Anno 3 - N. 8 / 2004


STORIA DELLA MEDICINA

LOUIS PASTEUR: LA NASCITA DELLA MICROBIOLOGIA E DELL'IMMUNOLOGIA

Un percorso fecondo dalla chimica alla medicina

di Francesco Piscitello



Vaccinazione di bambino (19139)

Vincente Borràs

Madrid, Museo del Prado

Louis Pasteur, la cui opera segna uno dei momenti essenziali della storia della medicina, non era un medico.
Nato a Dôle, nel Giura francese, il 27 dicembre 1822, si era laureato in chimica all'Ecole Normale di Parigi nel 1845 e rigorosamente chimico fu anche il suo primo interesse scientifico: le proprietà ottiche delle soluzioni, che studiava con metodo polarimetrico, sulla scia dei lavori di Biot, Berzelius e Gay-Lussac.
Gay-Lussac si era accorto che l'acido tartarico e l'acido racemico erano composti chimicamente identici ma con proprietà ottiche diverse e Pasteur, interessato a studiare la questione, andava conducendo ricerche sull'acido paratartarico - altro nome col quale è noto l'acido racemico - e sulla sua fermentazione: nel corso di queste ricerche aveva maturato la convinzione che i fenomeni fermentativi erano opera di microrganismi e che ciò che comunemente si chiama putrefazione altro non è che l'equivalente della fermentazione quando si verifichi su materiale vivente.
Queste ipotesi avevano suscitato, nel mondo scientifico, polemiche assai aspre: era opinione diffusa, infatti, che la fermentazione fosse un fenomeno rigorosamente chimico, anche per l'autorità di studiosi come Von Liebig che lo riteneva effetto dell'alterazione di sostanze azotate e degli stessi Berzelius e Gay-Lussac che ne attribuivano l'origine all'azione dell'ossigeno atmosferico.

