Anno 6 - N. 18/ 2007


Oggi come Ieri

VERY HOT

La sostanza responsabile della sensazione piccante, a volte feroce, è la capsaicina che, insieme ad altri capsaicinoidi contemporaneamente presenti in proporzioni variabili, determina il grado più o meno intenso di spiccato sapore

di Ambra Morelli




Fortissima, da togliere il fiato, è la sensazione provata. Quando si assaggia il peperoncino la percezione di un vivo bruciore al palato e a tutta la bocca, è, a seconda della sua qualità, di intensità diversa ma a volte acutissima. Oltre un certo limite la piccantezza diventa insopportabile, infatti secondo la scala di Scoville, empirica misurazione in gradi della piccantezza basata sulla presenza di capsaicina, oltre i 250.000 SU (Unità Scoville) la capsaicina del peperoncino cede il posto al dolore e all’infiammazione e il modo più efficace per rimuovere la percezione dolorosa è usare il ghiaccio come sorta di anestetico.
Dal punto di vista botanico questo frutto appartiene alla famiglia delle solanacee, genere Capsicum, che raggruppa anche i peperoni dolci e i peperoncini ornamentali. Il nome di categoria è azzeccato se si dà credito a chi sostiene che “capsicum” deriverebbe dal greco “kapto” cioè mordere, riferendosi chiaramente alla spiccata proprietà pungente, mordace appunto, di alcune qualità.
La sostanza responsabile della sensazione piccante, a volte feroce come si diceva poc’anzi, è la capsaicina che, insieme ad altri capsaicinoidi contemporaneamente presenti in proporzioni variabili, determina il grado più o meno intenso di spiccato sapore.

Mentre è innata nell’essere umano la preferenza per il gusto dolce, i gusti amari, acidi e piccanti sono naturalmente evitati: si impara ad accettarli con l’esperienza, conoscendoli. L’apprezzamento del gusto piccante del peperoncino, gradito fin dall’antichità, dimostra infatti che le interferenze culturali sono riuscite a promuovere un prodotto il cui consumo è opposto alle nostre predisposizioni biologiche poiché, la sensazione di bruciore orale che possono dare le sostanze “infiammanti” in esso contenute, sembra essere di naturale avversità. La nostra cultura ha reso piacevoli le sensazioni irritanti, così come ha sviluppato preferenza per alimenti di per sé non “palatabili”perché di gusto amaro come il caffè o la birra. Il peperoncino è un esempio di adeguamento culturale di grandissimo successo se si pensa che è usato giornalmente da miliardi di persone.

I peperoncini hanno attitudine ornamentale oltre che gustativa. Con la variabilità dei colori che va dal giallo al viola, dal verde al bianco fino all’arancio e le mille forme, sono adatti per la decorazione floreale dando il meglio di sé, grazie al loro impatto cromatico, in un periodo dell’anno in cui i fiori, quindi i colori, scarseggiano nei giardini. Il loro aspetto è variabilissimo: bacche dalla buccia lucida decisamente tonde o decisamente allungate transitando da forme, proporzioni e dimensioni diverse. Sono tutti commestibili i peperoncini ma le varietà da cucina sono meno appariscenti anche se i suoi frutti sono più grossi e più saporiti.

Originario degli altipiani della Bolivia, il peperoncino si diffuse in tutta l’America Centrale ancor prima dell’arrivo degli spagnoli nel ‘500.
Alcuni reperti archeologici messicani dimostrano che nel 5500 a.C. era già consumato come unico aromatizzante coltivato in quella zona. Portato in Europa da Colombo venne inizialmente considerato spezia dei poveri. Denominato “chili” dagli americani, in Europa prese il nome di peperoncino per l’acutezza del sapore che ricordava il pepe. Qui si diffuse rapidamente perché, essendo meno prezioso delle spezie e quindi meno costoso del pepe, poteva insaporire i cibi a basso prezzo.
Esso divenne quindi popolare perché era più facile disporne non solo perché economicamente più conveniente ma anche perché lo si poteva coltivare, oggi come ieri, sia nell’orto che in un vaso da fiori pur di proporzioni ridotte, sul balcone di casa. Gli Arabi e i Turchi lo fecero conoscere, diffondendolo, in Asia e in India dove fu apprezzatissimo ed è ancor oggi elemento gastronomico caratterizzante le cucine locali.


