Anno 2 - N. 6 / 2003
GLI INDIANI D’AMERICA:
cittadini riluttanti, guerrieri scalpitanti
Traduzione e adattamento di Anita Favilla
di Mark Davenport (Madison, Wisconsin)
Red Cloud (Nuvola Rossa) Capo Oglala Sioux (1822-1909) - Fotografia di Charles M. Bell - Washington D.C. 1880
La Costituzione degli Stati Uniti prevede (nell’Art.1, sezione), clausola 3, del 17 settembre 1787) che i rappresentanti e le imposte dirette siano ripartiti fra i diversi Stati che facciano parte, dell’Unione secondo il numero degli abitanti “esclusi gli indiani non soggetti alle imposte”.
Da ciò una serie (importante) di conseguenze. Da allora sino a oggi.
È chiaro che i padri fondatori non hanno mai voluto includere gli Indiani nel loro “corpo politico”, sebbene venissero censiti se non a patto che avessero abbandonato le tradizioni della vita tribale.
Persino gli schiavi africani potevano essere parzialmente contati per ampliare il numero dei rappresentanti assegnati agli stati del sud scarsamente colonizzati.
Tuttavia la maggior parte degli Indiani non manifestava una precisa volontà di voler far parte di questa nuova entità politica. Il loro “corpo sociale” era la tribù e nel terreno “dell’uomo bianco” si sentivano a disagio.
Erano soddisfatti quando potevano barattare pellicce in cambio di manufatti, di concedere diritti sui minerali e sul legname per un compenso e, in alcune occasioni, anche vendere le loro terre e le loro acque, anche per sempre.
L’essere esclusi dal corpo politico principale continuò sino al 1924, quando arrivò il riconoscimento del diritto di cittadinanza. I diritti di cittadinanza erano stati concessi a seguito di un emendamento della Costituzione apportato dopo la guerra civile, senza porre più le precedenti distinzioni di razza, colore, che implicavano di fatto la schiavitù.
Ma a differenza degli schiavi liberati, pochi Indiani si avvalsero della possibilità di accedere a un nuovo stato giuridico. Procediamo e arriviamo a tempi più recenti. Mentre a scuola si apprendeva che agli Indiani era stata concessa la cittadinanza per il loro coraggioso
contributo alla Prima Guerra Mondiale, gli Indiani stessi, in guerra, vivevano questa possibilità come un ulteriore indebolimento della loro struttura tribale e, comunque, come un qualcosa piovuto dall’alto. “Nessuno ce lo ha chiesto!”, gridavano. Non si riusciva a capire bene. C’era un po’ di confusione.
Infatti nell’esentare gli Indiani non soggetti a tasse - finché il loro commercio era strettamente interno o tra tribù o condotto esclusivamente con agenzie governative indiane - si incoraggiavano ancor più i vincoli tribali ed anche ben note pratiche di evasione fiscale, di baratto o transazioni solo in contanti. Questi “usi e costumi” sono tuttora praticati e creano costantemente un clima di reciproco sospetto tra Indiani stessi e tutori dell’ordine.
Fino al 1870 o giù di lì gli accordi tra le tribù (oltre 500) e il governo federale erano stipulati sotto forma di “trattati”, come tra stati sovrani. Poiché questi richiedevano l’approvazione del Senato americano e il procedimento era un po’ complicato, si pensò di sostituirlo con un accordo così detto “compatto”. Questo, sebbene più efficiente, venne ritenuto dagli Indiani lesivo della loro sovranità, come un attacco. Un accordo infatti non ha lo stesso valore legale di un trattato. Questo è legge fondamentale del territorio ed ha la precedenza persino sulle norme costituzionali. Così molte tribù indiane proteggono gelosamente i loro diritti sui trattati e la difesa di questi diritti può causare anche oggi spiacevoli situazioni. E anche scontri violenti. Le tribù indiane, ad esempio, non pagano tasse sul tabacco, quindi possono venderlo, nei loro negozi a prezzi più bassi di quelli praticati nei negozi non indiani. Nel luglio 2003, l’ultima estate, gli Indiani Naraggansett, nel piccolo stato di Rhode Island, sono venuti alle mani con la polizia proprio per la legalità di una nuova tabaccheria. Il capo indiano coinvolto ha passato un periodo (non lungo) in carcere.
La mancanza di chiarezza prosegue e la soluzione di questi problemi non sembra vicina.
Nel Wisconsin settentrionale c’è la zona di “Lac de Flambeau”, così chiamata dagli esploratori francesi che videro gli Indiani Objibway pescare di notte con fiocine e torce. Alla fine gli Objibway vennero costretti in una riserva pur continuando a conservare diritti di caccia e pesca sulle terre che avevano venduto al governo federale. Le loro terre ancestrali.
La pesca è divenuta col tempo una importante risorsa favorendo il commercio e il turismo e i passatempi dei bianchi della zona. Ciò fu motivo di forti tensioni e anche scontri negli anni ‘80.
