Anno 6 - N. 18/ 2007


Il dio abbandona Antonio

“Aggiunsi l'Egitto al dominio del popolo romano"

… ; al Pelusio fu fatto scendere in una barca per parlamentare con Tolemeo e qui ucciso e decapitato (20 settembre 48 a.C.). La sua testa fu recisa e conservata: agli Egiziani non mancava certo tale competenza.

di  di Giulio Cesare Maggi



FAROS

Il faro di Alessandria immaginato da Salvador Dalì



Nella propria autobiografia, incisa su due stele bronzee l'allora settantaseienne Ottaviano Augusto così scriveva al punto XXVII.I: "Aggiunsi l'Egitto al dominio del popolo romano". Correva l'anno 30 a.C.: in quell'anno Giulio Cesare Ottaviano era console imperator, avendo come supplente M. Licinio Crasso e come colleghi nel consolato C. Antistio Veto, M. Tullio Cicerone e L. Senio Cicerone.
Dopo la guerra alessandrina, la morte di Antonio e Cleopatra VII, l'Egitto, già protettorato, diventava così provincia imperiale di Roma.
L'interesse di Roma nei riguardi dell'Egitto, il suo principale fornitore di grano e papiro, due prodotti fondamentali per la sopravvivenza e la gestione dell'Impero, risaliva a molti anni prima dell'annessione. La politica egizia era stata fondamentalmente filoromana: l'impero dei Faraoni era divenuto un protettorato all'epoca di Tolemeo VIII Evergete II (145-116 a.C.), con una stabilizzazione economica ottimale del Paese.
Dopo di lui iniziarono contrasti di successione al trono, dai quali abilmente Roma si tenne fuori. L'Egitto rappresentava sicuramente una bella preda potenziale, ma conveniva attendere il momento opportuno per intervenire manu militari.
Nell'80 a.C. fu eletto dagli Alessandrini come Faraone Tolemeo XI Filopatore Filadelfo Neo Dioniso, detto Aulete per la sua incontenibile passione per il flauto. Egli sposò la sorella Cleopatra VI Trifena. La nomina non fu all'inizio riconosciuta da Roma ma un fiume di denaro arrivato da Alessandria contribuì per il momento a salvare la posizione di Aulete. Roma intanto stava organizzando la Nuova provincia Cirenaica (74 a.C.) ed era impegnata nelle guerre di Spagna, nella rivolta di Spartaco, nella guerra contro i pirati ed infine contro Mitridate.
Nell'anno 63 a.C., essendo consoli M. Tullio Cicerone e G. Antonio, mentre a Roma aveva luogo la congiura di Catilina, Pompeo conclude in Asia la guerra mitridatica, occupando anche Gerusalemme ed il Retenu, la zona corrispondente alle coste del Libano e dell'entroterra con la Giordania, parte della Siria fino ad Aleppo, da millenni proprietà degli Egizi i quali considerarono questo atto militare un'ingiustizia di Roma nei loro riguardi. Il riconoscimento ufficiale di Aulete (59 a.C.), avvenuto sotto il triumvirato di Pompeo, Crasso e Cesare, in ogni caso accompagnato dall'esborso della incredibile cifra di 8.000 talenti da parte dell'erario faraonico, risolse il problema e così Aulete, oltre che Faraone potè fregiarsi del titolo, pagato in verità a caro prezzo, di "Amico del popolo romano".
L'anno successivo, mentre Cesare si trovava nelle Gallie, Roma occupò Cipro, anche questa come il Retenu nell'area di influenza egizia, con in più l'acquisizione di 7.000 talenti ivi depositati nel tesoro. Le enormi cifre perdute in breve tempo dall'Egitto misero in ginocchio il Regno del Nilo, che fu costretto a svalutare lo statere del 90%, cadendo così nelle mani della grande finanza romana ed internazionale.
L'annessione di Cipro mediante la Lex Clodia e il tracollo finanziario dell'Egitto misero Roma in una posizione di forza eccezionale, tuttavia con una politica disdicevole ed universalmente riconosciuta come "piratesca".
Tolemeo Aulete abbandonò l'Egitto per recarsi prima a Rodi, ove incontrò Catone l'Uticense, governatore di Cipro, e poi a Roma ove fu ospite per tutto l'anno 58 a.C. di Pompeo.
Tale comportamento indignò gli Alessandrini che inviarono al Senato romano un'ambasceria significando l'intenzione di destituire l'Aulete. Grave scandalo suscitò l'uccisione dell'ambasceria egizia, presieduta dal filosofo Dione.
Aulete, in realtà, costituiva un vero fastidio per il Senato, che vide di buon occhio il suo ritiro in Cilicia. Di qui egli offrì, come ci racconta Plutarco, 10.000 talenti a chi gli avesse consentito di recuperare il trono.
L'offerta non andò disattesa - si trattava di una cifra colossale -: Aulo Gabinio, con l'appoggio morale di Pompeo, ma soprattutto con un forte nerbo di cavalleria al comando di Marc'Antonio, riuscì nel 55 a.C. a porre nuovamente sul trono dei Faraoni Aulete.
Alla morte di Tolemeo Aulete, nel 51 a.C., essendo consoli Sulpicio Rufo e Claudio Marcello, a lui succedettero Tolemeo XII e la sorella Cleopatra VII Filopatore.
