Anno 6 - N. 17/ 2007
Quale etica? Quale medicina? Quale mondo? Quale salute?
ETICA MEDICA NEL MONDO ATTUALE
[...] Molti anni fa tutti noi medici abbiamo ricevuto dalle mani dei nostri maestri una pergamena sulla quale era trascritto il primo codice etico della storia: il “giuramento di Ippocrate”. Io sono certo che ancora oggi, in un mondo così diverso da allora, quella pergamena è ancora nei nostri cuori.
di Giancarlo Nicola
Etica dunque medica nel mondo attuale per essere in salute.
Prima di cercare di dare una risposta a questo arduo problema mi sia consentito di farmi quattro domande. Quale etica? Quale medicina? Quale mondo? Quale salute?
La differenza essenziale tra l’uomo e l’animale è rappresentata dall’invenzione del linguaggio simbolico. Nato circa centomila anni fa, ha consentito all’uomo di trasmettere le informazioni. Da padre in figlio, da uomo a uomo: nasce così la cultura.
Ma con il linguaggio l’uomo non solo descrive ciò che lo circonda ma immagina mondi diversi e diverse realtà. Si crea così un conflitto tra immaginazione e realtà, tra fantasia ed oggettività, tra sogno e quotidianità e la esigenza di cercare la verità.
Nascono così la scienza, che è la ricerca della verità nei fenomeni fisici e la filosofia che è la ricerca delle verità essenziali che riguardano l’uomo ed il suo essere.
Ma mentre la ricerca scientifica e quella filosofica sono e debbono essere libere come libero ed ingovernabile è il pensiero, l’applicazione delle scoperte scientifiche e filosofiche, cioè le tecnologie e le ideologie, debbono essere indirizzate al bene comune.
Si passa così dall’etologia, che è lo studio del comportamento animale, dettato dal suo patrimonio genetico e dalle regole darwiniane della mutazione e della selezione, all’esigenza di una nuova dottrina che faccia riferimento al comportamento pratico dell’uomo che, al di là del legame con il suo patrimonio genetico che, con una parola ormai superata, regola gli istinti, tenga conto anche del suo patrimonio culturale: nasce così l’etica.
Ma quale etica?
Se il comportamento dell’uomo è determinato oltre che dal patrimonio genetico anche dalle sue molteplici radici antropologico-culturali si avranno differenti modelli etici individuali e collettivi essenzialmente basati sull’evoluzione del pensiero filosofico e sociologico ma sempre più influenzati dall’economia e dal rapporto uomo-ambiente.
Si sono così differenziati un modello etico liberal-radicale per il quale tutto ciò che deriva dalla libertà della ricerca è eticamente accettabile, quello pragmatico-utilitarista per il quale ogni scelta deve tener conto del rapporto costo-beneficio, quello socio-biologico-naturalista che si fonda sul mantenimento dell’equilibrio tra l’uomo e la biosfera e quello antropologico-personalista che ha come riferimento primario la persona umana e la sua capacità di autodeterminazione.
Sono queste differenze culturali, quelle relative alla formazione personale oltre alle inclinazioni ideologiche ed alle radici antropologiche che creano i differenti comportamenti sociali: unico ed inimitabile quello del singolo, difficilmente regolabile da parte del legislatore quello della collettività.
Questo dualismo, patrimonio genetico e patrimonio culturale, perpetuatosi nel tempo e parallelamente il legame sempre più stretto tra l’evoluzione della medicina e l’aumento della complessità della società, hanno comportato la fine dell’etica medica nella sua unicità e la sua suddivisione in due diverse connotazioni.
Da una parte quella dei doveri del medico nei confronti di particolari stati sociali quali i diritti ed i doveri nei suoi rapporti con le istituzioni, col pubblico e con i colleghi, gli aspetti economici, il segreto professionale e le sue responsabilità; dall’altra parte quella relativa alla valutazione critica ed all’impatto non solo sulla pratica medica ma anche sui comportamenti economici, politici e sociali della comunità, di quel nuovo fattore dotato di grandissimo valore per la salute dell’uomo ma anche di grande potere destabilizzante rappresentato dalla ricerca scientifica.
