Anno 6 - N. 16/ 2007
Il percorso del caffè dal piattino alla tazza
La bevanda Asiatica
I turchi, secondo la relazione tenuta nel 1585 da Morosini al senato della Repubblica di Venezia, usano bere “un’acqua negra, bollente quanto possa sofferire, che si cava da una semente che chiamano kahvè la quale dicono che ha la virtù di far stare l’uomo svegliato”
di Ambra Morelli
Alla metà del settecento la tazza da caffè, di porcellana e molto piccola, era senza manico e senza piattino, la si teneva stretta tra due dita per sorbirne il contenuto: il pollice appoggiato sul bordo superiore e l’indice a reggere la base. È sempre dell’epoca la moda, a Venezia, di bere il caffè in una tazzina in vetro lattimo: di colore bianco, opaco e decorata, a fedele imitazione delle ben più costose tazzine di porcellana che arrivavano, nella città lagunare dalla Turchia, come il caffè.
Il caffè, infatti, fa il suo ingresso in Italia da Venezia. Grazie ai suoi storici rapporti commerciali con l’Oriente, la Serenissima fu la prima ad introdurre la nuova bevanda, che si diffonderà, poco alla volta ma inesorabilmente, in tutta l’Europa fino alla globale diffusione odierna. Si cominciò con l’apertura delle “botteghe del caffè”, nominate in seguito semplicemente, “caffè”, come usanza appresa da paesi arabi e dall’Egitto: a Venezia nel 1647, a Londra nel 1650, a Parigi nel 1671, a Vienna nel 1685.
Da Costantinopoli parte la via del caffè verso l’Europa iniziando il suo percorso dal porto yemenita di Al-Muka (nome poi occidentalizzato in Mocca), importante punto di raccolta per la spedizione di caffè e arriva a Venezia prima come bevanda della gente colta per imporsi poi come bevanda popolare.
I turchi, secondo la relazione tenuta nel 1585 da Morosini al Senato della Repubblica di Venezia, usano bere “un’acqua negra, bollente quanto possa sofferire, che si cava da una semente che chiamano kahvè la quale dicono che ha la virtù di far stare l’uomo svegliato”.
A Costantinopoli viene bevuto sia d’estate che d’inverno, non durante i pasti ma come accompagnamento di piacevoli conversazioni.
Alla moda turca i grani di caffè vengono tostati a fuoco vivo e continuamente mossi con un bastone. Quando prendono il colore “di terra d’ombra scura” saranno perfetti e pronti per essere ridotti a polvere finissima nel mortaio poi accuratamente setacciata. La polvere in proporzione da uno a dieci, viene versata nell’acqua bollente di un bricco d’argento munito di coperchio e riposto sulla brace per due ore affinché la polvere precipiti. Dopo un breve periodo di riposo si potrà versare in tazze di porcellana o di mertabani, impasto di terra che sembra abbia la proprietà di rivelare la presenza di veleno. Circostanza, questa, non remota perché per il suo gusto fortemente amaro, per il suo colore scuro e per la possibilità di abbondante aggiunta di zucchero, il caffè è ideale nascondiglio di veleni, facilmente somministrabili. Il caffè potrà essere bevuto come tale o si potrà profumare con sciroppo di acqua e zucchero al quale aggiungere gelsomino, ambra o cedro. L’uso di aromatizzare il caffè era però più un’abitudine araba, poco praticata dai turchi i quali in compenso introdussero per primi l’uso di macinino ad ingranaggi metallici per rendere i chicchi di caffè una polvere sottile. Per circa 150 anni il caffè viene preparato generalmente facendolo bollire oppure facendone una infusione con la polvere sciolta nella cuccuma. Le caffettiere arriveranno in seguito, ma non tardissimo: il primo tentativo di macchinetta per il caffè risale alla fine del ‘700.
Sorbire il caffè richiedeva attenzione, bisognava che i fondi depositassero sul fondo della tazzina: era una cerimonia sia prepararlo che degustarlo e ad alti livelli, per esempio al palazzo del sultano, si utilizzavano raffinati servizi da caffè anche tempestati di pietre preziose, oggetti che ancor oggi si possono ammirare al Topkapi di Istanbul.
A Costantinopoli il caffè veniva abitualmente consumato nella case private, poi nel 1544 con l’apertura della prima “bottega del caffè”, anche in pubblico. Allo stesso modo anche a Venezia si iniziò a bere caffè nelle case private o nei ridotti, dove i nobili, trascorrendo molto tempo al gioco d’azzardo, conversavano facendo spuntini e bevendo l’”esotica bevanda”.