Per molti anni polizia federale e sceriffi della contea hanno dovuto di fatto proteggere gli Indiani dai bianchi ostili che li incolpavano di impoverire la fauna ittica dei laghi della zona. Si rese necessario l’intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti che dette ragione agli Objibway (con cinque voti a quattro! n.d.t.).
Spesso poi i non-indiani vedono gli Indiani come coloro che percepiscono in modo non corretto due stipendi, che sono tribali quando vogliono esserlo e non-tribali quando gli conviene.
Alcuni trattati sono diventati poi obsoleti col passare del tempo ma, se non sono rinegoziati, continuano a essere legge. A volte vengono eliminati dai semplici tribunali e ciò appare come una prevaricazione nei confronti del potere legislativo.
Ognuna della circa 500 tribù, ora con 2.800.000 membri, ha una propria storia, caratterizzata, come tutte le storie, da alti e bassi. E questa storia non si può dire finita con l’arrivo degli europei. “Fecero storia” quando combatterono con gli Inglesi o con i Francesi per il controllo del redditizio commercio delle pellicce, nel 1600 e nel 1700; quando combatterono con gli Americani contro i Britannici; quando ogni tribù fu coinvolta nell’inarrestabile movimento verso l’ovest.
E ogni tribù è saldamente ancorata alla propria storia e sovranità.
Le tribù sono inoltre così diverse per numero dei componenti: alcune sono composte da qualche dozzina di membri, altre da parecchie migliaia. Ed è interessante notare che ogni tribù può includere componenti che non vivono nelle riserve e che, tuttavia, mantengono una propria identità tribale.
Tutti i componenti infatti condividono i proventi derivanti da pagamenti, per vendite di legname o petrolio o altro, come pure per concessioni governative negoziate dalla tribù, sia che vivano al suo interno o no.
Per alcune tribù il “dividendo” è alquanto limitato, per altre esattamente il contrario. E il territorio può essere determinante a questo proposito infatti, specialmente oggi, la”panoramicità” di alcune zone rispetto ad altre può fare come si dice la differenza.
Una fonte di reddito oggi estremamente rilevante è quella derivante dal gioco d’azzardo per il fatto che, come attività tribale, sfugge al controllo del governo federale. E così, dopo varie negoziazioni con i governi dei singoli stati molte tribù sono state in grado di aprire dei casinò in prossimità delle aree metropolitane.
Nel Wisconsin ad esempio, la tribù degli Ho-Chunk (un tempo Winnebago) ha aperto tre casinò nelle vicinanze di Milwaukee, Madison (capitale dello stato) e Minneapolis, nel Minnesota. Ma attualmente la maggior parte del personale di queste case da gioco non è indiana perché i profitti sono ormai piuttosto alti, tali comunque da permettere ai proprietari indiani di non lavorare più in prima persona se non per mansioni diciamo di “dirigenza”.
Le dispute tra sovranità e diritti costituzionali spesso arriva poi nelle aule dei tribunali. Nel 1990 la Corte Suprema americana deliberò in favore di un bianco che chiedeva gli venisse riconosciuto il diritto di votare in un ufficio per l’elezione di amministratori hawaiani. Quei posti erano precedentemente riservati solo agli Hawaiani con i quali il governo federale mantiene rapporti simili a quelli che mantiene con gli Indiani. Il tribunale sentenziò a risicata maggioranza (nel processo Rice contro Gaytano) appellandosi al 14° e 15° emendamento della Costituzione (emendamenti posteriori alla guerra civile) e qui si ebbe una sentenza a sfavore della minoranza in questione.
Quasi tutti i portavoce delle “sovranità dipendenti” e di altri territori, inclusi Guam, i territori insulari del Pacifico, le Isole Vergini, Samoa Americana e persino Porto Rico, condannarono la sentenza come una minaccia a tutte le tribù, alle amministrazioni fiduciarie e ad altri gruppi a statuto speciale sotto la bandiera americana. La speciale condizione “protetta” di una tribù può andare contro i normali diritti che un indiano potrebbe esigere semplicemente in quanto cittadino americano.
Le tribù, in base all’”Atto Indiano Sull’Infanzia” del 1972, possono frapporsi affinchè un indiano non possa far adottare un proprio figlio da altri, al di fuori della tribù stessa per qualunque motivo. E ciò accadde a una donna Choctaw, proveniente da una riserva del Mississipi nel 1998 col pieno consenso anche del padre e nel rispetto di ogni aspetto legale.
L’atto indicato è naturalmente mirato ad impedire la decimazione delle tribù attraverso le adozioni, un processo che aveva avuto una forte accelerazione a seguito del movimento per i diritti civili e dal conseguente indebolimento dell’opposizione verso le famiglie interrazziali. Ma non tiene forse sufficientemente conto dei diritti dei singoli.
Questo caso in particolare contraddice l’idea che la vera sovranità sarebbe diventata insostenibile dal momento in cui gli Indiani avessero ottenuto il diritto di cittadinanza.