Le varietà di peperoncino sono più di 200 ma quelle più note al mondo hanno diversi livelli di intensità di sapore passando da niente all’infinito. Si va da zero fino a 500 Unità Scoville come il “Bell Pepper”, il New Mexico” e i “Peperoncini” prodotti principalmente nella zona del Mediterraneo e in California. Se si parla invece di “Jalapenos”, “Jamaica Hot”, “Thai”, o “Scotch Bonnet” provenienti principalmente da Texas, Messico, Jamaica e Caraibi oppure il“Kayenne”, prodotto anche in Asia e Africa, si passa da un valore di piccantezza da 2500 ad 250.000 SU, fino all’irraggiungibile livello di 300.000 SU del peperoncino “Habanero” proveniente dallo Yucatan e dai Caraibi.
Volendo una prova di ciò che affermo, si può approntare la ricetta della salsa Xnipec (in lingua Maja significa naso gocciolante come quello che vi verrà dopo averla mangiata): tritare finemente assieme ad 1 peperoncino Habanero, 2 pomodori maturi, 1 cipolla rossa, aggiungere il succo di mezzo lime e di mezza arancia e sale quanto basta. La vostra salsa sarà pronta per andare ad irrorare un piatto di pesce e … buona fortuna! Ma attenzione, la ricetta aggiunge una nota importante. Suggerisce di indossare i guanti per maneggiare il peperoncino durante la preparazione, o di tenerlo con una forchetta per non toccarlo direttamente con le mani pena l’intensa sensazione di bruciore che si prolungherà per ore: più il peperoncino è piccante, maggiore è l’intensità e la persistenza della sensazione, evidentemente non solo al gusto.

Volendo ridurre la piccantezza, è bene togliere la membrana interna perché contiene la più cospicua quantità di capsaicina lasciando stare i semi e se poi gustando un alimento insaporito con peperoncino si ha la necessità di ridurre la sensazione pungente, è meglio non bere acqua ma latte poiché la caseina contenutavi riduce la sensazione di esagerata infiammazione. La capsaicina è solubile anche nell’alcol e quindi anche le bevande alcoliche possono avere lo stesso effetto.

L’utilizzazione del peperoncino è planetaria e ogni Paese, soprattutto il sud del mondo, ha propri piatti tradizionali in cui il suo gusto è peculiare: dal Kimchi coreano, piatto con vegetali fermentati e riso, al Chitney indiano usato come condimento, al Chili messicano. Di fronte a questi veri affronti alla capacità di sopportazione di un palato medio, il gusto piccante di alcuni piatti tipici dell’Italia del sud sembrano cosa da poco. Per altro, riuscire a consumare la ‘nduja calabrese (salame spalmabile insaporito da molto peperoncino piccante), può essere un ottimo banco di prova per misurare la resistenza alla penetrante sensazione di infiammazione derivata dal suo consumo, se si vuole salire verso le più alte mete della piccantezza. Se è pur vero che in Italia esistono peperoncini di grado relativamente soft di piccantezza, è anche vero che dall’Italia parte l’iniziativa della salvaguardia culturale del peperoncino, e della sue fortissime proprietà. L’istituzione dell’”Accademia del peperoncino” con sede a Diamante, in provincia di Cosenza (e dove, se no!), conta nientemeno che cinquemila soci con in comune la passione per il piccante, numerose delegazioni sparse su tutto il territorio nazionale e svariate sedi di rappresentanza all’estero tra cui New York, Tokio, Parigi, Monaco di Baviera, Basilea, Sidney. L’accademia mira a studiare, e a mantenere vive, le tradizioni riconducibili all’uso del peperoncino e a collegare in questo modo, uniti da un interesse sicuramente condiviso, tutto il mondo.