Anno 2 - N. 6 / 2003
UN POETA LOMBARDO
GIOVANNI BERTACCHI
(1864-1942)
di Giulio Cesare Maggi
Ritratto del 1912 di Aldo Carpi (1886-1973)
È probabile che la gran parte dei milanesi che abitano in Via Giovanni Bertacchi ignori, al pari degli altri concittadini, chi fosse l’intestatario della strada.
Giovanni Bertacchi, nato nel 1864 a Chiavenna (Sondrio), fu per molti anni professore di Letteratura italiana all’Università di Padova: studioso e critico letterario, si occupò del primo romanticismo lombardo, nonché del pensiero critico e delle tragedie di Alessandro Manzoni, temi che costituiscono il titolo di alcuni suoi studi pubblicati tra il 1903 ed il 1920.
Bertacchi fu tuttavia conosciuto nel primo ventennio del Novecento, oltre che per i suoi meriti culturali, come poeta di influsso e d’ispirazione pascoliana. Comparvero di lui vari volumetti quali “Il canzoniere delle Alpi”, i “Poemetti lirici e liriche umane”, “Alle sorgenti” ed “A fior di silenzio…”.
Con la modestia che gli era abituale Bertacchi definì la sua poesia “questo lento rigagnolo di canti”: si tratta in realtà di una vena poetica delicata e tuttavia ricca di emotività sincera, con spunti umanitari che gli consentivano di non essere distaccato dagli accadimenti dell’epoca sua, dai quali anzi trasse frequentemente ispirazione.
Un vago socialismo deamicisiano lo fa essere vicino alla gioventù in armi durante la guerra italo-turca (1911-12), che portò all’occupazione della Libia. Certo tutt’altri toni da quelli dannunziani della “Canzone d’oltremare” o del “Teneo te, Africa”: dice infatti il Vate “Il Paradiso è all’ombra delle spade”.
Non manca a Bertacchi invece la speranza che il conflitto “sia per uscirne’ tempi una più vasta, una più pura umanità”. Ed il poeta invoca l’affetto della “Musa Italia”, ma nel contempo, rivolgendosi ai nostri soldati li chiama “o esiliati sull’opposta riva del nostro mare”.
Un canto che al poeta ricorda “la nostalgia lombarda alla Crociata”: e così auspica “tregue d’amore e di fede nella guerra lontana”, quella appunto della Quarta Sponda, come allora si diceva.
Alla Croce Rossa Italiana e alle sue Dame è dedicata la poesia che titola “Vessillo bianco sul mare”: era la bandiera della nave ospedale che da Tripoli trasportava a Napoli i feriti della guerra. Uno fra questi era mio padre, ferito nella battaglia di Ettangi e decorato sul campo con medaglia d’argento al V.M. Sia la bianca nave patria e casa dei reduci feriti, e quale “farmaco blando mitighi lo strazio, delle mutile membra, e sian leniti i chiusi affanni da un andar soave”, dice ancora il poeta con una vena di lieve malinconia. Ma i feriti non son soli: “Ecco vigili dame in atti proni, passano per le tacite corsie”. Per i nostri feriti vi è “nobiltà vera d’una man di giglio, tocca dal nimbo d’una stessa luce, con la fronte plebea nata al sudore!”. E si chiede il poeta “Qual parola eterna, l’afflitta umanità dice a se stessa, nel raccostar la sua diversa prole?”.
Pietà cristiana e fraternità sociale si uniscono in questi semplici versi, ancor oggi attuali, quali espressione di sentimenti particolarmente buoni, ma non di un anonimo buonismo di maniera.
“Ricorderanno poi…”: non sarà sempre un ricordo felice, ma quale guerra, sembra dire il poeta, ne può lasciare? “Ora sia l’oblio!” delle sofferenze.
Due anni dopo sarebbe stato Sarajevo!
Nel frontespizio di “A fior di silenzio...” (1912) trovo questi pochi versi, credo fin qui inediti, di pugno e con firma di Giovanni Bertacchi
“Che il flutto eterno dell’Adria,
in su le tiepide arene,
baci l’Italia se viene,
baci l’Italia se va”.
Giovanni Bertacchi morì a Milano nel 1942: la città gli ha dedicato una via.
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