Anno 6 - N. 17/ 2007


Mozart & Figli Wolfgang Amadé strettamente riservato

“L’attenzione di un mondo, non solo musicale per Mozart, ha frugato anche tra le pieghe della sua sessualità...”

… Addirittura, cancellati i tempi in cui il sodalizio faceva dichiarare al tenero Wolfi: “dopo Dio c’è il mio papà”.

di Pierfranco Vitale



Silhouette della famiglia Mozart (Costanze, Wolfang Amadé e il piccolo Raymund Leopold) datata 17 ottobre 1783.

Salisburgo, Museum Carolinum Augusteum (inv. Nr. 122/24)


Mi sembra giusto, anzi, togliamo quel “sembra”, così ambiguo ed approssimativo per un argomento ben definito anche nei contorni dell’essenzialità, l’aver dibattuto, esaminato ed approfondito il rapporto tra Padre e Figlio Mozart: Leopold e Wolfgang.
Le loro esistenze parallele e sofferte anche quando l’amore annodava in legami morbosi i sentimenti del genitore, gradualmente eclissato dal figlio dalle misure d’ingombro sempre più sproporzionate, si divaricarono solo a Vienna, in modo pressoché definitivo.
L’infanzia di Wolfgang e la maturità di Leopold in contemporanea sul rigo musicale, i viaggi per l’Europa e in Italia, la quotidianità nella sopportata Salisburgo e nella soffocante Corte arcivescovile di Colloredo, la puntigliosità nell’epistolario dei due uomini di casa Mozart, la lacerante separazione del viaggio a Parigi con la sola madre furono un tutt’uno con il divenire, il crescere del Genio. Padre e figlio per le viuzze di Salzburg.
Le piogge intermittenti dei cieli del Saltzburger, il gioco dei tarocchi, le visite ai Lodron, i pranzetti dagli Hagenauer, le Sante Messe seguite con raccoglimento, sbirciando le gote della Fraulein seduta un poco più in là, il parlar grossolano, la materialità delle birbonate agli amici del tiro a segno – il Bölzlschßen – e ancora l’amore per gli animalucci, cane gatto e canarino: un variopinto collante per fissare al comune respiro fisiologico di Wolfgang il soffio creativo di una gavotta, un miserere, un’opera buffa. Padre e figlio per le viuzze di Salzburg.
Rimando il cortese lettore al volume pubblicato da Arnoldo Mondadori dal titolo Mozart, padre e figlio di Florian Langegger.
Ciò che invece non mi sembra giusto è l’aver trascurato - un po’ tutti – il rapporto di Wolfgang Amadé Mozart coi suoi sei figli.
Dopo il matrimonio con Constanze Weber ed il suo insediamento in Vienna come libero artista, la dicotomia dal ramo paterno diventa strabismo, per diverse ragioni, ed il rapporto Leopold-Wolfgang non si correggerà mai più: una certa arrendevolezza formale di Leopold nei riguardi della nuora e la mossa, solo tattica, di immettersi nella loggia “Zur wahren Eintracht” per stare col figlio, non giovano granché all’autore della Pastorella delle Alpi.
Si presume che Wolfgang avesse intravisto nella Massoneria un luccichio di idealità, fino allora compressa nelle spire dell’assolutismo asburgico, se pure illuminato, e l’intraprendente Leopold s’era acriticamente accodato al figlio, pur di stare, per ora, vicino al suo ragazzo e poi... e poi si vedrà, ma non si sarebbe mai più visto. Addirittura, cancellati i tempi in cui il sodalizio faceva dichiarare al tenero Wolfi: “dopo Dio c’è il mio papà”.
E come papà, Wolfgang Amadé Mozart, com’è stato?
Tutti viennesi i figli della Costanza e del Volfango:
1° Raymund Leopold, 17 giugno - 19 agosto 1783, due mesi di vita;
2° Karl Thomas, 21 settembre 1784 - 31 ottobre 1858 a Milano;
3° Johann Thomas Leopold, 18 ottobre - 15 novembre 1786, un mese!