Sono nate così la “deontologia” proposta da Bentham nel 1834 (Deontology or Science of Morality) e basata sulla dottrina utilitaristica del rapporto costo-beneficio e la “bioetica”, proposta da Potter nel 1972 come scienza della sopravvivenza e del miglioramento della condizione umana.
Il progressivo affermarsi della tecnologia, il modificarsi della cultura della malattia e dell’assistenza, l’inesorabile prevalere delle esigenze collettive su quelle individuali hanno finito per deteriorare progressivamente il rapporto di fiducia tra medico e paziente privilegiando l’aspetto tecnico-professionale e rendendo quello umano sempre meno rispettoso della personalità psico-fisica del malato.
Ecco che a questo punto si pone la seconda domanda.
Quale medicina?
Al tempo di Ippocrate la medicina era la cura del malato ma 25 secoli di storia, di evoluzione sociale ma soprattutto l’immensa mole di scoperte scientifiche dell’ultimo secolo e l’interazione delle varie discipline hanno permesso di penetrare e di scandagliare l’essere umano fin nei suoi minimi particolari e nelle sue più complesse funzioni.
Dallo studio dell’organo e dei sistemi si è giunti alla fisiologia e patologia molecolare per arrivare all’ingegneria genetica capace di poterlo modificare l’uomo, onde meglio adattarlo alle esigenze della società contemporanea, fino al punto di trasformarlo in strumento per più o meno inconfessabili fini.
Anche gli istinti, le passioni, il pensiero possono essere governati dalle manipolazioni genetiche e dai mediatori chimici che potrebbero compromettere quella singolarità della mente dell’essere umano.
Dalla medicina ippocratica “per l’uomo”, inteso nella sua inscindibile unità di “paziente” che si affida ad un altro suo simile, il medico, al quale chiede professionalità, aiuto, comprensione e speranza per riguadagnare quella capacità critica e di autodeterminazione, come pure la sua dignità e qualità della vita che la malattia gli ha negato, siamo passati alla medicina di oggi che è una medicina “dell’uomo” cioè di un organismo mirabilmente complesso frutto di una lunga evoluzione e selezione, per il quale vi è oggi a disposizione un imponente apparato di supplenza e manutenzione ed un altro altrettanto immenso magazzino ricambi ai quali attingere in caso di necessità.
Non solo per combattere aggressioni, correggere difetti o riparare organi ed errori genetici ma anche potenziare determinate funzioni al fine di trasformare la selezione naturale nella possibilità di creare dei superuomini.
I laboratori di ricerca e la sperimentazione sono ormai rappresentati da team multidisciplinari dove bioingegneri, chimici molecolari e fisici delle particelle interagiscono con tecno-medici nella realizzazione della biorobotica, della protesica, della farmacologia, della biochimica autoriproduttiva.
E il medico è stato coinvolto in questo mutamento diventando sempre più il medico “dell’uomo”, affascinato dalle opportunità della sempre più raffinata diagnostica e dalla sempre più agguerrita terapia.
Altre opportunità gli sono state offerte dalla prevenzione, dall’igiene personale ed alimentare, dal potenziamento delle strutture ospedaliere, dalla organizzazione sanitaria e dalla medicina sociale.
Ne è risultato un miglioramento della salute con un significativo allungamento della vita media ed un conseguente significativo invecchiamento della popolazione con le relative implicazioni mediche e sociali.
Tutto ciò ha peraltro contribuito ad un vertiginoso aumento dei costi economici della sanità, che viaggiano ormai attorno al 10% del P.I.L. del Paese. La necessità di un loro controllo vede nel medico il principale arbitro del conflitto accuratezza diagnosticoterapeutica – spesa sanitaria; conflitto nel quale è coinvolto nella duplice veste di professionista e cittadino.
