerra della sciagurata Quarta Crociata. La Vergine Nicopeia era stata protettrice della città bizantina ed ebbe questo ruolo anche a Venezia dove veniva invocata in caso di calamità, in guerra e nelle epidemie di peste.
La Vergine Nicopeia è un'icona databile al X - XII secolo, appare quasi come copertina di evangelario, affine tipologicamente alla Platytera, la Vergine che presenta il Bambino. Lo sguardo è fisso e le caratteristiche somatiche ne indicano l'origine orientale. Il manto che la ricopre è molto scuro in contrasto con l'oro dello sfondo e il fulgore dei molti gioielli, perle e grosse pietre incastonate, appesi intorno alla sua figura come ex voto. Questi gioielli in anni recenti sono stati rubati, e solo in parte recuperati. Intorno a lei ci sono molte leggende: se ne parla come della icona che proteggeva la città di Costantinopoli e che veniva portata sui vessilli imperiali durante le battaglie. Le stesse funzioni attribuite all'altra famosa icona bizantina dell'Hodigìtria. Il sovrapporsi delle attribuzioni e della dignità in ambito bizantino potrebbe spiegarsi con la successione nel ruolo di protettrice della città ed icona imperiale per eccellenza, dopo la sparizione dell'icona più antica, forse al tempo dell'iconoclastia.
Altra famosa icona di Madonna Nera è quella di Czestochowa, in Polonia, un'immagine miracolosa della Vergine dalla sguardo triste, molto amata dal popolo polacco e legata anche alla vita politica della nazione. La leggenda attribuisce questa icona a San Luca che l'avrebbe dipinta sul legno del tavolo della Sacra Famiglia e viene considerata sorella di quella che si trova nel Santuario di San Luca a Bologna. Sempre secondo la leggenda, l'icona polacca venne portata in Russia da Gerusalemme sotto l'impero romano e sarebbe stata trasferita a Czestochowa solo nel 1382, dopo la vittoria del principe polacco Ladislao su Tatari e Lituani, sconfitti per un miracoloso intervento della santa icona. Questa immagine subì un grave oltraggio da parte degli eretici hussiti che nel 1430 la rubarono dal monastero di Jasna Gora e la fecero a pezzi a colpi d'ascia e di spada. Miracolosamente, considerate le scarse risorse nel restauro di un tempo, la tavola venne ricomposta, ma sono ancora visibili i segni dei colpi sul volto della Vergine.
La Madonna Nera di Czestchowa, che è opera bizantina, forse del VI o del IX secolo, e appartiene al tipo Hodigitrìa, richiamò folle enormi di pellegrini già dalla metà del '400 per cui fu necessario costruire una grande chiesa gotica a fianco della originaria cappella. In anni recenti, anche grazie al papa Giovanni Paolo II, la devozione verso questa icona si è molto diffusa e sono state costruite nuove chiese con questa dedicazione in tutto il mondo.
Le icone bizantine portarono in Occidente tutto il carico di spiritualità e ieraticità di cui erano permeate, portarono l'eco della ricca liturgia religiosa, del canto "acatisto" in onore della Vergine, da cantare in piedi nei momenti di pericolo. Le icone delle Vergini Nere fecero conoscere il fascino e il mistero del lontano mondo bizantino al quale però l'Occidente non riuscì mai a legarsi.
Diversa e più complessa è la lettura e l'interpretazione delle Madonne Nere in scultura, veri simulacri inquietanti, dai rimandi pagani.
Le statue, piccole o di dimensione reale, si impongono per la loro ieratica aura di mistero; spesso l'abito di metallo o di tessuto prezioso, col quale vennero ricoperte nel corso dei secoli, ha accentuato l'aspetto di idolo o di erma che le avvicina alle statue pagane. Queste Vergini Nere sono immagini venerate in santuari famosi, meta di pellegrinaggio, o lungo vie di pellegrinaggio, spesso in siti che la storia ci conferma essere stati santuari già in età antichissima, testimonianza del permanere della sacralità di un luogo attraverso i millenni. Erano questi, luoghi sacri per la presenza avvertibile di forze magnetiche terrestri e astrali, che gli uomini interpretarono come manifestazione della divinità.
Ma le Vergini Nere in scultura non possono essere spiegate tutte con lo stesso processo storico e antropologico: è necessario di ciascuna conoscere l'epoca in cui apparvero, la provenienza e la specificità del culto tributato.
Come per le icone delle Madonne Nere, le statue lignee, dal volto scuro, vengono interpretate come diretta derivazione dalle Grandi Madri mediterranee, divinità benefiche e protettrici della maternità, il cui culto era diffuso lungo le rotte marine e lungo le strade delle grandi vie del commercio. Il colore scuro di queste divinità era un rimando alla terra scura per eccellenza, quella lungo il Nilo nell'antico Egitto, luogo nel quale erano nate anche la magia e l'alchimia.