FERMENTAZIONE E GENERAZIONE SPONTANEA: PASTEUR MICROBIOLOGO

Nel 1854 Pasteur fu nominato professore di chimica a Lilla e, tre anni dopo, decano della facoltà di scienze. Gli anni di Lilla furono assai fecondi: le ricerche si estesero alla fermentazione del latte, a quella alcoolica dello zucchero ed a quella acetica dell'alcool, e le sue tesi sull'origine biologica dei fenomeni fermentativi ricevettero importanti conferme tanto che poté dimostrare (era il 1860 ed aveva già fatto ritorno all'Ecole Normale) che ciascuno di questi processi era opera di organismi viventi specifici, come il "lievito dei birrai" (1).
L'idea che la fermentazione fosse un fenomeno di origine biologica e non strettamente chimica, in realtà, non era del tutto nuova: nel 1837 Cagnard de la Tour in Francia e Kützig e Schwann in Germania avevano osservato, nel vino e nella birra in fase di fermentazione, la presenza di microrganismi ai quali sospettavano dovesse attribuirsi il fenomeno. Fu però Pasteur a dimostrarlo inequivocabilmente.
Le polemiche sulle sue opinioni e la necessità di comprovare le sue ipotesi lo avevano indotto ad elaborare procedure di studio assai rigorose. Innanzitutto era necessario stabilire modalità affidabili di sterilizzazione dei liquidi per mezzo del calore. Il riscaldamento alternato a 100 e 60 gradi per una-due ore in contenitori ermeticamente chiusi - da allora noto come pasteurizzazione - aveva mostrato sicura efficacia senza peraltro che la sostanza sottoposta al trattamento subisse una significativa denaturazione. Se in questa, dopo il raffreddamento, si fossero verificati processi di fermentazione, essi non potevano che essere opera di agenti che la pasteurizzazione eliminava: ossia dei microrganismi.
Di fatto, aprendo i contenitori, i processi fermentativi riprendevano, e con essi era nuovamente osservabile la presenza di germi. Rimaneva, come unico dubbio, che potesse esservi qualcosa di vero nell'ipotesi di Berzelius e Gay-Lussac sul ruolo dell'ossigeno nell'attivare quei processi: quanto meno nel favorire la generazione spontanea di batteri.
La questione della generazione spontanea era infatti ancora sul tappeto. Dimostrata inesistente dal Redi per gli insetti e dallo Spallanzani per gli infusori (vedi EOS n. 2, 2002), poteva pur sempre essere valida per i batteri: e la tesi aveva illustri sostenitori, come Felix Pouchet che, ancora nel 1854, l'aveva difesa nel saggio Hétérogénie (2).
Pasteur ripetè l'esperimento. Ma portò i contenitori ben lontano dal suo laboratorio, addirittura su di un ghiacciaio, la "Mer de Glace", a 3600 metri sul livello del mare: era noto già allora che a quelle altitudini, sui ghiacciai, l'atmosfera è sterile. Aperti i flaconi in modo che vi entrasse l'aria non osservò alcuna fermentazione del contenuto nè la presenza di germi. Non poteva dunque essere l'ossigeno atmosferico a determinare il processo: i batteri della fermentazione entravano nei contenitori con l'aria di Parigi. La teoria della generazione spontanea aveva ricevuto il colpo finale.
Tutto questo lavoro animava vivacemente il dibattito scientifico, orientandolo nella giusta direzione, circa l'origine di molte malattie da microrganismi viventi: ma cominciava anche a dare risultati pratici. Joseph Lister per esempio, stimolato dall'idea dello scienziato francese - assai più che dalle pur importantissime opere di Semmelwess e di Lemaire - che i microrganismi individuati nel materiale fermentato o putrefatto siano la causa e non la conseguenza di quei fenomeni, aveva introdotto numerosi accorgimenti nella pratica chirurgica inaugurando una chirurgia "antisettica", precorritrice della moderna chirurgia "asettica".
L'impatto sul pensiero medico e sulla prassi sanitaria conducevano inevitabilmente Pasteur nella direzione della microbiologia clinica e della patologia, alle quali si andava appassionando: lo confessò anche all'imperatore stesso, Napoleone III, quando questi volle essere personalmente informato sui suoi lavori.
Già da tempo, invitato dal senatore Dumas, suo antico maestro, si era interessato alla pebrina, una malattia del baco da seta responsabile di gravi danni all'industria serica francese. Purtroppo le ricerche dovettero essere interrotte: il 19 ottobre del 1868 lo scienziato fu vittima di un'apoplessia cerebrale, alla quale conseguì un'emiparesi sinistra, e l'indagine scientifica subì una lunga battuta d'arresto.
Gli esperimenti ripresero in Italia, a Villa Vicentina, dove l'imperatore possedeva una tenuta nella quale aveva invitato lo studioso. Il luogo era particolarmente adatto, giacchè vi infieriva, da qualche tempo, proprio la pebrina. Gli studi si conclusero nel 1870, con la dimostrazione che quest'affezione del baco da seta era una malattia contagiosa provocata da uno specifico microrganismo.
Nel 1873 il chimico Louis Pasteur fu accolto nell'Accademia francese di Medicina: e la medicina fu l'ambito nel quale si svolse tutta la ricerca successiva.

