Anno 2 - N. 6 / 2003
LA MURRINA E L’OGGETTO
Dalla capacità e dall’inventiva dei maestri vetrai opere che sprigionano
un fascino inimitabile e donano una grande carica emotiva
Storia dell’arte vetraria una delle più antiche tecniche di lavorazione del vetro
di Alessandro Learda
La tecnica per la realizzazione di vetro di murrino,con disegno interno a forma di stella.
Quando si parla di “murrine”, la mente corre subito a quelle straordinarie realizzazioni in vetro murrino che i grandi maestri muranesi, in particolare appartenenti alle famiglie Moretti e Franchini, realizzarono nel periodo tra la seconda metà dell’ ‘800 e la prima metà del ‘900. Ma la murrina, in verità, ha una storia molto, molto lunga e, con alterne vicende, compare e scompare dalla scena della produzione vetraria.
Infatti le prime murrine che compaiono sul mercato vetrario risalgono addirittura al IV secolo a.C. . Siamo in Egitto, in Alessandria, una città ricca di fermenti e di cultura, sotto il dominio di quella grande stirpe dei Tolomei che sarà presente fino alla Roma dei Cesari. In questo contesto, in questo momento particolarmente fertile di cerniera tra la cultura Alessandrina e quella Romana, nascono quelle straordinarie ciotole di cui, citandole come vasa murrhina, parlerà anche Plinio il Vecchio nel XXXVII libro della Naturalis Historia.
A questo punto, anche perché, a volte, riscontriamo una grande confusione nei termini, ci sembra necessario chiarire bene che cosa è, in sintesi, una murrina.
La murrina non è altro che una sezione di canna di vetro che sia stata tirata a caldo e che presenti al suo interno un disegno ottenuto per successive fasi di lavorazione con il vetro portato a fusione.
La forma più semplice di murrina è quello che presenta una serie di cerchi concentrici che nascono da successive sovrapposizioni di strati di vetro attorno a un primo bolo. Il maestro, in questo caso, “leva” con una canna cieca una certa quantità di vetro che, fatto rotolare sul bronzino fino ad assumere una forma cilindrica oblunga, servirà come supporto a tutta la lavorazione. Ricoprendo il primo bolo con un secondo strato di vetro di colore diverso e continuando successivamente a sagomare il bolo, il maestro costruirà un bolo di notevoli dimensioni che, scaldato e rammollito, sarà agganciato da un secondo operatore con una canna cieca detta “conzaura”. Il bolo sarà allungato e, di conseguenza, si assottiglierà fino a diventare una canna di vetro che, tagliata a fette, presenterà sezioni a cerchi concentrici. Inutile dire che le varianti di colori e di accostamenti sono pressoché infinite.
Un’altra tipologia di murrine, più complessa, più ardita, ma anche più fertile di possibilità, è quella delle murrine realizzate in mosaico di canne monocromatiche e, addirittura, in mosaico di murrine.
Abbiamo, in questo caso, esempi straordinari nelle murrine veneziane, ma non dobbiamo dimenticare che già nel 1° secolo a.C. la cultura alessandrina aveva prodotto incredibili mosaici-miniatura come le “mezze teste” che, accostate, potevano generare un ritratto.
Le murrine, abbiamo visto, sono piccoli oggetti già straordinari di per sé e, a volte, anche molto preziosi. Ogni murrina, infatti, anche la più semplice, ha un fascino inimitabile e racchiude in sé, in una dimensione pur così ridotta, una grande carica emotiva. Ma la capacità e l’inventiva dei maestri vetrai e dei designers di tutte le epoche hanno saputo trasformare la murrina considerandola solo come fase intermedia e realizzare con essa, seguendo tecniche diverse, anche molti, piccoli, magnifici oggetti.
La murrina diventa, quindi, parte integrante nel lavoro progettuale e, spesso, riesce a compenetrarsi splendidamente con le composizioni in vetro. Ci basterà ricordare, in tempi abbastanza recenti, le magnifiche formelle in vetro murrino a mosaico del pittore Teodoro Wolf-Ferrari e di Vittorio Zecchin o i soffiati a murrine dello stesso Zecchin, di Ercole Barovier o di Carlo Scarpa.
Una tecnica molto usata nel realizzare vasi con un decoro a murrine è quello che consiste nel preparare, a freddo e su una piastra metallica, un mosaico più o meno circolare composto da tante sezioni in vetro murrino disposte a formare il disegno voluto, nello scaldarle fino quasi al rammollimento e nel prelevarle con un bolo soffiato, caldissimo. Se il bolo sarà calato verticalmente sul mosaico di murrine, queste rimarranno attaccate al fondo.
