Anno 3 - N. 7 / 2004


“DI TUTTE LE SCOPERTE FORSE NESSUNA HA INFLUENZATO L’INTELLETTO UMANO QUANTO LA TEORIA COPERNICANA”

NIKLAS KEPPERLINGK

La rivoluzione celeste di un canonico polacco

di Giulio Cesare Maggi



Nicolò Copernico

(dipinto di scuola tedesca, sec. XVI)

Torun, Muzeum Nikolaja Kopernica

Ci vorrà del tempo perché il sistema copernicano, perfezionato da Tycho Brahe e da Keplero, e che fu la base delle scoperte di Galileo che di Copernico amava dirsi discepolo, si affermi in modo definitivo

Regnante Urbano VIII, nel 1643 l’opera di Copernico De revolutionibus fu messa all’Indice, dieci anni dopo la condanna di Galileo.
Il 31 ottobre 1992 il Cardinale Paul Paupard presentava a Papa Giovanni Paolo II la relazione conclusiva delle ricerche sul processo a Galilei sollecitata 13 anni prima dallo stesso Pontefice. In questa relazione si dice testualmente che “gli avversari di Galileo non hanno, né prima né dopo di lui, scoperto nulla che potesse costituire una confutazione dell’astronomia copernicana”.
È del resto riportato nella relazione del Card. Poupard che già dal 1820 e poi successivamente, i libri che riferivano la teoria copernicana ricevettero l’imprimatur.
La fine della controversia chiude per sempre il doloroso capitolo di uno scontro al quale Copernico restò in vita estraneo: ora la sua ipotesi poteva ben dirsi una tesi: “Di tutte le scoperte, forse nessuna ha influenzato l’intelletto umano quanto la teoria copernicana”, come bene ha detto Goethe.