La nemica naturale del giovane Tolemeo XII, peraltro gradito agli Alessandrini, fu tosto individuata in Cleopatra, costretta a fuggire da Alessandria; essa si appoggiava a Pompeo ed a Gabinio, mentre si rifugiava presso le tribù arabe del deserto a lei fedeli.
Siamo ai tempi della guerra civile in Italia, Giulio Cesare passa il Rubicone nel 49 a.C., mentre Pompeo da Brindisi raggiunge la Grecia, anche con l'aiuto di Cleopatra che gli pone a disposizione una cinquantina di navi per il trasporto da Brindisi delle sue tre legioni. Pompeo, fuggito da Farsalo, salpando da Cipro veleggiò verso Alessandria; al Pelusio fu fatto scendere in una barca per parlamentare con Tolemeo e qui ucciso e decapitato (20 settembre 48 a.C.). La sua testa fu recisa e conservata: agli Egiziani non mancava certo tale competenza.
Di questa uccisione era responsabile il Tribunale alessandrino che la riteneva un favore fatto a Giulio Cesare.
In ottobre Cesare giunge in Alessandria e gli viene mostrata la testa di Pompeo, ciò che provocò il suo sdegno e la sua compassione nei riguardi dell'ex-commilitone e valoroso generale. Plutarco ci dice che quando Cesare vide l'anello di Pompeo scoppiò in lacrime.
Cesare era giunto in Egitto per dirimere la controversia tra Tolemeo e Cleopatra. I consiglieri di Corte puntavano sul giovanissimo Faraone, in modo di poter condurre il governo secondo i propri intendimenti. Cleopatra, secondo quanto scrive Plutarco, riuscì a ritornare in Alessandria, si dice arrotolata in un tappeto, per sostenere i propri diritti.
Donna di grande fascino, raffinata e colta, Cleopatra ammaliò Giulio Cesare fin dal primo incontro. Questi probabilmente restò attratto anche dall'arditezza della regina e ne divenne, oltre che l'amante, un ammiratore incondizionato.
Cleopatra si dimostrò abilissima nel recuperare il suo Paese dalle difficoltà economiche, rendendosi peraltro conto che esso si trovava stretto da Cirenaica ad occidente e da Siria ad oriente, due province romane. Il suo disegno era quello di portare Alessandria al livello di Roma. La decisione che i due fratelli regnassero affiancati fu ben accetta dal popolo, meno da Potino e Achillas che fino ad allora avevano dominato la Corte e praticamente fatto fare al re quello che volevano.
Achillas attaccò Cesare che disponeva di soli mille uomini: il conflitto fu descritto nel De bello alexandrino dal generale di Cesare Aulo Irzio; guerra che alcuni storici reputarono inutile, fatta solo per amore di Cleopatra, come riferisce Plutarco. Si ricorda di questa guerra l'incendio di 60 navi egizie nel porto di Alessandria che forse portò alla distruzione di una parte della famosa biblioteca, anche se le opinioni in proposito sono largamente controverse.
Il conflitto alessandrino, che vide Cesare ed Achillas comandanti rispettivamente dei due eserciti, si concluse con la vittoria di Roma, alla quale contribuirono, in modo determinante, tremila combattenti Ebrei, giunti in Egitto a bordo delle navi del Re di Pergamo, come ricorda Giuseppe Flavio nel De bello giudaico (I, 19 segg.).
La morte per annegamento di Tolemeo XII, nel corso della rotta dell'esercito egizio, rendeva la situazione politicamente più semplice sia per Cesare sia per Cleopatra, la quale nel frattempo aveva dato a Cesare un figlio, Tolemeo XIV Filopatore Filometore Cesare, chiamato dagli Egizi Cesarione o piccolo Cesare.
Cesare, dopo aver sconfitto i pompeiani in Africa nel 46 a.C. fa ritorno a Roma , ove è raggiunto da Cleopatra con Cesarione.
Cleopatra ambiva a far assurgere la città fondata nel 332 a.C. da Alessandro Magno a dignità e bellezza pari se non superiore a Roma, con una unione fra le due capitali, progetto che se poteva non dispiacere a Cesare, potenzialmente Faraone d'Egitto, non poteva certo piacere al Senato di Roma.
Sicuramente Cleopatra, che nel frattempo aveva fatto eliminare il fratello Tolemeo XIII, pensava già a Cesarione sul trono d'Egitto.
Alle Idi di Marzo del 44 a.C., essendo consoli Giulio Cesare e Marc'Antonio, Bruto e Cassio uccisero Cesare all'uscita del Senato. Come è noto Marc'Antonio si era dissociato dalla congiura, anzi aveva proposto il conferimento a Cesare del titolo di imperator e la corona aurea di rex, titolo quest'ultimo che Cesare aveva rifiutato, accettando invece quello di pontifex maximus.