Dopo aver lavorato con il “magiózzo” (una specie di grosso mestolo in legno con cui si sagoma il bolo caldo) per incorporare bene le murrine, il bolo così trasformato potrà essere soffiato, attaccato in puntello e aperto e sagomato a “mano volante” oppure soffiato direttamente in uno stampo e rifinito, poi, a mano.
Facciamo, improvvisamente, un grande passo indietro e ripercorriamo a ritroso la storia dell’arte vetraria. Ritroviamo, così, tecniche che hanno superato trasversalmente i secoli e, addirittura, i millenni subendo poche, quasi insignificanti, varianti.
Dalle ciotole alessandrine e romane, infatti, nasce una tecnica ancora oggi usatissima per realizzare piattini, ciotole, posacenere, piccoli contenitori o altro.
La tecnica usata ancora oggi consiste, infatti, nel preparare un mosaico piatto e nel sagomarlo a caldo.
L’unica variante di tipo produttivo consiste, fondamentalmente, nel sagomare l’oggetto con un forma in negativo piuttosto che in positivo, ma, per tutto il resto, non ci sono varianti significative.
Un caso particolare è quello di ciotole o piattini realizzati tutti con le murrine a fiore. Nascono, così, i ”millefiori” che, eseguiti ancora oggi in tutte le varianti possibili, hanno origini veneziane, nate sull’onda dei vasi e delle ciotole romane.
La tecnica del “millefiori” è presente a Murano già dal XV secolo e consiste nel coprire interamente la superficie del bolo da soffiare con murrine a “rosetta”, a “stella” o a “fiore”.
La tecnica di realizzazione del “millefiori” prevede un preciso calcolo di dimensione del “tappeto” in funzione del diametro e della lunghezza del bolo.
Con una tecnica molto vicina a quella con cui si fanno i piattini e le ciotole si possono realizzare anche quei monili, pendenti, orecchini che sono tanto apprezzati dal pubblico femminile.
La cosa più importante da fare, in questo caso, è di comporre il mosaico a freddo all’interno di una piccola paratía per evitare eccessive deformazioni del bordo durante la ricottura e il conseguente rammollimento delle teste di canna o dei frammenti di murrina che compongono il mosaico.
Il pezzo che ne esce è, ovviamente, grezzo e dovrà essere molato su entrambe le facce, lisciato e bombato, lucidato perfettamente e rifinito sul bordo in modo da assumere una forma perfettamente rotonda. Va da sé che, quando si parla di dimensioni così ridotte, la composizione dovrà essere eseguita con strumenti miniaturizzati, come le pinzette da filatelico.
Con la piastrina di vetro murrino così realizzata e finita si potranno eseguire lavori molto diversi come, ad esempio, pendagli da collana incastonati in anelli d’oro o dorati o, addirittura (ma questo richiede una particolare attenzione e una notevolissima perizia tecnica) anche quadranti o schermi per orologi.
Una delle applicazioni delle murrine, tuttavia, dove i risultati sono addirittura fantasmagorici, è quella legata ai presse-papiers.
I primi presse - papiers nascono a Murano nel 1840, ad opera del grande maestro vetraio Pietro Bigaglia. Questa tipologia di oggetti ha avuto, da subito, un enorme successo, tanto da espandersi con enorme rapidità tra i produttori europei, ma anche americani.
A lato, però, di esperienze inglesi, tedesche, boeme e francesi, che hanno battuto anche percorsi formali e tecnici completamente diversi giocando, a volte, anche su particolari tagli e sfaccettature, il classico presse-papiers rimane tecnicamente immutato, pur nella assoluta libertà compositiva del disegno.
La tecnica classica, infatti, che consiste nel prelevare con un bolo caldo un tappeto di murrine, nel sagomarlo con il “magiozzo” nel ricoprirlo con un ulteriore strato di vetro per “affogare” le murrine stesse, nel sagomare il tutto e, infine, a freddo, nello spianare la base, rimane ancora immutata.
Dalla murrina, quindi, intesa come oggetto di per sé finito e che può godere di vita autonoma, siamo giunti agli oggetti realizzati con le murrine sapendo, però, con assoluta precisione, che il vetro, come sempre, aspetta nuovi apporti e nuove idee, nel rispetto totale della sua personalità e dei suoi valori.
* Con la collaborazione di
Antica Murrina - Venezia
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