Anno 3 - N. 7 / 2004


MARMO: LA MATERIA SPLENDENTE

di Rosanna Veronesi



Immagine d'epoca, raffigurante il bacino di Colonnata con i ponti romani "Marmifera" in località Vara


Marmo ci riporta al latino marmor; termine derivante dal greco marmaros ossia pietra candida, masso roccioso o ancora splendente.
La prima distinzione di questa materia viene fatta fra i marmi che hanno un’origine magmatica, ossia, la solidificazione di magmi derivanti dalla fusione di alcune parti della crosta continentale e altre superiori dello stesso mantello; successivamente vengono presi in esame quelli che hanno un’origine sedimentaria e quelli che hanno subito un’azione metamorfica; sulla classificazione dei colori che, anche in una stessa classe genetica, cambiano da un giacimento all’altro; infine sulle destinazioni d’uso o distinguendo i marmi usati nel passato, alcuni dei quali non vengono più coltivati.
I marmi bianchi sono quelli più puri, vengono classificati in: Statuari, Bianchi Venati, Nuvolati, seguono i Bardigli, Arabescati, Brecce, Mischi, Paonazzetti, Cipollini, Giallo Antico, Giallo di Siena, Fior di Pesco, Rosso di Francia, Rosa del Portogallo e sempre distinti in pietre ornamentali che possono essere levigate e lucidate.

Sappiamo che i Greci avevano modellato sculture e bassorilievi da alcune rocce cristalline bianche adatte, secondo il gusto dell’epoca, ad essere vivacemente colorate.
I Romani in seguito usarono tutti i tipi di rocce chiamandole con nomi derivanti dal colore, dal disegno e dal luogo di provenienza.

Le qualità specifiche del marmo sono note e comunque lo stesso è valutato in quanto: è forte, resiste all’usura e alle intemperie; è adatto ad essere impiegato come materiale ornamentale e da costruzione; può essere levigato, lucidato, usato a tutto tondo per scultura, bassorilievi e oggettistica o, ridotto in lastre sottilissime per la copertura di grandi estensioni.

Non si può ignorare l’importanza che questa materia ha assunto nel campo storico, nel quale i noti giacimenti italiani hanno contribuito a far nascere l’opera dei grandi scultori; da quelli romani, a quelli medievali, da Michelangelo in poi, o ancora, il lavoro dei più noti designer contemporanei.

LE ALPI APUANE
I monti della luna

Le Alpi Apuane si caratterizzano per gli estesi giacimenti marmiferi che impressionarono a tal punto l’impero Romano da fondare una città.
Si dice che i Romani, arrivando in quei luoghi, pensarono di avere scoperto i monti da cui nasceva la luna. Il bagliore e la rifrazione nell’adiacente mare, li aveva misteriosamente affascinati, la quantità dei giacimenti li attirò; così decisero di fondare in quel luogo misterioso la città di Luni.

Meno conosciute, ma indubbiamente più veritiere sono le strutture geologiche che determinano la nascita delle Apuane.
La catena ha forma ellittica legata al corrugamento appenninico, ma geograficamente è indipendente in quanto racchiude in poche decine di chilometri tre distinte serie di strati geografici attraverso i quali l’erosione ha aperto una finestra che rende possibile la lettura della storia geologica.
L’ampio bacino marmifero supera anche i quattrocento metri di spessore e in alcune zone i marmi risultano particolarmente puri.
Secondo un’analisi più accurata si apprende che le Alpi Apuane ebbero inizio nell’Era Primaria, sottoforma di piattaforma sulla quale si depositarono sedimenti di argille e arenarie ricoperte da un magma proveniente dalla fusione delle parti più profonde della crosta continentale.
Alla fine del primo periodo Mesozoico su questo basamento sommerso in un mare poco profondo si depositarono sostanze organiche, carbonati di calcio e magnesio e, successivamente, il moto delle correnti oceaniche, lo smottamento dei continenti, le contrazioni, le compressioni e le rotazioni fecero emergere le Alpi Apuane, più o meno, come sono ora.

La tecnologia della lavorazione del marmo è stabilita dalla conoscenza e dalla trasmissione di esperienze, dovute in primo luogo al faticoso lavoro dei cavatori, che ricavano la pietra dalle cave, (a parete o in sotterraneo) con pericolosi macchinari e cariche esplosive ad alto rischio e ancora oggi, a parte l’ausilio di macchinari evoluti, usando forza muscolare, colpi di mazze, puntazze, fili elicoidali, seghe, trespoli, pulegge, argani e martinetti.
Nelle cave di Carrara, in un particolare periodo dell’anno, a ricordo dei metodi antichi, viene eseguita la gara della “lizzatura”, un’operazione manuale che permetteva di trasportare su slitte di quercia, leccio o faggio lunghe fino a dodici metri, la quantità di marmo necessaria.
Le slitte, appoggiate su traverse di legno saponato o ingrassato, permettono con rapidità e sicurezza lo scivolamento a valle degli enormi blocchi.