Al suo nascere il Cristianesimo, che usciva dal tronco di una religione priva di immagini, quale era l'Ebraismo, ebbe bisogno, per la diffusione del suo messaggio salvifico, rivolto alla totalità del genere umano, di immagini che aiutassero il discorso dottrinale e missionario. Si rivolse allora alla ricca, anzi esuberante, iconografia ellenistica nella quale poté trovare ispirazione fra le immagini del mito antico per quelle del nuovo culto. Questo fenomeno, il passaggio dal mito pagano al culto cristiano con la corrispondente dote di immagini, si chiama " sincretismo". La sostanza del messaggio salvifico cristiano non veniva intaccata ed alle "genti" era più facile comprenderlo avendo dei riferimenti in immagini già note e amate. Esempio sconvolgente di questo sincretismo è, tra gli altri, l'adozione dell'immagine di Iside che allatta Horus per quella della Vergine che allatta il Bambino.
Quando apparvero le prime statue delle Vergini Nere? Forse anche per questo enigma dobbiamo far riferimento a quel fecondo scambio di civiltà e di cultura che avvenne fra la Siria, l'Egitto e il sud della Francia a partire dal II secolo a.C. Siria ed Egitto, grandi centri di cultura alessandrina, furono per secoli all'avanguardia nella filosofia, nella scienza e nell'arte, che trasmisero attraverso i viaggi e gli scambi commerciali alla sponda settentrionale del bacino del Mediterraneo. Le rotte marinare permisero in particolare la diffusione della religione isiaca, una delle religioni misteriche più diffuse. Iside, divinità egizia, legata alle costellazioni e alle stagioni, era immagine materna per eccellenza, il suo culto era antichissimo - molto diffuso anche a Roma - e suoi santuari, è accertato, si trovavano ad Arelate (Arles) e ad Antinopolis (Antibes). Il culto di Iside era migrato anche in Asia Minore dove aveva dato origine alle divinità affini e materne di Cibele, Astarte e Diana Efesina.
Le prime statue di Vergini Nere sembrano apparire sulle coste della Provenza anche se nascoste da altri culti. La leggenda delle Sante Marie approdate a Saintes Maries de la Mer, può veramente rappresentare attraverso la leggenda agiografica la storia di migrazioni religiose dalla zona della Siria- Palestina verso la Francia. Qui la Vergine Nera è adombrata in Sara, la serva delle Marie, protettrice dei Gitani. Nella bassa e nera cripta della chiesa-fortezza di Saintes-Maries-de-la-Mer, il simulacro enigmatico di Sara, dallo sguardo allucinato, provoca sensazioni di inquietudine, quali potrebbero venire da un'immagine legata a misteriosi riti iniziatici. Anche il culto della Maddalena, nello stesso luogo, forse è testimonianza della trasmigrazione e trasformazione di un mito mediterraneo in culto cristiano
In Francia, a Puy - en - Velay, nell'Alta Loira e a Chartres, non distante da Parigi, in due luoghi legati ai percorsi dei pellegrini verso Santiago de Compostela, si trovano le due più famose statue di Vergini Nere della Francia. In tutti e due i luoghi, il culto della Vergine era subentrato a precedenti culti pagani.
A Puy la cattedrale di Notre-Dame de France venne costruita su uno spettacolare spuntone roccioso, per accogliere una statua antichissima della Vergine, oggetto di culto da secoli, sostituita poi dalla statua di Vergine Nera donata dal re Luigi IX, che l'aveva portata dall'Egitto al ritorno dalla Settima Crociata. Forse era un simulacro di Iside, ma le leggende sulla storia delle due antiche statue si sommano e si confondono. Questa statua, portata alla fine del'200, venne bruciata durante la Rivoluzione francese nel 1794, ora è sostituita da una copia.
Anche a Chartres, che era un centro di culto celtico, si sviluppò una profonda devozione per una Vergine Nera, che aumentò quando alla piccola antichissima statua si aggiunse la sacra reliquia orientale del Velo della Vergine, donata da Carlo il Calvo, nel IX secolo. Chartres divenne luogo deputato di culto mariano sostenuto dai Cavalieri Templari che, secondo la leggenda, con le loro conoscenze scientifiche, avrebbero contribuito alla costruzione della cattedrale gotica, che si sostituì alle precedenti costruzioni distrutte dal fuoco. Nella grande cattedrale venne conservata la cripta antica nella quale si trovava la statua della Vergine, bruciata anch'essa al tempo della Rivoluzione francese e ora sostituita da una copia. In chiesa si trova un'altra bellissima statua di Vergine Nera, opera del '500.
All'età carolingia può farsi risalire la presenza di Vergini Nere in Spagna, poste quasi a presidio delle terre cristiane contro l'avanzare dell'Islam. La più amata e oggetto di grande devozione è la Moreneta, la Madonna Nera di Montserrat, presso Barcellona che, secondo la leggenda, venne trovata sul monte sovrastante da due ragazzi. La statua ritrovata, una figura femminile bruna, per alcuni studiosi poteva essere un antico simulacro di Iside. L'immagine attualmente venerata nel Monastero di Monteserrat, è una scultura romanica che rappresenta una Madonna in trono col Bambino e un globo nella mano destra, secondo il modello della "sedes sapientiae". Questa iconografia della Vergine col Bambino, entrambi Signori del mondo, nasce nel XII secolo in ambito francese-borgognone e rappresenta Maria trono vivente del Cristo: "la sapienza del Padre sul grembo della Madre". Dal punto di vista stilistico queste statue lignee, in posizione rigidamente frontale e dai volti ieratici, sono ancora fortemente influenzate dall'arte bizantina.
