Anno 3 - N. 7 / 2004


“COMODO GLI È ‘STO STATO, ANCHE SE STRETTO, PERCHÉ SERVIVA LOR DA CUSCINETTO”

UNA STORIA SINGOLARE

La libera repubblica di Compaia (1440 - 1826). Da un errore catastale nasce un territorio autonomo e libero che si manterrà tale per quattro secoli

di Giuliano Tessera




Riposti ordinatamente gli strumenti e arrotolate le carte gli agrimensori della commissione pontificia, dopo aver gettato ancora uno sguardo alle case della villa di Cospaia a mezza costa, rimontarono a cavallo, soddisfatti del lavoro compiuto: segnare con precisione i confini del territorio e riportare il tutto, il più rapidamente possibile a Roma. Forse nello stesso giorno , con lo stesso impegno e la stessa perizia aveva lavorato la commissione nominata dalla Repubblica Fiorentina che, dopo aver elargito al papa un prestito di 25000 fiorini d’oro, aveva inglobato Borgo Sansepolcro nei propri territori, come d’altra parte i “borghesi” avevano sempre desiderato. Dopo aver lavorato con perizia si gettarono a spron battuto verso la piana , meraviglioso anfiteatro naturale che è l’alta valle del Tevere con direzione Firenze. Tutto ciò pochi giorni dopo la battaglia di Anghiari il 29 giugno 1440 che aveva visto primeggiare Firenze e il Papa nei confronti delle mire egemoniche sull’Italia centrale della Milano dei Visconti e degli Sforza. Entrambe le commissioni avevano ricevuto l’ordine di arrivare al “rio”, inteso quale confine naturale tra Firenze e Roma,Toscana e Umbria, ma ignoravano che dal monte Gurzole, un monte di appena 671 metri, nel preappennino di Bocca Trabaria, tra Sansepolcro e San Giustino, scendono due ruscelli: il “Rio della Gorgaccia” dalla parte di Sansepolcro dove si fermò la commissione fiorentina e il “Riascolo”, verso San Giustino dove stazionò quella papale. Questi ruscelli, ora allargandosi ora restringendosi, scendono a valle e, dopo circa cinque chilometri, si gettano nel Tevere, raggiungendo una distanza massima tra loro di circa 700 metri, delimitando così un’area di non più di 5 chilometri quadri, 330 ettari, entro cui è contenuta la villa di Cospaia, un campanile e poche case. L’area di quella che diverrà, per l’errore di rilevazione catastale suddetto, la libera “repubblica di Cospaia”, la più piccola repubblica del mondo.
Né il Papa Eugenio IV, che ben presto ratificò con una apposita Bolla l’evento né il governo della Repubblica di Firenze si resero conto dell’errore commesso, almeno così sembra, mentre i Cospaiesi, al contrario, manifestando notevole senso pratico e non comune lungimiranza, intuirono le possibili positive conseguenze che ne avrebbero potuto trarre. Infatti in un mondo di fatto ancora bloccato da dazi e gabelle, da percorsi stradali costellati da dogane e impedimenti creati ad arte per rendere quanto mai difficoltoso lo scambio delle merci e più in generale la vita, dove ad ogni piè sospinto si poteva venir chiamati a difendere in armi le ambizioni, ma anche le gelosie o le bizze di questo o quel potente, essere proiettati in una dimensione “libera” da tutto ciò era un’occasione pressoché unica.
Un non-luogo quindi, libero da prigioni, da imposizioni, da leggi scritte, da servizio militare: l’utopia che si faceva realtà. Unica testimonianza scritta l’iscrizione che campeggiava sull’architrave della Chiesa della Confraternita che dominava l’abitato (ancora oggi leggibile sull’architrave della chiesa della S.S. Annunziata) : ”PERPETUA ET FIRMA LIBERTAS”, perpetua e ferma libertà, che sempre i Cospaiesi rivendicarono nei confronti dei due potenti stati confinanti, il loro mondo intero circostante, quando questi cercarono di minare la loro immunità ottenuta, se vogliamo, casualmente.
Era nato, di fatto e involontariamente, uno stato “cuscinetto”, una terra franca che, tutto sommato avrebbe fatto comodo ai due stati confinanti. E una guerra, per un lenzuolo di terra, coi costi delle guerre, non valeva la pena neppure di pensarla. Così come allegramente ma con arguzia recita il cantastorie:

“Quando si accorsero quei grandi nomi,
Dei già detti Stati confinanti,
Non inviaron né sbirri, né legioni:
Incassarono il colpo e andaron avanti.
Non pagaron né tasse né sanzioni,
Più non far militare a quei regnanti;
Ed i due regni dell’avuto danno
Lasciaron le cose come stanno”