Attualmente le Apuane, attive sul piano produttivo, comprendono un Parco archeologico con tracce e reperti che testimoniano l’attività estrattiva antichissima. Di seguito sono segnalate alcune cave di grande importanza che sono diventate meta turistica, in quanto oltre allo specifico significato storico, si avvalgono di un paesaggio unico.

IL PARCO ARCHEOLOGICO
DELLE ALPI APUANE

La Cava del Bacino di Colonnata, probabilmente in esercizio dal 1 secolo a.C., ha forma ad anfiteatro, è ricca di trincee, pozzi e preparazioni minerarie; è considerata la più grande cava di marmo esistente in Italia. Al suo interno venne ritrovata una statuetta di Artemis-Diana.
In tempi recenti la sua fama si è allargata al pubblico attraverso il più noto “lardo di Colonnata”, in quanto lo stesso viene messo a maturare tra le cave, in speciali conci di marmo.
Lungo la via Carriona, che congiungeva le zone di estrazione tra le città di Luni e di Carrara, si rinvengono trincee caesurae di epoca romana e tagliate di epoca post-medievale. Nel sito è stata ritrovata un’ara votiva dell’età di Traiano.
Il bacino di Torano è una cava utilizzata tra le prime dai romani, in quanto risultava di facile accesso perché in prossimità della pianura. Testimonianze di antiche lavorazioni e luoghi estrattivi, antiche proprietà del Vescono-Conte di Luni, nonché quelli di Sponda, da cui proviene il marmo del tabernacolo di Andrea Orcagna (1355-1359) in Orsanmichele a Firenze.
Di particolare interesse, risultano le stazioni di arrivo ai poggi caricatori, dove i marmi calati dalle cave lungo le vie di lizza passavano direttamente al trasporto ferroviario.
La stazione si affaccia sulla cava di Polvaccio, più nota col nome di cava Michelangelo, per il documentato utilizzo dello statuario di epoca rinascimentale.
Il complesso estrattivo di Miseglia attivo fino a metà del ‘900 rappresenta una delle aree di cava che ha conservato il paesaggio minerario tradizionale e integro con accesso dal “poggio dei Fantiscritti”.
Il nome Fantiscritti deriva dal rilievo di età Severiana (III sec. d.C.), scolpito sulla parete marmorea dell’omonima cava raffigurante tre divinità (fanti - perché piuttosto piccoli? o militari?) con dedica in latino (scritti). Il rilievo, come altri importati reperti, è conservato nel museo archeologico.
Altra cava che rimanda a Michelangelo Buonarroti è quella di Trambiserra di Seravezza, in cui lo stesso (insieme a Donato Benti) nel 1518, ricavò i marmi della facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze; dal “poggio caricatore” lo stesso Michelangelo riuscì a condurre una strada di carreggiamento che arrivò fino alla marina, dove oggi sorge Forte dei Marmi.
Nella Villa della Padula, già residenza della famiglia Fabbricotti, ora area pubblica destinata a promozione culturale, sono presenti tracce di una cava ottocentesca. Questa cava costituisce un inconsueto esempio di escavazione lapidea non strettamente marmorea.
Tra i siti più importanti, che colpiscono il visitatore, sono menzionati i Ponti di Vara. Un solco netto tra due ripide e abbaglianti gole marmoree in cui spiccano alti ponti ad arcate sovrapposte, costruiti con vivaci mattoni.
Si deve, tra gli altri, al Giambologna in data 1569, la prima coltivazione di marmo del Monte Altissimo.
Una ardita “via di lizza” è presente dal fondovalle del Serra alla cresta del Monte Carchio, costruita probabilmente nel XIX secolo e seguendo una via preesistente attribuita a Michelangelo Buonarroti.
La cava in prossimità del ponte di Pruno e del borgo dell’Orzale iniziò la sua attività intorno al 1561 e il materiale estratto fu per secoli utilizzato dalla Magona granducale per il rivestimento dei forni fusori delle colline metallifere toscane, delle ferriere della Montagna pistoiese, di Genova e della maremma pontificia.
La Via dei cavatori di Tre Fiumi e saggi di cava della Turrite Secca a Stazzema, sono alcuni reperti superstiti della grande impresa ottocentesca di collegamento stradale e dello sfruttamento economico dell’area estrattiva che culminarono con il traforo del Cipollaio (1875-1878) e il successivo arrivo della linea ferrata della tramvia versiliese (1926) per il trasporto dei marmi estratti nella zona.