Ecco allora che l’etica medica, o meglio la bioetica, si è trovata nello scorso decennio al centro di un confronto-scontro tra due opposte correnti di pensiero: una di indirizzo laico-protestante fondata sull’idea della qualità della vita come valore primario e quindi favorevole ad ogni intervento teso a migliorarla; l’altra, di ispirazione cattolica, basata sul principio della sacralità della vita e quindi contraria a qualsiasi artificio che la possa alterare nel suo complesso.
Confronto-scontro che trova nel mondo che cambia il campo di battaglia ove i diversi fattori deontologici, bioetici, economici, ideologici e socio-politici che influenzano il comportamento medico in tutti i suoi aspetti vengono a confrontarsi e scontrarsi.
Ed è qui che si pone la terza domanda.
Quale mondo?
Ed anche qui sono due gli attori sul palcoscenico di questo nostro mondo: la demografia e la sociologia.
All’inizio del Novecento la popolazione mondiale è di poco più di un miliardo e mezzo di individui; alla fine degli anni settanta avevamo raggiunto i tre miliardi; negli ultimi 25 anni del ventesimo secolo la popolazione mondiale è raddoppiata. I sei miliardi sono stati raggiunti nel dicembre del 1999 ed oggi siamo a sei miliardi e quattrocento milioni ed il dato non è certo perché in alcune parti del mondo i dati anagrafici sono arretrati o carenti o, come in Cina, falsati dalla mancata denuncia dei nuovi nati per motivi fiscali.
Le proiezioni demografiche sostengono che nei prossimi 25 anni la crescita della popolazione subirà un certo rallentamento ma, ciò nonostante, nel 2030 il numero di individui sul pianeta potrà essere attorno ai nove miliardi nelle previsioni più ottimistiche ed attorno ai dodici miliardi in quelle più pessimistiche.
Sono cifre che inducono a molteplici riflessioni per le molteplici implicazioni che si verranno a determinare in tutti i campi relativi all’esistenza della specie umana sul nostro pianeta.
Accenneremo soltanto alle più importanti ripercussioni che l’esplosione demografica avrà nei confronti della sostenibilità di questo allarmante fenomeno: le risorse idriche ed alimentari, le necessità energetiche e l’inquinamento in tutte le sue forme (effetto serra, smog. rifiuti, sostanze tossiche, polveri sottili, diminuzione della fauna ittica ecc.), senza dimenticare che tutte queste problematiche hanno grandi ripercussioni negative sull’economia, sulla politica, sulla società e sui suoi comportamenti.
Ecco così che si presenta alla ribalta il secondo attore di questo nuovo mondo: la sociologia. La storia dell’uomo si snoda attraverso le sue necessità e le sue attività per soddisfarle e la velocità di questa storia segue lo sviluppo demografico della popolazione.
La società contadina è seguita alla società errante allorché la popolazione si è fatta stanziale e per secoli è rimasta pressoché immutata fintantoché nelle zone più sviluppate del pianeta si è affermata l’attività industriale.
Poi, in tempi sempre più rapidi, si è trasformata, parallelamente allo sviluppo scientifico-tecnologico ed a quello demografico, in post-industriale, del terziario e successivamente in quella telematica.
L’“information technology” ha successivamente abbattuto le barriere dello spazio ed ha ridotto il concetto di tempo all’istantaneità, garantendo così in tempo reale l’equivalenza di qualsiasi luogo. Ne deriva pertanto la predominanza del tempo come fattore di dominio dello spazio.
È il principio della globalizzazione.
Nello spazio globale non esistono leggi, controlli, polizia, tribunali ma soprattutto non ci sono regole. Internet appartiene a tutti e a nessuno, non fa parte di alcun paese, non ha nazionalità, sfugge a qualsiasi autorità o sovranità. È il mezzo che ha cambiato il mondo.