§ § §

“Comodo gli è ‘sto stato, anche se stretto,
Perché serviva lor da cuscinetto”(1)


L’autonomia di Cospaia e il regime di reale libertà da vincoli e imposizioni dei suoi abitanti si protrarranno, incredibilmente molto in là nel tempo. Soltanto nel 1800 inoltrato, nel 1826, quel “lembo di terra” verrà annessa al Comune di San Giustino venendo così a cessare quell’indipendenza nata nel 1440.
Ma per arrivare a questi fatti “finali” per certi versi, ma non definitivi, perché c’è anche una storia della memoria, che è tuttora esistente, vi sono degli aspetti storici e non poco noti che forse conviene riprendere.
Va subito detto che Città di Castello e Borgo Sansepolcro, non rinunciarono mai, pur stando così le cose, a estendere la proprio interessata “protezione” sulla Cospaia. Gli Archivi “borghesi” di Sansepolcro e “tifernati” di Città di Castello sono costellati di tentativi altalenanti di concessioni e riconoscimenti di questa o quella “libertà” (come ad esempio l’esenzione dal pagamento di gabelle per il trasporto di prodotti della terra o l’esonero “da qualunque dazio sulla macinazione delle farine”) che in realtà, se da un lato fanno emergere una reale abilità dei Cospaiesi nel volgere tutto a proprio vantaggio lasciano intendere quanto, di fatto, il territorio di Cospaia interessasse i potenti vicini.
Si avrà così un certo periodo, e siamo già alla metà del 1500, in cui Cospaia sentirà il bisogno di accettare la protezione della potente famiglia dei Vitelli di Città di Castello. Tuttavia un attento esame dell’atto di protezione, anche per le numerose firme dei contraenti fa ben capire che difficilmente questa si sarebbe potuta trasformare in dominio e che i limiti alla presenza dei Vitelli in terra di Cospaia sarebbero stati ridotti a pura forma. Di fatto sia Borgo Sansepolcro che Città Castello erano contrari a che si determinasse una supremazia di una famiglia su quel territorio e proprio ciò impedirà il formarsi di una signoria in quel di Cospaia anche se, come dimostrano gli archivi noti o segreti di entrambi i governi limitrofi, “ricolmi di corrispondenze intorno alla causa di Cospaia”, la cosa era di notevole interesse. Tuttavia o la “pochezza” del territorio o, soprattutto da Parte di Città di Castello la scarsa disponibilità di fondi per intraprendere e sostenere la causa di appartenenza del territorio di Cospaia, fecero sì che le cose rimanessero immutate. Anzi, come al solito le reciproche “storiche” documentazioni prodotte dalle parti per dimostrare i diritti di appartenenza non fecero che aumentare e implicitamente consentire e procrastinare l’autonomia e l’indipendenza della “repubblica” sul cui territorio per altro aveva cominciato a svilupparsi, per via delle immunità di cui godeva, il contrabbando.

Solo nei primi anni del 1600 si hanno notizie di fatti di sangue alla Cospaia, pochi, documentati e importanti. Ed è per questo che i Cospaiesi stessi si resero ben presto conto dei pericoli che correva la loro autonomia se non avessero posto qualche rimedio. La nascita della Confraternita della SS. Annunziata, unico codice di leggi scritte e osservate, che in definitiva stabilisce unicamente il calendario delle feste religiose, vere e proprie occasione di commerci, stabilì un patto tra tutti i capi famiglia, veri e propri governanti della “repubblica”, determinando un periodo di tranquillità foriero anche di benessere. Contribuì a ciò l’introduzione di una attività inedita e altamente redditizia: la coltivazione del tabacco.
I terreni di Cospaia, soprattutto per merito di chi li coltivava, benchè prevalentemente collinari, erano altamente produttivi:
“Grano, biade, legumi, altre semenze
E il guato, che serviva da tintura……..
Quel favoloso colore turchino
Lo producea solo Cospaia e Urbino”.

