Anno 6 - N. 16/ 2007
La prima pinacoteca pubblica delle Marche
MONTEFORTINO E FORTUNATO DURANTI
Un piccolo tesoro sui monti Sibillini
“forse il suo vero dramma fu quello di essere il primo, autentico artista moderno della pittura italiana, lacerato dal contrasto tra gli schemi figurativi di una tradizione storica, di cui avvertì la chiusura con il finire del XVIII sec. e la ricerca di schemi espressivi nuovi, proprio in questo delicato rapporto tra passato e futuro, tra cultura e vita, tra memoria e sentimento, va colta l’essenza della sua arte”
di Lando Siliquini e Andrea Vizzi
“Uno dei casi più singolari ed enigmatici dell’intero arco storico-artistico italiano”.
Non è la frase d’occasione dei circoli paesani, ma il commento di Federico Zeri nella introduzione al catalogo della mostra fanese del 1988 su Fortunato Duranti, artista montefortinese formatosi nella Roma del primo 800 e tornato nell’incipiente vecchiaia al paese natio, dove lasciò ai suoi compaesani una enorme quantità di opere d’arte, in parte frutto della propria ispirazione e in parte del proprio gusto di collezionista e commerciante.
Nato a Montefortino il 25 Settembre 1787, fin da giovinetto Fortunato dimostrò una tale inclinazione per il disegno da colpire il Cardinale Onorati di Iesi, che lo volle mantenere per qualche tempo a studiare a Roma.
Si formò dunque negli ambienti culturali della Roma del XIX sec. diventando l’ultimo erede di una gloriosa e incomparabile tradizione figurativa, come fu quella italiana tra la metà del Duecento e la fine del XVIII sec.
Durante il soggiorno romano ebbe modo di frequentare artisti come Tommaso Minardi, Felice Giani, Michele Köch, Bartolomeo Pinelli, che lo condussero a sviluppare uno stile giustamente posto tra neoclassicismo e arte romantica
Il Duranti in realtà chiude quella lunga storia ponendosi in una posizione che, allo stesso tempo, appartiene al locale neoclassicismo italiano e allo speciale capitolo dei visionari europei della fine del Settecento.
“Forse il suo vero dramma – sono ancora parole di Zeri - fu quello di essere il primo, autentico artista moderno della pittura italiana, lacerato dal contrasto tra gli schemi figurativi di una tradizione storica - a lui nota in modo capillare e non da dilettante, di cui avvertì la chiusura con il finire del XVIII sec. - e la ricerca di schemi espressivi nuovi, inediti e consoni al mutare dei tempi. Proprio in questo delicato rapporto tra passato e futuro, tra cultura e vita, tra memoria e sentimento, va colta l’essenza dell’arte di Fortunato Duranti”.
A Roma egli fece anche commercio di dipinti, di marmi e di oggetti di antichità, scelti con molta cura fra i più pregevoli, e tornato stabilmente a Montefortino nel 1840 piuttosto che vendere ciò che ancora conservava preferì farne dono al paese natio, sebbene il suo stato finanziario non fosse molto florido.
Nel primo atto di donazione, redatto il 9 novembre 1842, il Duranti, in presenza di testimoni, di sua “spontanea volontà” e “per titolo di pura devozione” decide di collocare parte della sua cospicua raccolta all’interno delle chiese di San Biagio e Santa Lucia “concedendone alla Comunità di Montefortino il diritto di patronato e ai pubblici Rappresentanti pro tempore di disporre nel miglior modo la conservazione e custodia”, mentre per le tele dipinte, i disegni e le stampe in rame e in litografia sceglie il palazzo comunale. L’entità complessiva della collezione Duranti nel 1842 risultava già di 171 oggettI.
Al primo atto di donazione farà seguito un secondo, datato 29 Agosto 1854, con il quale egli prega il Comune di “accettare tutto come dimostrazione del mio grato animo, e dell’affetto che conservo alla mia patria”. Non avrebbe potuto utilizzare espressioni migliori, nel clima risorgimentale preunitario, per omaggiare la sua terra d’origine. A questo punto il totale delle opere donate salì a quota 383.
La stima totale della donazione ammontò a 273.90 scudi, ben superiore al debito di 150 scudi che aveva contratto nel 1842. Egli infatti dispose che, in caso di maggior valore del lascito, tutto ricevesse il Comune “per titolo di pura e semplice donazione”.
Fu per tanta munificenza che la comunità di Montefortino si trovò già nel 1842, in una data quanto mai precoce rispetto all’evoluzione storica dei musei civici italiani, nelle condizioni di possedere virtualmente la prima pinacoteca pubblica delle Marche. Primato reso singolare dalla natura civica ed ‘extraterritoriale’ della raccolta, rispetto alle provenienze ecclesiastiche e locali di collezioni post-unitarie.
Purtroppo, nel corso dei decenni, furti, sottrazioni, incuria e addirittura un’asta pubblica di cento pezzi deliberata nel 1930, hanno ridotto la collezione ai pur rispettabili numeri attuali (circa 170 unità, più numerosi disegni del Duranti stesso).
Dal 1996 la Pinacoteca “Fortunato Duranti” è allestita all’interno del Palazzo Leopardi.
L’edificio rinascimentale si ammira nello splendore e nell’armonia delle linee architettoniche. Ha finestre guelfe e portale bugnato in pietra di travertino ed è costruito in laterizio, elemento distintivo delle case nobili del periodo cinquecentesco. Con la sua struttura monumentale si ritrova incastonato in un centro storico medievale che si sviluppa in volute avvolgenti lungo linee di livello.