L’istantaneità impoverisce lo spirito. Non c’è più tempo per pensare. L’uomo della società mediatica non riflette più, guarda: guarda lo schermo della TV o del computer.
E Giovanni Sartori afferma: “il vedere sta atrofizzando il capire”.
Anthony Giddens, il sociologo Direttore della London School of Economics, conclude che sta nascendo “una società globale cosmopolita” non promossa “da una volontà umana collettiva ma che cresce con modalità anarchiche ed accidentali”.
È una nuova era, post-moderna che Zygmunt Bauman, sociologo polacco che insegna a Leeds, ha definito “modernità liquida”.
Una nuova era che, pur conservando l’inarrestabile spinta alla modernizzazione, è caratterizzata dalla fluidità delle strutture che la animano e pervade tutta la società in tutte le sue componenti.
L’individualità è caratterizzata da una sfrenata deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali.
L’incontro tra le persone deve portare ad una desiderata reciproca compagnia con il mantenimento però di una giusta distanza tra le stesse che le metta al riparo da un possibile più stretto coinvolgimento.
Per quanto concerne il lavoro, oggi lo si acquista, al pari di altre merci, in negozi, acuendo in questo modo la precarietà e l’instabilità della vita dell’individuo.
Anche l’idea del progresso, che era un pilastro della modernità solida, non trova più spazio in questa epoca fluido-moderna, in quanto tutta la nostra vita è rivolta a cogliere solo gli aspetti gratificanti del “carpe diem”. Il progresso, nella società liquido-moderna non è più governato da autorità centrali come lo Stato, che dovrebbe guidare lo sviluppo, ma è lasciato al servizio di tutti i soggetti privati che ne vogliano far parte.
Parimenti, l’economia, la comunità, la famiglia e l’amore stesso sono coinvolti in questa modernità liquida che non riesce a mantenere le proprie forme nel tempo e si sottrae alla regola che caratterizzava i pilastri dell’era moderna, dell’era solida. Il relativismo sostituisce le certezze. E così anche la bioetica viene messa in discussione.
Se un’ipotesi scientifica è dimostrata possibile dalla tecnologia, essa verrà realizzata anche in contrasto con le leggi e con l’etica corrente ed i principi etici dovranno essere continuamente corretti per giustificare quanto si è realizzato.
In questa società globalizzata multietnica e multiculturale di oltre sei miliardi di esseri umani, sempre più secolarizzata dove alle certezze della modernità solida si sono imposte le incertezze della modernità liquida, le fughe in avanti della clonazione, della procreazione assistita, delle manipolazioni genetiche, dell’eutanasia e di altre ardite tecnologie che, se anche hanno affascinato, hanno peraltro scosso le coscienze inducendo a valutare le ricadute di questa tecno-medicina sul concetto di salute e della sua salvaguardia secondo il dettato costituzionale.
Si pone qui, quindi, la quarta domanda.
Quale salute?
Salute come assenza di malattia o come diritto sociale? Protezione dell’integrità e dell’efficienza dell’essere umano in rapporto alle condizioni del singolo o qualità della vita in rapporto all’ambiente?
I mutamenti socio-ambientali conseguenti al progresso tecnologico ed allo sviluppo sociale si ripercuotono in modo significativo sull’essere umano nel corso del suo ciclo vitale e sulla comunità nel corso della sua evoluzione.
Ecco allora che il concetto di salute e della sua tutela, che è alla base dell’art. 32 della Costituzione Italiana, richiede un suo chiarimento in rapporto ai mutamenti che si sono verificati negli ultimi cinquant’anni. La società moderna chiede non solo la tutela della salute di cinquant’anni fa, ma esige la tutela di ciò che può essere meglio identificato col concetto di benessere.
Concetto che comprende oltre all’integrità ed all’efficienza dell’essere umano anche la tutela ed il soddisfacimento di esigenze connesse con le nuove frontiere della psicologia, dell’estetica, dell’economia, del lavoro, dell’ambiente e dei rapporti sociali con le conseguenti ricadute sull’organizzazione e sui costi della sua tutela.