§ § §

Il 31 maggio 2003 nell’Aula Magna del Palazzo di Renata di Francia, sede dello Studio ferrarese, l’Università ha celebrato il cinquecentesimo anniversario della Laurea o Privilegio di dottorato in Diritto Canonico conseguita da Nicolò Copernico, polacco per nazione.
Questo canonico doveva diventare celebre nel mondo intero non per studi di diritto ma per aver dato avvio ad una vera e propria rivoluzione astronomica, esprimendo la teoria eliocentrica nel suo celebre De revolutionibus orbium coelestium stampato a Norimberga nell’anno 1543, la summa del suo pensiero, opera che l’Autore riuscì a vedere, portatagli dall’allievo Rheticus, ormai sul letto di morte.
Niklas Kepperlingk, lat. Copernicus, nasce a Torun, in Polonia, il 19 febbraio 1473: orfano all’età di dieci anni, Copernico ha come tutore uno zio materno Lukasz Watzenrode, poi Vescovo di Warmja.
Nel 1491 lo troviamo all’Università di Cracovia fino al 1495: qui ebbe come maestro di astronomia, la sua vera passione, Alessander Bruzdelwo che primo lo indusse ad applicarsi a quella disciplina che avrebbe coltivato ed amato per tutta la vita. Ma lo zio Vescovo lo spinse ad iscriversi ad una delle Università italiana che conoscevano in quel periodo una stagione felicissima, ed erano frequentate da docenti e studenti di tutta Europa.
Cosí Copernico nel 1496 inizia a Bologna gli studi di diritto, iscritto nel ruolo della Natio germanorum, occupandosi, più che di pandette, di astronomia quale allievo e collaboratore del celebre Domenico Maria Novara.
L’anno successivo Copernico deve tornare in Polonia quale canonico a Frauenburg, approfondendo gli studi di matematica, disciplina necessarissima alla migliore comprensione dell’astronomia.
Il 1500 lo trascorre a Roma quale impiegato alla Cancelleria Pontificia. A questo punto, libero dalle obbligazioni del suo stato, è nuovamente in Italia, questa volta all’Università di Padova iscritto a quella celebre facoltà medica, ove ebbe come compagno di corso il veneziano Girolamo Fracastoro. Ebbero quale insegnante di anatomia il bolognese Achillini e come fisico e filosofo di indirizzo aristotelico Pietro Pomponazzi.
È singolare questa collegialità di studi tra lo studioso dell’infinitamente grande, il Copernico, e quello dell’infinitamente piccolo, i “semina” causa delle malattie da contagio, il Fracastoro.
Lo studio della medicina durò quattro anni, non tutti consecutivi se nel 1503 lo troviamo studente “oltramontano” all’Università di Ferrara quale laureando in Diritto Canonico, Privilegio di dottorato che conseguì il 31 maggio 1503, mentre manteneva in absentia il canonicato in Polonia. Il documento del Privilegio si conserva ancora nell’archivio di quello Studio.
Dal 1504 a1 1507 Copernico lavora a Warmja sia come canonico sia come medico dello zio Vescovo. Negli anni tra il 1507 ed il 1512 Copernico aveva messo mano ad un manoscritto De hypothesibus motuum coelestium commentariolus, quando verosimilmente era già a Frauenburg (Frombork), ove a sue spese aveva fatto costruire una torre di osservazione, oggi distrutta dagli eventi bellici.
In questo manoscritto, modestamente chiamato Compendiolus venivano già menzionate le sette petitiones che dovevano rivoluzionare le nozioni correnti dell’astronomia e porne di nuove.
Come è noto, sulla base della dottrina fisica di Aristotele, ripresa nel secondo secolo d.C. da Claudio Tolomeo di Alessandria d’Egitto nel suo famoso Almagesto, testo che fu base dell’astronomia per oltre un millennio, l’Universo è limitato dal cielo delle stelle fisse ed al suo centro è la Terra la quale è immobile mentre il cielo ruota attorno ad un asse fisso. I pianeti ruotano attorno al centro dell’Universo: i loro moti sono riconducibili a moti circolari. A questa visione si aggiunsero in seguito apporti mistici di Tommaso d’Aquino e quelli di Dante Alighieri per il quale alle varie sfere celesti corrispondono le varie potenze angeliche.
Originale è il contributo del matematico e astronomo indiano Aryabhtta, nato nel V secolo d.C. (probabilmente nel 476) a Ashmaka, nell’attuale stato del Kerala.
Dapprima precoce studente e poi rettore dell’Università di Nalanda, egli raccolse nel poema Aryabhattiya i risultati degli studi fatti.
Il testo risale al 499 d.C. ed è stato tradotto in latino solo nel XIII secolo.
Gli studi di Aryabhatta hanno interessato la matematica - fornì per p il valore 3,1416 e soprattutto ne dichiarò la natura approssimata e l’impossibilità di farne un valore preciso - la geometria - è suo il metodo per il calcolo dell’area del triangolo e del cerchio, del volume della sfera e della estrazione della radice quadrata e cubica, con l’aiuto dell’osservazione astronomica - e la astronomia: teorizzò che la Luna non è dotata di luce propria ma riflette la luce del Sole, riconobbe nella proiezione dell’ombra della Terra e della Luna l’origine delle eclissi di Sole e di Luna, sancì che la Terra è sferica ed è dotata di un movimento di rivoluzione attorno al prorio asse, a spiegazione dell’alternanza del giorno e della notte.
Per questi aspetti lo si può definire un precursore di Copernico nella elaborazione della teoria del sistema solare.