Così sottolinea il cantastorie e, come ben sapeva lo stesso famoso pittore Piero della Francesca, la cui famiglia, ricavando l’indaco coltivando il guado nella piana di Anghiari, aveva raggiunto un notevole livello economico in Borgo Sansepolcro, proprio lì, accanto.
Nell’alta val tiberina il tabacco arrivò da Parigi, inviato dal Cardinale Niccolò Tornabuoni al nipote, vescovo di Sansepolcro, nel 1574.
Dal 1560 nei giardini vaticani il tabacco, proveniente come è noto dall’America, veniva coltivato come pianta ornamentale, ma ben presto, utilizzato all’inizio come medicinale, divenne prodotto da fumo. Proibito e scomunicato all’inizio il tabacco rivelò ben presto la potenziale fonte di ricchezza che conteneva. Caddero allora le scomuniche e le terre più adatte, come quelle di Cospaia, divennero rapidamente interessanti. E tutto ciò palesemente, anche a discapito dei territori viciniori, nei quali, se era il caso poteva venir contrabbandato, abilità questa per altro già conosciuta dai Cospaiesi e da chi utilizzava quel territorio.
I vantaggi che i Cospaiesi ne trassero furono evidenti e il piccolo agglomerato migliorò anche il proprio aspetto “estetico”. Così Cospaia godette un periodo non breve di tranquillità e prosperità.
Rinnovate rivendicazioni di annessione si riavranno nella seconda metà del ‘700 tra Roma e Firenze che per l’occasione riesumarono le carte cinquecentesche e, per cercare di dirimere la questione venne addirittura scomodato come intermediario il Re di Sardegna. Ma la Rivoluzione Francese era ormai alle porte e anche per questo l’indipendenza di Cospaia fu, per il momento, salva.
Ironia della storia e della sorte proprio i portatori delle idee di “libertà” e “indipendenza” privarono Cospaia della sua autonomia dividendo l’ex Stato Pontificio in nove dipartimenti assegnandola alla giurisdizione di Città di Castello, uno dei tredici cantoni del Dipartimento del Trasimeno. Dopo 400 anni di esenzioni da tasse i Cospaiesi cominciarono a provare questa ebbrezza. Inoltre bande di briganti di origine poco chiara ma comunque con mire restauratrici dell’ordine precedente, presero a esercitare ogni sorta di prepotenze nei confronti di Cospaia alla cui difesa dovette intervenire addirittura l’esercito francese che, comunque, iniziò a sua volta a taglieggiare il territorio.
Caduta la repubblica romana nel 1799, sotto il pontificato di Pio VII, Cospaia, incredibilmente riprese la propria “liberta” ( e la produzione di tabacco venne notevolmente incrementata).
Però nel 1808, con la vittoria di Napoleone sugli alleati e con l’annessione di tutta la Toscana all’Impero Francese Cospaia venne aggregata al Comune di Sansepolcro, fino al 1814.
Alla caduta di Napoleone, in clima di Restaurazione, i Cospaiesi, ormai in balia di vicende più grandi di loro, ripresero le originarie libertà.
Ma i tempi bucolici erano ormai tramontati e l’incalzare dei commerci e delle industrie sempre più alle porte. Così, da ogni dove, ad esempio da Livorno, “si poteva trasportare…senza alcuna gabella, qualunque genere, tanto di tessuti esteri che di coloniali…”. E ciò costituiva una attrazione ovviamente irresistibile per i ceti imprenditoriali di allora. L’aggiramento della dogana diverrà pratica usuale, soprattutto per chi conosceva bene il terreno.
Ma, si sa, la forza dell’economia è pari solo a quella della volontà politica, che pur dovrebbe esserle superiore. Così, sia pur dopo anni di patteggiamenti e di altalenanti sterili compromessi, Roma e Firenze cominciarono le trattative per la spartizione del territorio. Il 15 Aprile del 1825.
“Quindici aprile, un giorno ricordato,
Dell’ottocentoventicinque in fondo;
Quasi alla fine era già arrivato
Il più piccolo Stato ch’ebbe il mondo.
Questo giudizio ne fu decretato
Dal Papa Leone decimosecondo;
Anche Leopoldo, il Duca di Toscana,
Come il Papa suonò la sua campana”