4° Theresia Maria, 27 novembre 1787 - 29 giugno 1788, sette mesi!
5° Anna Maria nasce e muore il 16 novembre 1789: un solo giorno!
6° Franz Xaver, 26 luglio 1791 - 29 luglio 1844.
È del tutto evidente il pesante dato storico sulla mortalità infantile dell’epoca. Agli abbozzati, ingenerosi, inconsci cicli vitali di Raymund Leopold, Johann Thomas, Theresia Maria e Anna Maria seguono le quattro esequie di ordinaria amministrazione, con un contorno di qualche ora di commozione e nessuna nota, all’infuori delle registrazioni anagrafiche, degna di rilievo.
Credo che chi abbia sofferto veramente per la morte del piccolo Raymund sia stato l’attore Giulio Brogi, interprete di Mozart in uno sceneggiato radiofonico di dieci anni or sono, dove lo strazio di Brogi Mozart padre di fronte al corpicino inanimato del primogenito riuscì - tanto intensa l’immedesimazione nella parte - a perforare l’etere e a raggiungere in molti ascoltatori le corde del cuore.
Rimangono Franz Xaver, praticamente nullo nell’ottica del padre nel preludio della sua scomparsa nel fatidico 5 dicembre e Karl Thomas, settenne, già zeppo di salute, che la porta comodamente fino ai 74 anni, tranquillo, pacioso, ricco in Lombardia, impiegato statale o comunale fa differenza? E per carità, nessun processo o scandalo postumi, se un figlio del Genio è cresciuto agli antipodi paterni.
E questo padre, legittimo chiederselo, come si è sentito padre?
Pretendere di reperire documentazione sui sentimenti di dolore per la perdita dei piccolissimi Mozart è cosa fuori discussione.
Karl Thomas, abbiamo visto, sarà Mozart solo per crogiolarsi nella scia della fama paterna e il musicista Franz Xaver diventerà nevrastenico anche nella constatazione di aver avuto “padre” il Signor Wolfgang Amadeus Mozart.
E questo Signore, padre, come si è sentito tale? Quali comportamenti? Quali emozioni? Quali prospettive accarezzate per i figli? Solo illazioni.
Riserviamoci una sommaria esplorazione della composizione in parallelo alle pudiche presenze delle afone creature dei coniugi Mozart. Poco prima della fulminea estate di Raymund Leopold, da giugno ad agosto 1783, un concerto per corno e orchestra, per Ignaz Leutgeb; due arie per soprano e orchestra (Aloysia Lange...); due arie per tenore (Valentin Adamberger); due dei sei quartetti per Joseph Haydn e per il fratello di questi, Michael, due Duo per viola e violino ed emblematicamente restano incompiute L’oca del Cairo, Lo sposo deluso e la Grande Messa in do minore dedicata alla moglie Constanze, tra una quantità di frammenti, arie, fughe, in ordine sparso.
Di Karl Thomas, nato nel settembre 1784, notiamo che mangia, beve, dorme, frigna, fa i capricci, gioca, esce e rientra con mammà, guarda “papi” incorniciato dalle penne d’oca ed il più assoluto anonimato congela nello stereotipato rapporto i due strettissimi parenti in una routine a dir poco banale. Dovremo attendere il dottore Pietro Lichtenthal, musicologo ed autore di un volume dedicato al celebre maestro Volfango Amedeo Mozart (pubblicato da Giovanni Silvestri, sito in Milano, agli scalini del Duomo n. 994, anno 1816) per sapere che Carlo Mozart, impiegato in un C.R. ufficio, è un dilettante di musica ed eccellente suonatore di cembalo.
Lo scarsissimo mese dell’esistenza di Johann Thomas: dall’ottobre al novembre 1786. Un andante con variazioni per pianoforte a quattro mani ed un trio per pianoforte e archi costituiscono lo specchio della scarsa vena compositiva del padre presumibilmente impacciato e disorientato dalle precarie condizioni del terzo genito.