La reazione verso molecole proteiche estranee al nostro metabolismo (allergeni e OGM), l’inquinamento ambientale (energia, rifiuti, prodotti chimici naturali ed artificiali), le nuove tecnologie, l’adattamento alle condizioni indotte dallo sviluppo socio-economico ed alle opportunità offerte dalla farmacologia e, in particolare, il notevole allungamento della vita media sono le sfide che quotidianamente minacciano l’equilibrio psicofisico dell’individuo e della società.
Le domande che mi sono posto non hanno avuto fino ad ora una risposta ma hanno offerto molteplici spunti di riflessione che ruotano tutti attorno ad un confronto-scontro tra sviluppo-progresso e bene comune.
In questi ultimi tempi sulla stampa, nei dibattiti, sui media, nella letteratura e nel parlare comune vi è una diffusa richiesta di etica che si affaccia anche non solo in ambito tecnologico ma anche in quello scientifico come se il pensiero debole della deregolamentazione di questa società liquida, globale e cosmopolita richieda il pensiero forte del ritorno alle proprie differenti radici antropologico-culturali, cui fare riferimento nella scelta delle soluzioni più etiche nei confronti delle problematiche che quotidianamente dobbiamo affrontare.
Saprà l’uomo di oggi coniugare le esigenze delle sue radici antropologico-culturali a quelle scientifico-tecnologiche nella ricerca di un’etica condivisa capace di governare la società nel suo complesso?
Non è mio compito, né ho la competenza per rispondere a questa domanda, ma limitatamente al campo medico cercherò di dare la mia risposta.
Io penso che il medico, quale elemento della società di cui è parte integrante, per il solo fatto che ha l’essere umano come oggetto di studio, si trova in una posizione privilegiata.
La sua vicinanza all’uomo nei momenti più esaltanti della sua vita, come la sua nascita e la sua crescita fisica e psichica e nei momenti più dolorosi della malattia e della morte, gli dà la possibilità di valutare ed apprezzare maggiormente il valore del suo simile.
La sua lunga storia culturale e scientifica che si è snodata attraverso 25 secoli gli ha offerto continui spunti di riflessione contemperando il fascino delle conquiste scientifiche con la prudenza dell’esperienza.
Non sarà facile, per le importanti differenze antropologico-culturali che differenziano le varie etnie nelle quali si aggregano differenti credi religiosi - che incidono non poco sia sulle pratiche mediche che sulle interpretazioni applicative delle nuove tecnologie - raggiungere, come auspicato dall’Associazione Medica Mondiale, un codice etico-deontologico comune a tutti i medici del mondo intiero.
Anche se la bioetica contemporanea deve sostenere un atto medico che rispetti l’autonomia del paziente, la tutela del paziente nel proseguimento della sua autonomia, la difesa del singolo paziente di fronte alle (oggettivamente superiori) esigenze sociali, l’efficienza e l’efficacia delle cure e soprattutto la dignità dell’essere umano e la qualità della sua vita in relazione al suo stato di salute, il relativismo etico che contraddistingue la società contemporanea può compromettere questa necessaria quanto impossibile connotazione universale che le differenze antropologico-culturali non le consentono.
L’etica medica può però riacquistare la sua individualità di dottrina del comportamento medico se, pur dettata dalle sue linee guida della deontologia, sarà arricchita dalla tenerezza di volere il bene dell’altro e da quei fattori modulanti legati al patrimonio genetico e culturale del singolo che conferiranno all’ “individuo-medico” la sua particolare personalità.
Molti anni fa tutti noi medici abbiamo ricevuto dalle mani dei nostri Maestri una pergamena sulla quale era trascritto il primo codice etico della storia: il “giuramento di Ippocrate”.
Io sono certo che ancora oggi, in un mondo così diverso da allora, quella pergamena è ancora nei nostri cuori.
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