FATTI DI SANGUE E DI POESIA

Dalle logge del Castello Bufalini in San Giustino, si potevano udire sia pur indistintamente come un brusio o un frinire di cicale, proveniente da Cospaia, echi di risate, canti e suoni di gioia. Poi, improvvisamente alcuni tonfi secchi come di rami violentemente spezzati, poi silenzio, poi ancora un vociare. Francesca Turina Bufalini, vedova del conte Giulio Bufalini di San Giustino morto nel 1583, all’età di 77 anni, quando lei ne aveva 30, udì tutto ciò e venne assalita da un angoscioso presentimento. Era il 10 Agosto 1623, festa di San Lorenzo, patrono di Cospaia e per i festeggiamenti il figlio di Francesca, Ottavio, si era recato proprio là, alla villa, coi suoi fidi, per festeggiare. Solo Ottavio perché con l’altro fratello, il primogenito Giulio, i rapporti, dopo la morte del padre, valoroso condottiero e Colonnello del Papa, erano caratterizzati da forti tensioni e continue liti derivanti dai diritti ereditari sulla casata reciprocamente rivendicati. E ciò amareggiava profondamente Francesca sulle cui spalle per altro ricadevano le mille incombenze dei Bufalini in quanto, oltre che vedova, si ritrovava quale unica esecutrice testamentaria e tutrice dei figli minori. E i Bufalini non erano ormai una famiglia qualunque e non solo per le numerose imprese di Giulio in Italia e all’estero al servizio dei papi da cui era stato riconosciuto benefattore e perciò insignito del titolo di conte di San Giustino, ma anche per l’eccellente politica matrimoniale da lui condotta in favore innanzi tutto del figlio Ottavio, natogli dalla prima moglie con Donna Dorotea Ferreri, nipote del Papa Pio IV, figlia di una sorella del Cardinale Carlo Borromeo, che poi salirà all’onore degli altari. Ma, ancor di più i Bufalini vantavano rapporti di parentela con il Cardinale Mazarino, primo Ministro di Luigi XIII e di fatto reggitore dello Stato durante la minore età del successore al trono, Ligi XIV.
Va anche detto che Francesca, rimasta vedova a 30 anni come si è detto, si era sempre occupata, oltre che dei suoi tre figli, Giulio nato nel 1577, Camilla nata nel 1579 e Ottavio nato nel 1582, anche della numerosa prole che Giulio, di 50 anni più in età di lei, aveva avuto dalle 2 mogli precedenti, 8 dalla prima e 1 dalla seconda.
Ma il prediletto era l’ultimo nato: Ottavio.
E proprio Ottavio era quel corpo, esanime e sanguinante, che i suoi uomini di corsa da Cospaia portavano a braccia, trafelati e ansimanti, su per le scale, attraverso il porticato, al suo cospetto. Poco dopo, sotto gli occhi della madre disperata, Ottavio morì.
Durante le feste infatti, come dettagliatamente raccontano le testimonianze, era scoppiata una lite fra due uomini per futili motivi causati da un banale diritto di precedenza per il ballo. Il passaggio ai fatti, dopo le parole, fu rapido e subito comparvero archibugi e coltelli come purtroppo da tempo circolavano troppo liberamente anche a Cospaia, e tre persone rimasero uccise: il servo Livio, poi colui che ferì a morte Ottavio e che finì in carcere per le ferite riportate per poi morire e il marchese Ottavio Bufalini che era intervenuto per “riappacificare e quietare”.
Francesca, che da sempre aveva trovato nella poesia sfogo e consolazione, angosciata, così si rivolge al figlio morto:
“Viscere del mio sen, figlio diletto
Figlio di duol, tu notte e dì mi stai
Fisso nel cor…………………….
Né spero, ahi lassa, riaverti mai,
Né pù conforto e refrigerio aspetto,
E freddo e muto, e con trafitti rai
Parmi veder entro il funereo letto”

Se fu tale delitto, come dicono gli atti del processo, accidentale, o provocato, come si potrebbe anche dedurre dalla situazione di estrema tensione che si era determinata alla morte del padre il conte Giulio tra i figli Giulio e Ottavio, quest’ultimo di carattere forte e irascibile, non è dato di sapere.
Francesca, in quel tragico momento, non può che rivolgersi con umiltà e sottomissione alla Morte perchè cessi di infierire su ciò che resta della sua famiglia.
“……………..
Deh moviti a pietà del mio dolore..
Depon la falce tua, tempra lo sdegno,
Sovvengati di tanti pargoletti
E della miserabil mia vecchiezza”.

POSTILLA

La spartizione di Cospaia avvenne secondo criteri squisitamente politici seguendo una linea diagonale per fare in modo che la Toscana e lo Stato Pontificio possedessero, almeno in parte, una porzione di territorio contrapposto: la Toscana una parte del torrente Riascolo e lo Stato Pontificio un lembo del rio della Gorgaccia.
La popolazione, nel 1826, contava 373 “anime”, riunite in 65 “fuochi”. Di questi 295 passarono allo Stato Pontificio, che prese la parte collinare, mentre solo 80, riunite in 10 “fuochi”, al Granducato di Toscana che si annetté la pianura sino al Tevere.
Nel territorio assegnato allo Stato Pontificio si ebbero grandi festeggiamenti, nella parte toscana fu solo emanato un editto.

Il nucleo abitativo della Ex Repubblica di Cospaia oggi conta un numero di 100 abitanti circa. Rispetto al passato non è più considerata una località distaccata rispetto al Capoluogo, ma demograficamente annessa a San Giustino.