Alla morte di Cesare Ottaviano tentò un colpo di Stato, proponendosi come console unico ed imperator, ma il tentativo fu sventato dal Senato. Fu eletto un triumvirato composto dallo stesso Ottaviano, Marc'Antonio e Lepido, mentre, in virtù della Lex Pedia de interfectoribus Caesaris, iniziarono le persecuzioni contro gli uomini politici oppositori. Trecento furono le vittime, la più illustre delle quali Marco Tullio Cicerone.
Data la gravità della situazione politica determinatasi in varie parti dell'impero, in particolare in Oriente, Marc'Antonio fu qui inviato a ristabilire l'ordine.
A Filippi il bravo generale sconfisse gli eserciti di Bruto e Cassio nel 42 a.C.: egli si trovò così ad essere in pratica il vero padrone dell'Oriente. Tutti i potentati d'Oriente ed i protettorati romani di quella parte del mondo erano o divennero a lui favorevoli e le accoglienze furono trionfali, con lo sfarzo proprio di quei Paesi.
Marc'Antonio, oltre ad essere uomo di complessione atletica e di una certa bellezza, era un eccellente parlatore, non privo di cultura avendo fatto i suoi studi ad Atene, ed apparteneva ad una famiglia cospicua anche se non aristocratica: era stato in Gallia e in Spagna con Cesare quale magister equitum, ma era diventato soprattutto un accorto politico e mediatore. Non gli mancavano tuttavia qualità di crapulone ed era assai prono al sesso. Virtù e difetti che agli occhi dei sovrani d'Oriente costituivano l'appannaggio degli uomini di qualità e degni del comando.
A Tarso Marc'Antonio convocò tutti i sovrani dell'Oriente con i quali Roma aveva rapporti politici o di protettorato o di interessi, e tra questi si trovava anche Cleopatra.
Racconta Plutarco che la regina si fece sollecitare più volte e che giunse per via fluviale all'incontro su una meravigliosa nave decorata di oro, argento e porpora, a bordo della quale invitò a pranzo Marc'Antonio.
La folla tripudiante andava dicendo che Afrodite veniva per unirsi a Dioniso per la gloria dell'Asia.
Marc'Antonio restò incantato dalla conversazione colta di Cleopatra e se ne innamorò anche se, dice Plutarco, la bellezza della regina non era tale da far cadere immediatamente ai suoi piedi un uomo come Marc'Antonio, avvezzo a bellezze femminili certamente superiori.
Verso la fine del 41 a.C. Marc'Antonio raggiunse Alessandria ove la regina l'attendeva dopo l'incontro di Tarso.
Dopo turbolente vicende in Italia, relative al reperimento di terre per i reduci, nelle quali Marc'Antonio fu coinvolto suo malgrado, a Brindisi fu sottoscritto fra i triumviri un patto, il cosiddetto foedus brindisinum. In quell'occasione Marc'Antonio sposò Ottavia, sorella di Augusto e si procede ad una divisione, almeno funzionale, dell'impero romano: Augusto ebbe l'Italia, Lepido l'Africa e la Sicilia, mentre a Marc'Antonio fu destinato l'Oriente.
Nel frattempo Cleopatra diede alla luce due gemelli di Antonio, Alessandro Elio e Cleopatra Selene.
Ottavia invece dava ad Antonio una bambina, Giulia: trovandosi con la famiglia ad Atene, Marc'Antonio sembrava aver dimenticato Cleopatra.
La regina del Nilo stava riportando l'Egitto ad una buona stabilità economico-finanziaria, vagheggiando che con l'aiuto di Antonio (non dubitava che prima o poi sarebbe ritornato da lei) avrebbero potuto ricondurre il Paese agli antichi splendori, rendendo Alessandria pari se non superiore alla stessa Roma.
Nel frattempo il foedus brindisinum cominciava a non essere più il collante degli interessi dei singoli sottoscrittori del triumvirato.
Tra Ottaviano e Marc'Antonio iniziarono dissapori consistenti. Antonio sbarcò con trecento navi a Taranto, deciso a marciare su Roma, mentre Ottaviano aveva espulso dal triumvirato Lepido, che aveva commesso soprusi, togliendogli così Sicilia ed Africa. Mercé i buoni uffici di Ottavia, rispettivamente moglie e sorella dei due contendenti, fu siglato il "patto di Taranto", con il prestito di cento navi ad Ottaviano e di due eserciti a Marc'Antonio per la guerra partica.
Da quell'orgoglioso generale che era, infatti, nel 36 a.C. Marc'Antonio riprese le operazioni contro i Parti, avendo in realtà l'ambizione di estendere il proprio dominio dall'Egitto fino ai limiti del Caucaso. Tuttavia, per vari motivi, la guerra contro i Parti si rivelò disastrosa e Marc'Antonio, sconfitto a Fraaspa, si ritirò in Siria sperando in un aiuto da parte di Cleopatra.
Gli giungevano nel frattempo notizie preoccupanti: l'espulsione dal triumvirato di Lepido e l'attribuzione ad Ottaviano della Sacrosanctitatis, per la quale questi era diventato divus Augustus.
L'Egitto possedeva una grande flotta ma un esercito minimo e poco addestrato, per cui Marc'Antonio, rifiutando gli aiuti propostigli da Ottavia, si recò ad Alessandria, cadendo un'altra volta schiavo d'amore della regina del Nilo.
