Anno 3 - N. 7 / 2004


IL SAN CARLO

UN GIOIELLO DEL SETTECENTO NAPOLETANO

Nei primi decenni dell’ottocento fu direttore del teatro Domenico Barbaja definito da Alessandro Dumas “Il principe degli impresari”.

di Dino Marra




“Non c’è nulla in Europa che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea”.
Tanto ebbe a scrivere Stendhal nel 1817. Lo scrittore francese si riferiva ad un’opera grandiosa capace di ospitare tremila spettatori, con sei file di palchi, decorata in oro, con addobbi in azzurro (il colore dei Borboni) ed un palcoscenico descritto dal grande chirurgo inglese Samuel Sharp nel 1765 di “dimensioni favolose”.
Re Carlo, futuro Carlo III re di Spagna, da vero discendente di Luigi XIV, non aveva lesinato sulle spese. L’Architetto Medrano assistito dal collega Carasale incaricato dallo stesso Re, in quanto addetto ai festeggiamenti di corte, aveva portato a termine l’opera con una rapidità a dir poco prodigiosa. I lavori iniziati nel febbraio del 1737 (quarant’anni prima della Scala) furono ultimati nell’ottobre dello stesso anno sì che il 4 Novembre, in occasione dell’onomastico del Re, fu messa in scena la prima opera “Achille in Sciro” del Metastasio, musicata da Domenico Sarro. Si racconta che Re Carlo nel congratularsi con Carasale la sera precedente la rappresentazione abbia fatto notare che mancava un corridoio di comunicazione tra il palazzo reale ed il teatro. A fine spettacolo il Re fu invitato a rientrare direttamente nel palazzo attraverso il corridoio che, essendo ancora fresca la muratura, era stato ricoperto da tappeti ed arazzi.
In fondo il San Carlo si configurava come vero e proprio status simbol. Per tutto il diciottesimo secolo Napoli fu il centro europeo più brillante della musica e del bel canto tanto che Rousseau nell’articolo sul “Genio” consigliava all’aspirante musicista di perfezionare la sua preparazione a Napoli. I suoi Conservatori erano fucina e mercato di compositori, cantanti, suonatori di qualsiasi strumento, virtuosi continuamente ed universalmente richiesti. Di scuola napoletana erano Alessandro e Domenico Scarlatti, Pergolesi, Leo, deceduto in giovanissima età, Anfossi, Porpora, Piccinni, Durante, Cimarosa, Jommelli, Paisiello ed altri. Pure di scuola napoletana erano i cantanti più famosi. Per citare solo due nomi i castrati Caffarelli e Farinelli, la cui memoria ancora oggi non si è spenta, come dimostra un recente film sulla loro vita.
Si può affermare che per oltre mezzo secolo il San Carlo divenne il traguardo più ambito della carriera musicale in Europa. Vi approdarono Haydn, Johann Cristian Bach, Gluck. Scrivono i biografi di Gioacchino Rossini che il musicista, peraltro già abbastanza famoso in Italia, mai fu tanto preoccupato per la presentazione di una prima quanto per l’esordio al San Carlo con “Elisabetta Regina d’Inghilterra”. Anche i librettisti facevano a gara per essere presenti in quel teatro. Metastasio, che viveva presso la corte di Vienna, era di casa a Napoli essendo sue le prime tre opere rappresentate. Era in corrispondenza con il castrato Farinelli che apprezzava per le brillanti interpretazioni.
Nei primi decenni dell’ottocento fu direttore del teatro Domenico Barbaja definito da Alessandro Dumas “Il principe degli impresari”. Questi, rompendo con la vecchia tradizione, istituì nel 1812, pare in contemporanea con la Scala, la prima scuola di balletto in Italia ed affidò nel 1814 la direzione artistica a Gioacchno Rossini con l’obbligo di comporre due opere ogni anno per il San Carlo, ferma restando la libertà di continuare a comporre anche per altri teatri. Nel febbraio del 1816 un incendio distrusse il teatro e tutti i più importanti giornali europei riportarono con rilievo ed emozione la notizia. Sei giorni dopo l’incendio il Re Ferdinando ne ordinò la ricostruzione. L’incarico fu affidato all’architetto Antonio Niccolini che in dieci mesi provvide alla ricostruzione migliorando l’acustica e dando al teatro una chiara impronta neo-classica, mentre il pittore Cammarano affrescò il soffitto tuttora esistente raffigurando Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo da Omero all’Alfieri. Dopo sette anni Rossini fuggì da Napoli con Isabella Colbran, amante del Barbaja, con la quale si unì successivamente in matrimonio. Aveva scritto per il teatro Mosè, Armida, Otello, Maometto, La Dama del lago ed altre. Nel periodo della sua direzione oltre alla Colbran si erano avvicendati i soprani, per citare i più celebri, Maria Malibran, Giuditta Pasta e tenori non meno celebri come Adolphe Nourrit che si suicidò per non aver superato il suo compatriota rivale Gilbert Douprez inventore del do di petto. Rossini fu sostituito da Gaetano Donizetti che per quattordici anni rimase a Napoli dove compose Lucia di Lammermour, Maria Stuarda, Poliuto e tante altre che ancora oggi sono nel cartellone dei più prestigiosi teatri lirici del mondo. La tradizione del melodramma romantico, che ne “La Dama del lago” (1815) di Rossini e nella “Lucia di Lammermour” di Donizetti (1835) si era ispirato alle opere di Walter Scott, fu continuata da Vincenzo Bellini che ebbe vita breve e da Giuseppe Verdi che fu direttore artistico del teatro per una sola stagione. Compose per il San Carlo l’Alzira, Luisa Miller, Un ballo in maschera e per la prima volta vide accolta con applausi l’Aida. Nel 1842 l’azzurro degli addobbi fu sostituito dal rosso e nel 1854 il sipario fu dipinto da Giuseppe Mancinelli con la raffigurazione del Parnaso, ancora esistente.
Con la fine del secolo e del melodramma romantico il teatro accolse le opere della nuova scuola composte da Puccini, Mascagni e nel 900 dagli ultimi più noti compositori di opere liriche di nascita e scuola napoletana: Leoncavallo, Giordano, Cilea, Alfano.