In barba a tutto ciò nascono ancora nuove riserve.
Al momento è irrisolta la proposta di creare una riserva per gli indiani Cayuga, nello stato di New York. Un gruppo di oppositori, i “Cittadini del Nord di N.Y. per l’uguaglianza”, elenca queste ragioni: 1)il pericolo di costituzione di una sorta di polizia tribale che risponda solo a un Consiglio Tribale; 2) aumento di spese per i servizi pubblici che non saranno pagati dalla tribù; 3)espropriazione dei proprietari di immobili nelle zone proposte; 4) pericoli di illeciti e di evasione fiscale. Per gli Indiani poi erano da prendere in considerazione, sempre secondo quel gruppo di pressione, la perdita dei diritti civili individuali garantiti dalla Costituzione, dalle leggi e dai provvedimenti dello Stato di New York perché, come si è già detto, la Costituzione della tribù ha precedenza sulla Costituzione Americana nella riserva. Il problema non è risolto.
Bisogna ricordare che la tribù ha anche responsabilità in merito ai programmi socio-sanitari e ciò crea difficoltà, a volte, a soddisfare esigenze terapeutiche riconosciute dal governo federale agli Indiani che ne facciano richiesta.
Anche l’Ufficio degli Affari Indiani al quale sono stati affidati miliardi di dollari per il welfare degli Indiani è nell’occhio del ciclone in quanto non riesce, da tempo, a far quadrare i conti. Sembra una grande partita a scacchi dove, purtroppo, le pedine sono le tribù.
Il punto di vista prevalente nella società americana è favorevole alla concessione di sempre più ampi diritti individuali e non potrebbe essere altrimenti. Ma la contraddizione sopra indicata renderà probabilmente necessario l’intervento di generazioni di avvocati. Tutte queste difficoltà non si sono manifestate per altro nell’esercito. Era anche un antica consuetudine indiana quella di combattere sotto molte bandiere anche prima di Colombo. (Di fare e disfare alleanze, come d’altra parte era accaduto per secoli anche tra i vari stati europei. n.d.t.).
Vigeva d’altro canto anche una profonda lealtà tribale, tranne per quei pochi che si erano integrati nella società dei bianchi. Fortissima comunque era la tradizione dell’”essere guerriero” e di evidenziare, in tal modo i meriti individuali, fatto molto prezioso in ogni missione militare.
Nella guerra del 1812 troviamo perciò gli Indiani contemporaneamente con gli Americani e con gli Inglesi, come pure nella Guerra Civile Americana, col Nord e col Sud. Spesso venivano usati come esploratori. Furono anche al servizio di Custer a Little Big Horn nel 1876 (dove il Gen. Custer con i suoi 256 cavalleggeri venne ucciso in battaglia dalle forze indiane guidate dal leggendario capo Sioux, Toro Seduto. n.d.t.) e la maggior parte di loro addirittura sopravvisse a quella famosa battaglia.
Si arruolarono nei “Rough Riders” di Teddy Roosvelt a Cuba nel 1898 e diedero la caccia a Pancho Villa nel Messico col generale Pershing.
Nella prima guerra mondiale quattro Indiani furono insigniti della Croce Di Guerra dalla Francia per alti meriti militari.
Con la cittadinanza concessa dall’Atto Snyder del 1924 gli Indiani poterono venir chiamati al servizio militare. Allo scoppio della seconda guerra mondiale gli Indiani si arruolarono volontari ben oltre il numero previsto: uno su otto entrò nelle forze armate. Questa alta percentuale si ripeterà nella guerra in Corea, nel Viet Nam, dove per inciso, più del 90% dei 42000 partecipanti furono volontari.
E ciò è visibile anche oggi. Infatti in Iraq la prima vittima americana in assoluto in combattimento è stata una soldatessa, soldato semplice di prima classe Lori Ann Pistewa, della tribù Hopi, della riserva Navajo in Arizona. Altri 48 Indiani Hopi sono tuttora in Iraq.
Nell’esercito gli Indiani hanno trovato una perfetta uguaglianza: le differenze tribali e razziali nell’esercito, soprattutto in guerra scompaiono.
Per molti Indiani questa esperienza è la prima che vivono al di fuori della “coperta protettiva” della tribù. Quando sono trattati come individui, come uomini pieni e ciò vale anche per i neri o per altre etnie e minoranze, le contraddizioni che nascono dall’essere considerati a volte individui e a volte indiani vengono annullate.
Così come accadde per i neri, dagli anni ‘50 in poi, quando vigeva ancora la legge “Separati ma uguali” (1890-1954). Ma questa è un’altra storia.
L’esperienza americana ha mostrato l’impossibilità, sinora, di trattare le persone sia come individui sia come membri di gruppi a statuto speciale in modo paritario ed equo. Se non verranno trovate delle soluzioni rimarranno tutte le condizioni per una contesa senza fine e una inevitabile ingiustizia nonostante o forse proprio a causa delle migliori intenzioni.
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