La costruzione risale alla prima metà del cinquecento e appartenne a un ramo cadetto della famosa famiglia recanatese. Nel primo piano è allestito il Museo Faunistico dei Sibillini.
Nel secondo, il piano nobile, troviamo la Pinacoteca, definita da molti addetti ai lavori “il piccolo Louvre dei Sibillini”, dove sale e salette si inseguono in un’armonia straordinaria nelle proporzioni, nei colori pastello, nelle trine e nei merletti dipinti sulle pareti, nei voli di rondini e nei disegni allegri, affrescati sulle volte ariose dei soffitti.
Il terzo piano ospita il Museo di Arte Sacra, che raccoglie numerose tele d’autore (tra cui spiccano De Magistris e Malpiedi), corredi liturgici e pregevoli sculture lignee provenienti dalle chiese di Montefortino.
Una moltitudine di artisti rivivono nelle nove sale espositive della Pinacoteca di Montefortino, grazie ai loro capolavori: un tondo rappresentante Cristo della Passione del Perugino; una bellissima croce astile in legno, scolpita, dorata e dipinta alla fine del Trecento dall’artista veneziano Jacobello di Bonomo; opere di artisti fiorentini del secondo Quattrocento come Jacopo del Sellaio e Pier Francesco Fiorentino; opere di Pietro Alamanno, artista austriaco attivo nelle Marche a partire dal 1475, e di Antoniazzo Romano; una Madonna del Soccorso della prima metà del Cinquecento del maestro di Amandola Giulio Vergari; opere del Maestro del lume di candela, di Carlo Maratta, Francesco Solimena, Sebastiano Conca detto “il Cavaliere”, Pierre Subleyras, Giovanni Paolo Panini; un ciclo di nature morte dello Spadino e di Munari.
Troviamo inoltre capolavori di Nicola di Maestro Antonio da Ancona, Raffaello Motta, Nicolò Musso, Giuseppe Caletti, Giacomo Recco, Francesco Guarino, Ludovico Trasi, Daniel Seiter, Antonio Bellucci, Giuseppe Bartolomei Chiari, Antonio Mercurio Amorosi, Antonio Balestra, Benedetto Luti, Alessio De Marchis, Pier Leone Ghezzi, Francesco Fernandi, Aniello Ascione, Maximilian Pfeiler, Domenico Corvi, Nicola Levoli, Taddeus Kuntz, Giuseppe Cades, Gaspare Landi, Vincenzo Camuccini,.
Vanno aggiunte una serie di opere di incerta attribuzione, di pittori romani, napoletani, emiliani, veneti, marchigiani dal XVI al XIX secolo.
La Pinacoteca vanta, inoltre, ben quindici opere di Cristoforo Unterperger, pittore tirolese della seconda metà del Settecento che, trasferitosi a Roma, divenne uno degli artisti più a la page nell’era del nascente neoclassicismo tanto da essere chiamato ad affrescare Villa Borghese e le più importanti residenze papali (Vaticano, Quirinale, Castel Gandolfo).
Altra rarità del Museo di Montefortino è una delle più ricche raccolte italiane di olii su tela di Corrado Giaquinto, che dimostra la spiccata predilezione di Duranti per questo pittore del Settecento di Molfetta, quando la riscoperta da parte della critica era ancora di là da venire. Spesso gli acquisti di opere e oggetti d’arte avvenivano secondo la prassi comune per i mercanti d’arte ossia l’acquisizione in blocco, ma nel caso del “nucleo Giaquinto” si ha l’impressione che Duranti fosse spinto verso il maestro molfettese dalla sua specifica sensibilità di pittore.
Decine di disegni, quota peraltro minima rispetto alla vastissima produzione del Duranti, definiti da Zampetti di “incomparabile vivacità espressiva e di grande autonomia inventiva”, sono conservati nei depositi della Pinacoteca e periodicamente selezionati ed esposti ai visitatori. Negli olii per contro si cimentò con poche opere originali - tra cui un autoritratto che sprigiona potentemente la grande tensione interiore – esposte nella Pinacoteca insieme a opere ispirate ai suoi maestri e pregevolissime copie.
“La volontà enciclopedica di vedere rappresentati nella sua quadreria i protagonisti nel campo della pittura di tutte le epoche – osserva Silvia Blasio - dovette costituire il principale stimolo ad assicurare una campionatura di copie dei più eccellenti maestri a partire dal Cinquecento. In tal modo Duranti, integrando con le copie la sua bella e ampia raccolta di opere originali, poteva vantare una collezione di una certa completezza, sul modello delle grandi collezioni romane sei-settecentesche”.
Apre la rassegna sulle copie del Museo proprio le esercitazioni di Duranti su Raffaello, dove il tema privilegiato è la Madonna di Foligno, affiancate da due copie raffaellesche di altri autori. Fanno bella mostra anche copie del tondo di Fra’ Bartolomeo con l’Adorazione del Bambino, della Madonna di San Sebastiano del Correggio (oggi alla Gemälde Galerie di Dresda), di opere di Paolo Veronese, Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino, Pietro da Cortona, Spadarino, Scipione Pulzone, Iacopo Chimenti, Giovan Paolo Melchiorri, Rubens, Mengs, Domenichino.
Completano la raccolta alcune sculture e arti applicate.
Il tutto immerso nello scenario maestoso dei monti Sibillini, nell’atmosfera magica di miti e leggende, nel clima salutare della natura e delle tradizioni, nel rapimento religioso di eremi e santuari.
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