Anno 6 - N. 17/ 2007


“Essere fecondo significa essere stato là dove tutto ha origine” (P. Klee)

L’armonia segreta di Paul Klee

Una pittura che chiede di essere guardata con occhi da bambino Ogni artista è conscio dell’esistenza di un terzo occhio, spirituale, interiore: l’occhio dello spirito. La pittura di Paul Klee è manifestazione spontanea e visibile di forze invisibili. alchimia e poesia. Klee pittore e filosofo, musicista e poeta, genio della sintesi.

di Gabriella Colletti



Ritratto di Paul Klee (1922) fotografia di Felix Klee Berna, Centro Paul Klee


“Qui sono inafferrabile
abito bene con i morti
come con i non nati. Sono vicino
alla creazione. Eppure non abbastanza”


L’occhio materiale inizia il suo apprendistato esercitandosi dinanzi agli spettacoli della natura. Esso coglie ogni aspetto, ciascun fenomeno sensibile, senza tralasciare nulla della grande famiglia dell’esistente. Nessuna particella del mondo naturale, anche la più insignificante, sfugge a questa ricognizione. Tutto viene registrato per potere poi, nella fase sintetica, essere restituito sulla tela. Ciò che sta davanti allo sguardo dello spettatore è l’idea di natura del pittore, l’interpretazione soggettiva di ciò che il suo occhio ha percepito. L’essenza dei fenomeni è colta mediante un atto intuitivo. Alcuni non ne rilevano nemmeno l’esistenza, indaffarati come sono nelle questioni d’ordine pratico. Non è così per i pittori. Ogni artista è conscio dell’esistenza di un terzo occhio, spirituale, interiore: l’occhio dello spirito. La pittura di Paul Klee è manifestazione spontanea e visibile di forze invisibili. Alchimia e poesia. Klee pittore e filosofo, musicista e poeta, genio della sintesi. La sua ricerca è Streben faustiano. Nella figura o forma viva da lui ideata sono impresse le leggi dell’analogia, forze enigmatiche che agiscono durante le dinamiche della creazione artistica, affinità spirituali che legano tutte le cose della natura, il mondo e l’universo, l’uomo e il regno animale, vegetale, minerale e, ancora, l’uomo e Dio, terra e cielo. Durante la prima fase, che Klee chiama analitica, tutto ciò che incontra viene analizzato, fino a spingersi nel cuore della creazione, che è genesi. Fino alla genesi della forma.
Egli scruta le forme nel loro farsi. Si tratta di un occhio vigile, attento, ma non ancora sufficiente alla creazione artistica.
Negli scritti pedagogici per il Bauhaus e in Teoria della forma e della figurazione, il pittore parla del passaggio da una via per così dire fisico-ottica, di natura materiale, ad una via spirituale. Dalla fase di analisi della realtà alla sintesi creativa. La semplice osservazione empirica si ferma a un livello di conoscenza solo superficiale delle cose. Non penetra nell’essenza dei fenomeni, fino alla loro origine, nel circuito di relazioni profonde, percepibili da un occhio più attento: quello dello spirito.
A più di sessanta anni dalla scomparsa dell’artista, è vivo nel pubblico, non solo specialistico, l’interesse per il segno da lui creato, così affine al calligramma cinese. Affascinano gli sviluppi melodici del colore nelle sue composizioni. Colpiscono le sperimentazioni pressoché infinite nel campo della ricerca formale.
Klee come rappresentazione simbolica delle dinamiche della creazione artistica. Klee come specchio metafisico: simbolo che riflette quei processi mitopoietici, misteriosi e oscuri, della vita interiore.
Klee che scrive della sua arte, ne fa metapittura. Klee che, come uno specchio, riflette, illumina, chiarisce. Fa vedere. Paradigma della visione interiore, del processo fantastico e quasi magico in cui si dispiega in tutta la sua potenza infinita il principio di analogia, simpatia empatica, armonia segreta che tutto fa vedere, pervenendo infine alla massima sintesi possibile: bambino che fa esperienza del mondo.
La visione interiore, via spirituale alla conoscenza, intuisce la serie infinita e intricata di legami tra le cose. Labirinto, non oscuro, però, ma luminosissimo. La visione interiore vede chiaramente ogni cosa in un solo colpo d’occhio. Il bambino non percepisce, a differenza dell’adulto, la miriade di stratificazioni del reale, bensì “l’unità nella varietà”. Il mondo è per lui un insieme organico, una totalità priva di scissioni. Quella del pittore svizzero è pittura che chiede di essere guardata con occhi da bambino, non andando alla ricerca del significato delle singole parti, ma lasciandosi cogliere dal fluire dell’insieme organico che si ha di fronte. Allora, da un apparente disordine, da un groviglio di geroglifici, da una tessitura di segni, di strade principali e secondarie, emergerà la figura o forma viva, la sola che scaturisca dalla visione interiore. È il principio di analogia che collega, come già diceva Poe, la Causa Originaria - da cui tutto deriva e discende e a cui tutto tende, secondo un moto perpetuo e metamorfico - al mondo.
Pittura che fa vedere.