IL CARBONCHIO E LA RABBIA: PASTEUR IMMUNOLOGO

Molte importanti scoperte scientifiche traggono la loro origine da eventi fortuiti ma, come per i tre principi di Serendip, solo l'acume del ricercatore permette di intuire il significato degli eventi casuali. Quando Fleming si accorge che le muffe che hanno inquinato il suo materiale di studio inibiscono la crescita dei batteri che stava coltivando, non si rammarica per la ricerca in corso andata perduta: si domanda invece perché la muffa produca di questi effetti e se se ne possa trarre alcunché di utile. E scopre la penicillina. Per serendipità.
Qualcosa di simile era accaduto a Pasteur.
Nel corso di una ricerca sul colera dei polli, la procedura operativa prevedeva che si dovessero infettare dieci galline con una cultura del germe responsabile di quella malattia, già identificato dal Perroncito nel 1878 (3). Il brodo di cultura fresco di cui disponeva il ricercatore bastava tuttavia soltanto per nove animali: per non modificare il protocollo di studio, lo studioso infettò la decima gallina con una cultura assai vecchia che, per qualche ragione, non era stata distrutta.
Quest'ultimo animale, però, ammalò assai blandamente e guarì spontaneamente dopo qualche tempo: gli altri nove, invece, manifestarono la malattia in forma gravissima e morirono tutti.
Pasteur sospettò che il decorso molto torpido ed attenuato della malattia fosse legato ad uno scarso potere patogeno della cultura troppo vecchia e che l'animale, ammalatosi in maniera non mortale, avesse avuto modo di elaborare una qualche difesa naturale nei confronti del microrganismo infettante: difesa che avrebbe potuto tornare utile in occasione di una nuova infezione. Volendo verificare questa ipotesi, lo infettò di nuovo, ma questa volta con materiale freschissimo e di sicura efficacia: la gallina non ebbe alcun danno.
La vaccinazione (l'esperimento di Pasteur non aveva portato ad altro che a questo) non era una pratica nuova. Già nota in oriente da alcuni secoli, era stata introdotta in Inghilterra da Lady Montagu (1679 - 1762) - che a sua volta, l'aveva appresa a Costantinopoli - ed applicata su larga scala e con discreta efficacia contro il vaiolo. Edward Jenner (1749 - 1823) aveva però osservato che i mungitori della sua regione, il Gloucestershire, avevano una tendenza ad ammalare di vaiolo ancor minore di quelli trattati con la pratica di Lady Montagu. Egli sospettò che la causa del fenomeno risiedesse nella particolare esposizione dei mungitori al cow-pox, particolarmente diffuso in quella regione: costoro contraevano spesso una breve e blanda malattia febbrile accompagnata da pustole sulle mani assai simili a quelle che caratterizzavano la mammella dei bovini malati: tra cow-pox e vaiolo umano doveva esservi dunque una qualche parentela. E invece che materiale estratto da pustola vaiolosa umana, si servì, con successo, di quello bovino.
Dopo l'esperienza sul colera dei polli, Pasteur cominciò a studiare con più assiduità i fenomeni biologici che sottendono la "vaccinazione", termine da lui stesso proposto in onore di Jenner (4).
In quell'epoca era piuttosto diffusa una malattia contagiosa del bestiame - dei cavalli in particolare - che non di rado attacca con gravi conseguenze e con elevata mortalità anche l'uomo, il carbonchio. Non fu lo scienziato di Dôle, però, a riconoscerne il germe responsabile: furono invece Casimir Davaine e Robert Koch. A lui si deve invece l'elaborazione di un metodo sicuro ed efficace per prevenirne l'insorgenza mediante vaccinazione.
Nei tentativi di perfezionare le ricerche di un giovane veterinario di Tolosa, il Toussain, Pasteur osservò che il semplice calore attenuava sì la virulenza del bacillo estratto dall'animale infetto, ma non impediva il risorgere delle spore, e con esse nuovi bacilli vivaci ed attivi. Se invece i bacilli provenivano da culture mantenute, durante il loro accrescimento, a 42°- 43°, non solo essi risultavano meno aggressivi nei confronti dell'animale contagiato, ma non davano luogo a spore. Quando poi le culture venivano portate a temperature più basse, le spore tornavano a formarsi, ma davano luogo a microrganismi che mantenevano una limitata aggressività.