Il caffè era considerato inizialmente una sorta di intruglio medicinale, per esempio si consigliava una “chicchera di caffè al diciassettesimo giorno di convalescenza al fine di ristabilire la salute dei malati”. Per le sue proprietà stimolanti, veniva indicato di berlo amaro, come corroborante, come ottimo rimedio per l’apatia, “per facilitare la digestione ed eliminare i vapori del vino”. Solo in seguito con l’aggiunta di zucchero verrà consumato per le qualità aromatiche. Il caffè era considerato una bevanda portentosa, da consumare in compagnia. Meritò la definizione di “bevanda intellettuale”, l’amica dei letterati, degli scienziati e dei poeti” proprio perché scuotendo i nervi rende più rapido e ricco di immaginazione il pensiero e più precisamente, secondo la descrizione del conte Luigi Ferdinando Marsigli, nel suo breve trattato sul caffè “Bevanda asiatica” del 1685, “…rendi l’intelletto chiaro, che disciolga i vapori, i flati , e che essicchi, penetrando con le sue parti volatili la soverchia umidità solita a generarsi nella regioni del cervello…”.
Il caffè per questi effetti sulla mente provocò diffidenza, creò estimatori e detrattori e sarà oggetto di discussione sia in campo medico che religioso e sociale e darà origine a contrasti espressi anche attraverso la poetica. Francesco Redi nel suo famoso ditirambo “Bacco in Toscana” fece una requisitoria contro il caffè “…beverei prima il veleno, che un bicchiere che fosse pieno, dell’amaro e reo caffè…”.
L’uso del caffè creò sospetto già nei paesi arabi e le autorità islamiche si opposero all’uso. Fatte le debite valutazioni mediche sugli effetti sul corpo e sulla mente, risultò una bevanda in grado di alterare la mente e minare il fisico e pertanto ne fu vietato l’uso, pena pesanti sanzioni. Anche la cultura cattolica per gli stessi motivi avversò e contrastò inizialmente il suo consumo.
Nella seconda metà del XVII sec. il caffè era comunque una bevanda già affermata e si aprì a Venezia la prima bottega del caffè: ancor oggi sotto i portici delle Procuratie Nuove di piazza S. Marco si trova il famosissimo caffè Florian, emblema di un epoca remota, punto di incontro di intellettuali. Un po’ più tardi iniziò la sua attività il caffè Quadri ma all’epoca le botteghe del caffè, che erano ormai luoghi tipici, apriranno a decine diventando ritrovo abituale: verso la fine del ‘700 se ne conteranno 208 di cui 24 sulla stessa piazza S. Marco.
Il periodo storico di cui stiamo parlando è il settecento, è un periodo di trasformazioni in cui, abbandonata l’esagerata opulenza del Rinascimento, si affaccia una linea nuova di pensiero, un modo nuovo di intendere la vita. Il caffè, inteso come bevanda ma anche come luogo da frequentare per consumarlo, diventerà simbolo di un epoca, l’illuminismo, rappresentando un modo nuovo di vivere la convivialità.
A quell’epoca sono di moda nell’alta società altre bevande. Le stesse perderanno importanza con l’arrivo di novità che originano da mondi lontani: in Inghilterra la birra viene superata dall’interesse per il the, in Francia la cioccolata desta molto interesse per le sue, supposte, proprietà afrodisiache e in Italia il caffè prende il posto della malvasia nelle taverne veneziane.
È gran moda nel ‘700: il caffè sarà la bevanda che distingue un’epoca e sottolinea la “modernità” di chi la beve. Il suo successo vedrà ampi sviluppi fino alla consuetudine attuale: riconosciuto oggi come bevanda nazionale, vede il consumo a tutte le ore, utilizzato come pausa e momento di relax, per chiudere un pasto, consumato per sancire un accordo o per stringere o saldare un’amicizia.
Le botteghe del caffè, che potevano offrire anche “acque fredde e calde”, tè, cioccolata, limonate, sorbetti ed acque sciroppate, sono frequentate da personalità illustri che si fermano a conversare di argomenti culturali o politici. Vi si potevano acquistare i giornali, anzi in alcuni casi erano nientemeno che sede di redazione delle prime gazzette. “La bottega del caffè” fece da sfondo ispiratore per le commedie di Carlo Goldoni, fu ideale ambientazione anche per le opere di Mozart che vi situò alcune scene di “Così fan tutte”. “La bottega del caffè” era l’unico locale del tempo che consentiva l’ingresso alle donne. Il caffè era così fortemente inserito nel contesto sociale che diede il nome al periodico fondato da Pietro Verri il cui titolo,“Il caffè” per l’appunto, è emblema dell’usanza del tempo, cioè il caffè come luogo di discussione letteraria, come momento conviviale che diverrà un nuovo costume sociale.
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