Un'altra famosa Madonna Nera in Spagna è Nostra Signora del Pilar nel santuario omonimo a Saragozza, dalle antichissime leggendarie origini, protettrice della nazione spagnola.
In Italia famosa è la Madonna Nera d'Oropa, ma più ancora quella venerata nel santuario di Loreto che custodisce la "casa di Maria a Nazareth", portata in volo dagli Angeli nel 1294. Gli Angeli forse erano Cavalieri Templari che, al momento della caduta del regno di Gerusalemme, portarono in salvo, prima in Dalmazia poi a Loreto, le pietre della casa di Maria.
La piccola statua della Vergine che oggi è venerata nella cappella a lei dedicata, è copia moderna della statua precedente, andata distrutta in un incendio nel 1921. In origine si parla però di un'icona portata dall'Oriente con la Casa, non di una statua. Ad ogni modo la statua distrutta nel 1921 era già la copia cinquecentesca di una più antica.
Molte Vergini Nere si trovano nelle chiese lungo la Via Francigena, e segnano, come le chiese dedicate a San Michele o a San Nicola, i percorsi di pellegrinaggio. Lungo la Francigena si diffuse anche il culto del Volto Santo di Lucca, statua lignea scura nella quale emergono grandi occhi da giudice, opera di forte influenza orientale, databile al XII secolo. Nell'aspetto, e nelle leggende circa la sua origine, il Volto Santo di Lucca è affine alle Vergini Nere.
Di particolare interesse appare infine la Madonna Nera di Tindari, in Sicilia. Questa statua, oggetto di profonda devozione da parte delle popolazioni locali, si trova in una chiesa sulla collina alta sul golfo di Patti, nel luogo in cui fu posta in antico allorché, si diceva, era giunta al tempo dell'Iconoclastia, nell'VIII secolo. Ma l'immagine attraverso i secoli aveva perso, a causa di ridipinture e paludamenti barocchi, ogni connotazione stilistica, avendo assunto l'aspetto di una Regina col Bambino, entrambi coronati, senza possibilità di lettura storica. Coraggiosamente il Vescovo di Patti, alla metà degli anni '90 decise di avviare una ricerca su base scientifica attraverso un restauro rigoroso e mirato. Anni di lavoro serio dei restauratori, assistiti dalla Sovrintendenza di Messina, hanno portato alla luce una straordinaria statua medioevale, sintesi di arte, cultura e fede. È apparsa una Vergine col Bambino della tipologia della Sedes Sapientiae, in legno di cedro, nella quale convergono elementi concettuali e stilistici bizantini, francesi e siriaci. Questa affascinante ed enigmatica scultura è probabilmente opera di un artista di cultura francese che operava in Terrasanta in ambito crociato, forse a Tartus dove si trovava una grande cattedrale crociata dedicata alla Vergine. La statua poteva essere arrivata sui lidi siciliani in seguito ad un naufragio o per i traffici commerciali, essendo queste coste sulla rotta delle navi fra l'Outremer, come i Francesi chiamavano il territorio crociato in Terrasanta, e la Francia.
Grazie ad un restauro attento, ispirato dalla fede e dalla ricerca di verità, è tornato a rifulgere un gioiello d'arte romanica che, mostrando la sintesi delle varie correnti artistiche e filosofiche, testimonia gli stretti e fecondi rapporti fra l'Occidente, la cultura ellenistica e il mondo arabo.
NOTA AUTORE
Laureata in Lettere Moderne a indirizzo artistico con tesi di Storia della Critica dell'Arte. Ha conseguito la specializzazione in Studio delle Opere d'Arte con metodi Scientifici e in Arte Fiamminga presso l'Universitè Catholique de Louvain-la Neuve (Belgio). Studi di chimica connessi alla specializzazione scientifica. Ha insegnato in licei cittadini, è stata assistente presso l'Università Cattolica ed è docente di Storia dell'Arte nei Corsi Interdisciplinari dell' l'Università Bocconi. Nel 1992 ha fondato il Centro Culturale "Mediolanense Studium", di cui è presidente e docente. È consigliere del Comitato Italiano dell'Association Internazionale de l'Historie du Verre (A.I.H.V.), al quale dà un contributo come studiosa di iconografia.
Ha partecipato a Convegni Internazionali di Storia e storia dell'Arte con lavori propri pubblicati negli Atti. Ha realizzato, e realizza tuttora, mostre d'arte moderna contemporanea (Luigi Veronesi, Mario Arlati, Iris Poppi, Isabella Angelantoni, Liliana Ravenda) sui quali ha scritto saggi. Ha pubblicato il testo "Iconografia del Natale nella pittura fiamminga" (Milano 2006).
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