Vola impalpabile la minuscola anima verso il regno degli angioli e Mozart riequilibra lo scompenso con lo splendido Concerto per pianoforte e orchestra in do maggiore, solare anticipazione della sorprendente Prager-Sinfonie.
Anno bruttino, il 1787, per il suddito Wolfgang Amadé Mozart. A fine maggio muore il padre, Leopold, nella depressa Salisburgo e Constanze informa il consorte della nuova gestazione. La nomina a Imperial Regio Kammermusik nella Corte degli Asburgo (l’agognato posto fisso!) in successione al compianto Willibald Gluck lo vede penalizzato dai duemila fiorini annui ai soli ottocento. Per la verità rimarrà un mistero la diversità di trattamento economico tra Gluck e Mozart: forse non tanto misterioso se ci soffermiamo a considerare non il Gluck grandissimo musicista, ma il cavalier C. Gluck, umilissimo e obbedientissimo servitore sia del Granduca di Toscana, di Luigi XVI e di Maria Antonietta Regina di Francia e certo, senza entrare in un merito estraneo all’argomento qui trattato, saranno bastate le briose e sferzanti Nozze di Figaro a determinare il drastico taglio dello stipendio a questo Signor Mozart.
Nel bellissimo anno 1787, per quanto riguarda la musica, nel mese di agosto Eine kleine Nachtmusik, in ottobre Don Giovanni, in novembre, il ventisette novembre, arriva Theresia Maria, nel febbraio del 1788 il Concerto per pianoforte e orchestra Dell’Incoronazione, a fine giugno la Sinfonia in Mi bemolle maggiore detta “il canto del cigno” e, a poche ore di distanza, anche Theresia Maria si leva nel volo senza ritorno, lasciando al padre tempo, voglia e ispirazione di comporre, tra il luglio e l’agosto di questo 1788, la Sinfonia in sol minore e la Jupiter. Sette, sono stati i mesi della speranza di vedere vivere la bambina... tanti, in confronto con il 16 novembre 1789, allorché in Casa Mozart Anna Maria appare e sparisce in sole ventiquattro ore, mentre è in pieno svolgimento la stesura di due atti di un dramma giocoso suggerito dall’Imperatore Giuseppe II, il Così fan tutte e il 26 luglio del 1791 arriva Franz Xaver. Ave Verum Corpus, Flauto Magico, La clemenza di Tito, il Concerto per clarinetto e orchestra, il Requiem, con il noto intervento postumo di Franz Xaver Süssmayr, dopo l’ottava battuta del Lacrimosa.
L’attenzione di un mondo, non solo musicale per Mozart, ha frugato anche tra le pieghe della sua sessualità, del suo stato di salute, del suo essere “animale politico” (filosoficamente inteso), del suo sforzo di conciliare caparbiamente libertà d’espressione artistica con riscontri economici adeguati, restando comunque sempre e senza soluzioni agli interrogativi se non per riconfluire fatalmente nella ripetitiva e assolutoria definizione di “GENIO”. La inconfutabile eccezionalità musicale mozartiana fa perennemente valere, e chissà per quanto tempo futuro ancora, il paragone terreno di ritenerla pari al Monte Everest, la cima più alta del mondo. Certo e non sarebbe tale se tutto attorno alla punta innevata più vicina al cielo, non facessero corona le cime di altrettante realtà del pentagramma, attestate su altre catene montuose orograficamente più modeste ma musicalmente altrettanto geniali, splendidamente geniali.
Tanta vertigine provocata dalle analisi e dal godimento della creatività del salisburghese può aver fatto trascurare l’aspetto umano “dovuto” a chi, come un Mozart, ha così tanto dato all’umanità.
Vogliamo, perciò, amare il nostro Wolfi un pochino di più?