Pittura che esibisce il potere possibilizzante, metamorfico dell’arte, l’unità nella varietà; principio leibniziano già presente in Leonardo, che mirava a descrivere la varietà delle specie viventi. Come la natura, anche la costruzione artistica fa vivere molteplici forme, non necessariamente esistenti. E supera la natura stessa nel suo movimento incessante, plasmante, costruttivo di Bildung. Per il pittore svizzero, assurto a creatore di un’opera mai finita, quindi identificabile - abile in toto con le dinamiche della creazione artistica - “via e opera coincidono”. Più dell’opera conclusa è importante il processo genetico-costruttivo, il farsi della figura, il suo divenire metamorfico, la vita estetica delle forme in atto durante i processi della creazione artistica. L’opera è forma viva e diveniente. È arte il processo in-fieri e non il prodotto ultimato. Genesi in-divenire e non oggetto statico, cristallizzato in una forma in sé conclusa. La creazione ha sempre qualcosa da dire. Non ha mai fine. Suscettibile di infiniti sviluppi, poiché è vita estetica di forme. Essa è danza, movimento senza posa, Streben, Figurazione organica. Movimento fluttuante, come le onde del mare che, nel loro gioco ritmico e ciclico, disegnano nello spazio, fra terra e aria, figure sempre nuove. Come le nuvole del cielo. La Bildung delle forme caratterizza questa pittura. Il fluire della vita costituisce la sua intima essenza. La vita con tutti i suoi paradossi, contrasti e antinomie. I contrasti vivono nella natura sottoforma di anomalie, dissonanze, mostruosità su cui si interroga il filosofo e lo scienziato. Enigmi sconcertanti. Nell’”interregno” della creazione artistica le antinomie e gli opposti convivono. Costituiscono il tessuto, la trama di infinite possibilità generatrici di forme, belle e brutte, sublimi e grottesche. Forme mostruose e ibride. Forme parlanti, dialogiche, vive, espressive. Il grottesco è il volto in ombra del sublime. Esso è l’altro lato, quello oscuro e nascosto, denso di interrogativi, rovescio della medaglia. Il “cosmo ordinato”, per esserci, necessita di entrambi. L’eterno Giano Bifronte – grottesco e sublime – della cosmogonia artistica coincide con l’armonizzazione dei contrari, che convivono, con pari dignità d’esistenza, nell’opera. E ciò grazie al principio compositivo del grottesco. Non viene tralasciato nulla, alcuna possibilità, poiché la creazione artistica, come ogni singola esistenza, è apertura sul possibile. Il demoniaco è tanto necessario quanto l’angelico. Il bello necessita del brutto. Grottesche le figure dei dipinti onirici. Creature dell’interregno aereo, saltate in quello acquatico, i Pesci volanti. Creature del sogno, ibridi, esseri mostruosi, come il Grottesco ventriloquo della palude. Mostri per metà sirena e metà pescecane, la pelle come squame a quadri, emergono da un reticolato bluastro, contro di essi combatte l’esile Lohengrin. Scene da “opera-comico fantastica”. Strani esseri fantastici, come L’eroe con un’ala sola. Simbolo del dramma della spiritualità dell’uomo, di colui che sa di non potere spaziare a piacimento nei vortici dello spirito, poiché trattenuto dalla pesantezza del corpo. Creatura nata con una strana protuberanza, un’ala sola, egli non appartiene agli esseri del cielo e nemmeno agli uomini, i quali, nella loro infinita bontà, si fanno beffe di lui, creatura malriuscita. Condannato all’impossibilità del volo, al riso e allo scherno, come l’Albatros di Baudelaire. L’Eroe con un’ala sola si colloca in un regno intermedio tra l’angelo e l’animale. Figura che raccoglie due nature e preannuncia l’angelo kleeiano, in particolare Angelus Novus. Mito della tensione antropologica all’infinito. Tensione mai appagata per l’insufficienza materiale dell’uomo, il suo essere radicato a una dimensione terrestre e tuttavia proiettato verso il cosmico. Creatura dell’al-di-qua che tende incessantemente all’al-di-là.
Strani esseri, creature fantastiche, espressione di due nature indissolubilmente congiunte e antitetiche. Come nel mito, esse stesse miti, convivono contraddizioni apparentemente insolubili, intollerabili, patologiche per la mente razionale, che vuole sempre tutto dimostrare, assolutamente naturali nel regno della fantasia. Si potrebbe parlare di polarità goetheiana: spirito e materia, diabolico e angelico, buono e cattivo, luce e tenebra.
Le antitesi formali si armonizzano nella Figura, che è sintesi. I contrasti e i contrari non vengono pacificati, fatti tacere in una forma definitiva e statica che li inglobi (e ingabbi) in sé, superandoli. Le antitesi formali non assumono mai un carattere definitivo. Nella creazione artistica vale il relativo. Si tratta di figure che incarnano concetti relativi. Nell’arte si compenetrano concetti tra di loro opposti. Armonia segreta, eterno gioco sul possibile: potere di dare forma a ciò che ancora no c’è, ma potrebbe esserci.