L'efficacia del vaccino fu dimostrata inoculando l'agente del carbonchio vivo e virulento in pecore pretrattate con inoculazione di batteri attenuati: gli animali non ammalarono. Era il 5 giugno 1881.
Ma gia dall’anno precedente Pasteur aveva cominciato a dedicarsi quasi esclusivamente ad una grave malattia: la rabbia, o idrofobia.
La rabbia è trasmessa all'uomo dal morso di animali infetti (di solito i cani) e conduce pressoché costantemente a morte fra spasimi atroci. Il timore del cane idrofobo e dell'uomo che ne fosse stato morso era tale che, un secolo prima, in Francia, dovette essere emanata una legge che reprimeva severamente l'usanza di avvelenare, strangolare od abbattere a fucilate colui che fosse stato morsicato da un cane sospetto (5). L'agente della rabbia è un virus, un'entità biologica non nota a quell'epoca e dunque non identificabile nè riconoscibile, e men che meno coltivabile come i comuni batteri: le sue capacità patogene non potevano dunque venire attenuate con il trattamento al quale era stato sottoposto il bacillo del carbonchio. Occorreva trovare un altro metodo.
Pasteur era convinto che il microrganismo responsabile della malattia dovesse trovarsi, oltre che nella saliva, nel tessuto nervoso, nel quale anzi era forse particolarmente concentrato. Questo convincimento traeva origine non soltanto dai sintomi della malattia, ma anche dall'ipotesi formulata da Boerhaave quasi due secoli prima e, soprattutto, dai lavori sperimentali del Rossi, presentati all'Accademia delle Scienze di Torino nel 1824: in quei lavori il ricercatore italiano non solo dimostrava la degenerazione del tessuto nervoso, ma anche la sua capacità di riprodurre la malattia inoculandone un'emulsione in animali sani.
Memore degli esperimenti sul colera dei polli - la decima gallina si era ammalata blandamente perché infettata con materiale vecchio - pensò di sottoporre ad essiccazione frammenti di midollo spinale di cane infetto e lasciar invecchiare il preparato per quattordici giorni: a questo punto il materiale veniva triturato, sciolto in acqua ed inoculato sottocute ad un animale. Il giorno seguente, lo stesso animale veniva trattato con materiale vecchio di tredici giorni e così via finché l'ultimo giorno della sperimentazione veniva impiegato materiale di recentissima preparazione, abitualmente assai virulento: il cane non manifestava segni di malattia neppure dopo un tempo assai lungo.
La relazione con la quale Pasteur illustrò questi dati al Congresso Internazionale di Medicina di Copenhagen del 1884 ebbe un successo clamoroso: non restava che provare sull'uomo.
Il periodo di incubazione della rabbia nella specie umana varia tra una ventina di giorni fino ad un paio di mesi, un periodo più lungo di quello necessario perché i cani del laboratorio di Rue de l'Ulm sviluppassero immunità verso la malattia. Occorreva dunque trattare qualcuno che fosse stato morso di recente: se il paziente avesse sviluppato immunità, lo avrebbe fatto durante il periodo di incubazione, prima del momento in cui i sintomi sarebbero dovuti comparire.
Il 6 luglio 1885 fu condotto a Pasteur un bambino alsaziano di nove anni, appena morso da un cane sicuramente idrofobo: sottoposto al trattamento, il piccolo Joseph Meister non manifestò alcun segno di malattia (6).
La notizia fece rapidamente il giro d'Europa. Dopo Meister fu la volta del pastore Jupille e dopo ancora di diciannove mugiki morsi da un lupo, giunti in treno da Smolensk: si salvarono in sedici. E lo Zar, stupefatto e riconoscente, insignì lo scienziato della Croce di Sant'Anna, elargendo la somma di 100.000 franchi, primo contributo alla fondazione dell'Istituto Pasteur.
Il primo marzo dell'anno successivo, in una relazione all'Accademia di Medicina, fu comunicato l'esito positivo della vaccinazione antirabbica in 350 casi.