Del resto la visione di Tolomeo, malgrado la diffusione dell’Almagesto , aveva lasciato dei dubbi. Leonardo (Windsor, 12669) scrive “il Sole non si muove”, mentre nel Codice F aveva detto “La Terra non è nel mezzo del cerchio del Sole né nel mezzo del mondo”. Frà Nicola Cusano, il teologo di Trèviri, aveva parlato di una Terra “in moto” in un mondo senza centro. Dice Guido Lopez “Un primo spiraglio verso la nuova cosmogonia di Copernico, Keplero e Galilei”.
Come bene ha sintetizzato lo storico della scienza P. Rossi, innanzitutto, in opposizione alla dottrina di Tolomeo fino ad allora imperante, secondo Copernico esistono due centri di rotazione di tutti gli orbi celesti o sfere: il centro della Terra non coincide con il centro dell’Universo ma solo con il centro di gravità e della sfera della Luna. Tutte le sfere ruotano attorno al Sole che perciò risulta essere il secondo centro, eccentrico rispetto all’Universo.
Le dimensioni del firmamento stesso sono tali da far sì che il moto della Terra non dà luogo a moto apparente delle stelle fisse. Essendo il firmamento immobile, i moti suoi apparenti in realtà dipendono da quello della Terra, che con la sua atmosfera e le acque compie una rotazione diurna completa sui suoi poli. Non è perciò il Sole a muoversi, a dispetto di quanto ci appare, ma la Terra e la sua sfera, insieme ad ogni altro pianeta; pertanto – così conclude Copernico – la Terra ha più di una rivoluzione.
I pianeti non avrebbero moto proprio ed in ogni caso il moto della Terra è da solo sufficiente a spiegare quanto si osserva in cielo: esso dà ragione di tutti gli altri moti che sono perciò moti apparenti.
Il manoscritto copernicano circolò in più copie destando da una parte grandissimo interesse, dall’altra incredulità e timore, ma, si ricordi, prudenzialmente il titolo parlava di ipotesi.
Nel 1513 a richiesta del Concilio Laterano V e verosimilmente di Leone X, il Papa che nella Pontificia Università della Sapienza aveva istituito la cattedra di Astrologia, Copernico compilava una proposta per un nuovo calendario. In questo periodo Copernico fu coinvolto in problemi economico - amministrativi e persino politici, quale componente dell’Ambasceria polacca presso il Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici contro le cui pretese su Bausberg egli fu costretto ad organizzare la difesa di Olstzy.
In quel periodo presentò pure al Congresso degli Stati del Regno di Prussia il suo Trattato sul conio delle monete.
Lo studio incessantemente perseguito, che durò tutta la vita, lo conduce ora a scrivere il De sphaera, sempre lavorando al suo capolavoro, il De revolutionibus in sei libri, dedicati a Paolo III e consegnati al Rheticus. L’opera, come si è detto, vedrà la luce a Norimberga nel 1543.
Il 21 maggio di quell’anno Copernico muore a Fronbork, assistito dall’allievo prediletto, il quale fa appena a tempo a consegnarli la prima copia del libro; Rheticus ebbe la seconda copia che ancor oggi si conserva con la sua firma.
Al Rheticus va il merito di aver divulgato la dottrina copernicana: egli infatti pubblicò nel 1540 anonima e nel 1541 con il nome di Copernico la Narratio Prima che conteneva un’esposizione molto chiara della dottrina del Maestro. Merito del Rheticus è anche quello di aver sottolineato la maggior semplicità del sistema copernicano rispetto a quello tolomaico fino ad allora seguito dagli studiosi di astronomia.
Nello stesso anno 1543, per avventura, Vesalio pubblica a Basilea per i tipi di Oporino il De humani corporis fabrica, sicuramente definibile la rivoluzione dell’anatomia.
Già all’inizio del Cinquecento G.B. Amici, all’età di ventriquattro anni, aveva pubblicato il De Motibus Corporum Coelestium e poi G. Fracastoro il suo Homocentrica (1538), anch’esso dedicato a Paolo III, con una complicata presenza di 77 sfere: a fronte di queste opere sta la semplificazione copernicana che la diffusione del De rivolutionibus portò all’attenzione degli studiosi. Tuttavia lo stesso Lutero, in uno dei suoi Discorsi a tavola, trattò, sia pure senza nominarlo, Copernico quale un astronomo “da quattro soldi”, che scriveva cose contrarie alle sacre scritture. Di pari opinione Filippo Melantone e Calvino.
Una presa di posizione della Chiesa si ebbe solo all’inizio del Seicento, dopo che nel 1614 verrà letto in S. Maria Novella a Firenze, un testo del domenicano padre Tolosani, scritto oltr 50 anni prima, il quale definiva “stolta ed assurda in filosofia e formalmente eretica l’opera copernicana”.
Si giunse persino a mescolare le nozioni astronomiche su base matematica con la magia, con il “geroglifico della divinità”, riferendosi anche a Marsilio Ficino ed alla sua traduzione del Corpus Hermeticum, e financo alla Caballah.
La scelta copernicana di Keplero e Galilei, come dice P. Rossi, fa parte della loro grandezza, capace di superare un periodo di incertezze e di trepide attese.
Non è questa la sede per analizzare quale sia stata la ricaduta della rivoluzione copernicana, ma si dovrà sottolineare che fin verso la fine del Seicento in non poche Università dei paesi protestanti i sistemi tolemaico e copernicano venivano insegnati entrambi.
Ci vorrà del tempo perché il sistema copernicano, perfezionato da Tycho Brahe e da Keplero, e che fu la base delle scoperte di Galileo, che di Copernico amava dirsi discepolo, si affermi in modo definitivo.