Tuttavia, di fronte al fatto che ormai Augusto era di fatto l'imperatore di Occidente, Marc'Antonio aggredisce l'Armenia e celebra la vittoria con un trionfo, non a Roma, come avrebbe dovuto, ma ad Alessandria.
Siamo nel 34 a.C. e Marc'Antonio è ancora console e pertanto il trionfo "fuori casa" è tanto più grave.
Roma prepara quindi una guerra contro Cleopatra, mentre i rapporti tra Ottaviano e Marc'Antonio peggiorano ulteriormente dopo il divorzio di questi da Ottavia.
Subito dopo il trionfo Cleopatra e Cesarione furono proclamati regina e re d'Egitto, Cipro ed Africa, mentre i figli di Antonio re e regina dei vari paesi sotto il dominio di Marc'Antonio.
Seguendo le credenze egizie Antonio fu assimilato a Dioniso e Osiride e Cleopatra a Iside.
Forse non si rendevano conto che Marc'Antonio stava appropriandosi e distribuendo ad altri, paesi che in realtà, salvo l'Egitto, erano di proprietà del popolo romano: in un impeto di follia fu chiesto a Roma il riconoscimento ufficiale delle nomine.
Questo tentativo di creare un regno ellenistico-orientale sarà fatale per Marc'Antonio: di fronte alle accuse formulate da Augusto contro Marc'Antonio davanti al Senato, al quale gli ambasciatori di Antonio non poterono parlare, non vi era più spazio per un compromesso onorevole.
La Sacrosanctitatis decretata a Cesare Augusto salvò quest'ultimo dalle conseguenze di un atto molto grave: egli era riuscito ad ottenere dalle Vestali, in modo illecito, il testamento di Antonio, depositato presso il loro tempio, con il quale Antonio lasciava a Cesarione l'Egitto e ai tre propri figli avuti da Cleopatra, il regno d'Oriente. Era stata infatti violata da Augusto la Lex Cornelia de falsis, promulgata nel 181 a.C.: in ogni caso fu evidente ai Senatori la illegittimità dei propositi di Antonio.
Saggiamente a questo punto Ottaviano Augusto dichiarò guerra a Cleopatra evitando così di dar inizio ad una guerra civile.
La coniuratio dell'Occidente a Ottaviano, espressa a suo tempo per verba dal popolo e dall'esercito venne confermata nel 32 a.C., mentre iniziavano i preparativi di quella che passò alla storia come Guerra alessandrina.
Antonio e Cleopatra intanto da Efeso erano passati a Samo e di lì ad Atene, mentre entrambe le parti si apprestavano al completamento dei preparativi bellici.
Antonio disponeva di 100.000 uomini e 20.000 cavalieri, ma l'inizio delle operazioni non fu terrestre bensì navale. La flotta di Antonio comprendeva 400 navi, 60 quella di Cleopatra.
La battaglia navale avvenne nelle acque ioniche di Azio, nei pressi del Golfo di Ambracia, di fronte alla regione attuale di Preveza.
Gli storici ricordano questa battaglia come una delle meno cruente, caratterizzata da una grande confusione. Le navi romane accerchiarono quelle di Antonio, mentre la flotta di Cleopatra, inspiegabilmente, veleggiò verso il Peloponneso. Antonio e Cleopatra si salvarono a stento. Il 1° settembre del 31 a.C. non era stato per essi un giorno da segnarsi albo lapillo.
L'esercito di Antonio, lasciato senza ordini, passò ad Augusto mentre i vari alleati d'Oriente facevano ritorno ai rispettivi regni.
Dopo la sconfitta Antonio ritorna ad Efeso ed in Siria e persino a Roma, mentre Cleopatra dichiara di contentarsi dell'Egitto per sé ed i figli, ed Antonio dichiara (ma nessuno gli da risposta) di essere disposto a ritornare un privato cittadino, magari ad Alessandria.
Come tutta risposta a Cleopatra Augusto raggiunge Corinto e Rodi e di lì naviga verso Pelusio.
Vinto in battaglia da Augusto, Marc'Antonio, abbandonato dai suoi, chiede al suo schiavo Eros di ucciderlo, ma questi si sottrae all'ordine suicidandosi. Dice Plutarco che Antonio abbia detto: "Bravo Eros, tu mi insegni come io debba fare ciò di cui tu sei capace", detto questo si trafisse con la propria spada.
Pare che Antonio non sia morto sul colpo e che trasportato alla tomba ove si era rifugiata Cleopatra, sia morto tra le sue braccia. Fatto seppellire Antonio, con gli onori degni di un re, Cleopatra tentò di ingraziarsi Augusto.
Un colloquio con questi sembrò rasserenare, malgrado tutto, la regina; ma quando ella venne a sapere che questi divisava di portarla a Roma, per esibirla al popolo sul carro trionfale, chiesto ed ottenuto il permesso di recarsi alla tomba di Antonio, qui, come dice la tradizione, la regina si uccise facendosi mordere da due serpenti velenosi, assieme alle due fidatissime ancelle. Augusto dispose per lei funerali degni del suo rango, e rinunciò, mediante il dono di duemila talenti, a far abbattere le statue a lei dedicate, il che non avvenne per quelle di Antonio.