IMPORTANZA DELL'OPERA DI PASTEUR

Esisteva già la nozione, prima di Pasteur, che esseri viventi invisibili possono essere causa di malattia: ma la cosa non era mai stata oggetto di studi sistematici tanto rigorosi e coerenti. Fu soltanto l'intuizione pasteuriana che si dovesse stabilire una precisa relazione tra questo o quel microrganismo e le specifiche malattie e che la biologia dei germi andava studiata per comprendere i fenomeni morbosi che essi provocavano - principi che oggi ci appaiono scontati ma che all'epoca non lo erano affatto - a dare origine alla microbiologia scientifica ed alla sua feconda applicazione in campo medico.
Anche l'esistenza di fenomeni a carattere immunitario non era nuova: l'oriente antico, Lady Montagu, Jenner, ne avevano addirittura fatto oggetto di impiego clinico. Forse soltanto Jenner, però, aveva mosso qualche passo oltre il puro approccio empirico. Lo studioso francese, invece, sottopose costantemente i fenomeni osservati a rigorosa riflessione scientifica ed allestì esperimenti e ricerche accuratamente progettati per confermare intuizioni ed ipotesi esplicative, aprendo il campo ai lavori di Ehrlich e Metchnikoff ed alla moderna immunologia.
La sua opera non fu importante solamente per le teorie scientifiche che ne scaturirono: essa fu sempre rivolta anche agli aspetti pratici. Per entrambe le ragioni la figura di questo studioso costituisce una tappa fondamentale, accanto a quella di un Morgagni, un Haller, uno Spallanzani, nel cammino della medicina dall'empirismo verso la ragione e del vistoso miglioramento - almeno nel campo della patologia da infezione - degli strumenti terapeutici e della loro efficacia ed affidabilità.
Louis Pasteur fu tra i non moltissimi uomini di scienza a godere - ben prima della morte a Château Villeneuve-l'Etang, presso Parigi, nel 1895 - di una fama chiarissima e di un prestigio indiscusso. Ma anche di grande stima ed affetto per le sue profondissime qualità umane: tanto che quando nel 1940 Parigi fu invasa dall'esercito nazista, Joseph Meister, il suo lontano paziente nel frattempo divenuto portiere dell'Istituto Pasteur, preferì suicidarsi piuttosto che aprire alle truppe dell'invasore la cripta dove riposavano le spoglie del tanto venerato ed amato "caro signor Pasteur" (7).

IL FORUNCOLO DELL'OSSO
Fra le numerose esperienze di Pasteur sulle infezioni -soprattutto chirurgiche - assumono un grande rilievo quelle sui cocchi piogeni.
Dal pus estratto da un foruncolo egli riuscì a coltivare un microrganismo che formava tanti punticini rotondi sul contenitore nel quale lo andava coltivando: si trattava dello stafilococco. Lo stesso germe era presente nel materiale proveniente da un paziente osteomielitico: e Pasteur chiamò l'osteomielite "foruncolo dell'osso" (*).

(*) A. Pazzini, op. cit.

SERENDIPITÀ
La "possibilità di fare scoperte interessanti e impreviste, in modo perlopiù casuale o durante il corso di ricerche scientifiche orientate verso altre mete" (*) trae il suo nome dall'isola di Serendip (dal sanscrito Simhala dvipa), l'attuale Sri Lanka, e deriva da una storia persiana intitolata "I tre principi di Serendip" riferita in una lettera del 1754 di Horace Walpole a Horace Mann. Secondo la leggenda Javer, il re filosofo di quell'isola, aveva mandato, per completare la loro educazione, i tre figli a compiere un lungo viaggio durante il quale essi s'imbattevano continuamente in cose misteriose e strane che non stavano cercando ma che, con la loro sagacia, riuscivano sempre a comprendere e spiegare.
Pasteur stesso era consapevole dell'idea di serendipità - che contempla il caso solo come origine di un evento non previsto che resterebbe però lettera morta se una mente capace non ne intuisse il significato nascosto - quando asseriva che "nel campo dell'osservazione il caso ferisce solo gli spiriti preparati" (**).

(*) voce serendipità in: disc, dizionario italiano
Sabatini-Coletti - Firenze, giunti, 1997
(**) l. Pasteur : opere (a cura di O. Verona) -
Torino, utet ,1972

NOTE
(1) W. F. Bynum: Voce "Pasteur", in Dizionario biografico della Storia della Medicina e della Scienza Naturali - Milano, Franco Maria Ricci, 1988
(2) W. F. Bynum, ibid.
(3) A. Pazzini : Storia dell'Arte Sanitaria - Torino, Minerva Medica, 1973.
(4) W. F. Bynum, op. cit.
(5) L. Sterpellone: Stratigrafia di un passato - Milano, Punto e linea,1990
(6) A. Pazzini, op. cit.
(7) D. Antiseri : Louis Pasteur: Un grande scienziato tra fede e ragione. Roma, Acton Focus n. 6, 2003