La tragedia di Galileo, il suo processo (1633), non sempre fu compresa, al pari della sua dottrina, da tutti gli studiosi di quel travagliato secolo: pur in opposizione alla scienza nell’accezione galileiana, Gassendi la considera come mera descrizione empirica, mentre Fontenelle, il brillante anticipatore dell’Illumi-nismo, diffuse i principi della rivoluzione copernicana già in un’ottica galileiana.
Come osserva Margherita Hack ne “L’Universo alle soglie del Duemila” (Milano, Rizzoli, 1992) Copernico seguendo il desiderio di semplicità e di bellezza dei filosofi greci, non volle abbandonare l’idea che i moti celesti potessero deviare dal moto circolare perfetto, e fu costretto ad ideare moti circolari supplementari, gli epicicli. Nondimeno è su queste basi che Keplero e Galilei impostarono le leggi e le dottrine di un Universo che oggi molti ritengono essere in permanente espansione e recentissimi sviluppi indicano invece come un infinito “finito”.
Tralasciando i commenti, in vero un poco poveri, alla voce “Astronomie” dell’Encyclopédie, ad opera del D’Alembert, che astronomo non era, vogliamo qui ricordare di Giacomo Leopardi la Storia dell’astronomia (1813) nella quale egli aveva elogiato il “rovesciamento” del sistema tolemaico da parte di Copernico, concordando con Fontenelle il quale negli Entretiens sur la pluralité des Mondes aveva detto che “egli aveva cacciato la Terra dal centro dell’Universo ingiustamente usurpato”. Ma soprattutto il dialogo, di gusto lucianesco, Il Copernico (1827) di “consolidata fede materialista” come fu opportunamente definito, già presente nello Zibaldone (1826-27), fu poi esplicitato da Leopardi nel programma neo-illuministico degli anni successivi.
E dice il Sole leopardiano: “Per questo, se la Terra fa di bisogno della presenza mia, cammini ella e adoprarsi per averla: che io per me non ho bisogno di cosa alcuna dalla Terra, perché io cerchi di lei”.
Le teorie copernicane trovarono il loro completamento nell'opera di Tycho Brahe e di Keplero. Le osservazioni astronomiche del Brahe ed i calcoli matematici di Keplero consentirono di precisare che le orbite dei pianeti erano ellittiche piuttosto che circolari e che il moto dei pianeti era regolato da leggi fisiche e non geometriche.
In una fase dell'astronomia ancora pretelescopica, Tycho Brahe portò questa disciplina a livelli di precisione impressionanti: nondimeno il suo sogno di superare sia Tolomeo sia Copernico, introducendo un sistema geoeliocentrico, si dimostrò vano.
Parimenti Keplero, con le sue leggi del moto planetario e dell'accordo armonico dell'Universo, si curò soprattutto di evidenziare la presenza del divino nel moto universale. Ciò nulla toglie alle scoperte copernicane sia del moto della Terra sia dell'eliocentrismo che del resto ebbero oppositori quali il celebre Fludd, amico di Harvey con lui nel Royal College a Londra.
La già ricordata affermazione di Goethe, di quanto la teoria copernicana abbia influenzato l'intelletto umano è infatti ancor oggi della più viva attualità.
Nell'ambito della corrente cosmologica che - come dice Lino Conti - opera alla vertiginosa scala di immensità spaziali misurate in multipli di anni luce, la Terra è veramente un granello di sabbia: perfino il fenomeno vita appare di una marginalità sconcertante.
"Tutto è chiuso in quel punto" dice Emilio parlando con il figlio Scipione nel "Somnium Scipionis" del De Republica ciceroniano, che fu liberamente tradotto da Pietro Metastasio, e musicato da Mozart come "Il sogno di Scipione".
"Vedi laggiù d'impure nebbie avvolto, quel piccolo globo, anzi quel punto?" dice il padre a Scipione, ed alla meravigliata ansia del figlio risponde "Tutto è chiuso in quel punto". Desolata e desolante solitudine cosmica dell'Uomo poiché, dice il biologo Monod, il dovere ed il destino dell'Uomo non sono scritti in nessun luogo: sta a lui la scelta tra il Regno e le tenebre.
E neppur è consolante, asserisce acutamente Conti, in questo contesto, accettato oggi dalle scienze biomediche, il fatto che gli elementi costitutivi degli organismi viventi, siano non solo presenti, ma probabilmente derivati dalle stelle e persino dalle Supernovae più recentemente esplose e perciò in grado di creare lentamente molecole e infine aggregati molecolari dai quali origineranno le forme più semplici di vita: di queste esplosioni, alla lunga donatrici di vita elementare sono testimonianza le Supernovae (Barrow).
È un affascinante soggetto di meditazione, anche se sostanzialmente privo di ricadute pratiche sul contesto della biologia.

È di questi mesi la notizia, diffusa dalla NASA che Voyager 1 ha superato il sistema solare e che la sonda si sta dirigendo verso nuovi sistemi di un Universo che forse non si espande, contrariamente a quanto fino ad oggi ritenuto.
A bordo il Voyager 1 porta un disco di rame placcato in oro, sul quale, a beneficio di eventuali esseri extraterresti, ma si dovrebbe dire extrasolari, è inciso, tra l’altro, il grafico del nostro sistema.

Scienza ed etica spingono l’uomo ad inoltrarsi in una ricerca mai terminata: vi è solo da augurarsi che al viaggio alla ricerca dei confini dell’Universo corrisponda il viaggio verso quelli che Eraclito chiamava i confini dell’anima.