Quanto fin qui scritto fu da me letto in seconda Liceo del R. Ginnasio-Liceo Arnaldo da Brescia nell'autunno del 1941, quale tesina relativa alla morte di Antonio, fattami eseguire dal professore di greco, ordinario nel Liceo di Brescia, allievo ed aiuto del celebre Manara Valgimigli all'Università di Padova.
Ma vi era un motivo più profondo. Il professore, venuto a sapere che conoscevo bene (allora!) il neo-greco, mi aveva invitato a tradurre con lui alcune poesie del poeta greco-alessandrino Constantinos Kavafis (1863-1933) allora praticamente ignoto in Italia. Alcune di queste, da me tradotte, sono state pubblicate nel numero 8 di questa Rivista (2004).
Assieme allo scritto qui pubblicato ho ritrovato anche testo e traduzione de "Il dio abbandona Antonio" che aveva motivato la presentazione della tesina.
La poesia compare nella edizione integrale alessandrina del 1935 che era nella mani del professore di greco.
Oggi Kavafis, morto nel 1933, è noto al grande pubblico anche in Italia.
Alcune delle sue poesie, pubblicate negli anni Trenta, una decina in tutto, tradotte da Pontani, Ungaretti e Moravia uscirono in riviste specializzate e perciò rimaste pressoché ignorate. Una traduzione quasi integrale, ad opera di Filippo Maria Pontani, molto bella, comparve nel 1961.
Saggi greci sul poeta, pressoché inaccessibili, stimolarono uno studio critico di Marguerite Yourcenar e di C. Dimaràs, con annessa traduzione in prosa.
Traduzioni parziali in inglese ad opera di Virginia Woolf compaiono nel volume Pharos and Pharillon di E.M. Forster, mentre la traduzione integrale è di J. Mavrogordatos.
La poesia "Il dio abbandona Antonio" che parla di un mistico "thiasos dalla squisite musiche e dai canti", che trascorre a mezzanotte le vie di Alessandria, mentre Antonio medita, dobbiamo immaginare, sulla propria fine, deriva il proprio titolo, ritenuto ambiguo da Malanos, secondo quanto informa Pontani, dal racconto di Plutarco (Antonio), il quale parla di una compagnia di misti, di un thiasos, secondo quanto ritiene, mi pare logicamente, Pontani.
La fonte plutarchesca fu fatta propria anche da W. Shakespeare in Antony and Cleopatra (atto IV, 38) il quale fa dire ad uno dei due soldati di Antonio:

" I's the god Hercules whom
Now leaves him".

E, ricorda ancora Pontani, di Shakespeare fu memore T.S. Eliot che nella poesia "Burbank with a Baedeker: Bleistein with a Cigar" a questo proposito dice:

"... the God Heracles had left him, that loved him well".

Personalmente avevo pensato piuttosto a Serapide, il dio di Alessandria, collegandomi al concetto di Thiasos, di riti iniziatici, così popolari in Alessandria dopo la comparsa dei Lagidi.
Nella poesia "Voci" Kavafis ricorda la presenza notturna di iniziati e misti, mentre la città è percorsa da cortei e da una

"... notturna musica
che perde vita mentre si allontana".

Ma mi sembra non doversi trascurare un possibile riferimento a Dioniso, al quale dio Antonio era stato paragonato in più occasioni, dall'incontro di Tarso all'epoca del "sacro matrimonio" fino all'incoronazione di Cleopatra, essa stessa assimilata alla dea Iside.
E concluderei queste pagine con un verso di Kavafis il quale, con il pathos che gli è abituale, con uno spunto sicuramente autobiografico, ma che si addice anche allo stato d'animo di Antonio, dell'ineffabile città di Alessandria così recita:
"e qui giace sepolto, come un morto, il cuore".

IL DIO ABBANDONA ANTONIO

Se all'improvviso, a metà della notte,
un invisibile Tiaso si udrà passare,
dalle squisite musiche e dai canti,
non lamentarti se la tua Fortuna impallidisce,
se fallita è la fatica di tua vita,
se illusioni si sono rivelati i tuoi disegni:
pronto come chi con coraggio sa prevedere la sua sorte
salutala quest'Alessandria che ti fugge.
Soprattutto non ingannare te stesso,
non dire che è stato un sogno,
che ti ha tradito l'orecchio,
a inutili speranze non soggiacere.
Ma con risoluto coraggio, quale si conviene
a chi ebbe il privilegio di sì grande città,
deciso procedi alla finestra e con animo sensibile
senza preghiere e lamenti che sono dei codardi,
ascolta - ultima delle tue emozioni -
le voci ed i suoni del mistico Tiaso
e saluta Alessandria che tu perdi.

(Traduzione nostra, 1941, da K. P. Kavafis, Ta Poiemata, Alessandria, 1935).