Anno 2 - N. 4 / 2003
L’ARTE DI TACERE
di Giulio Cesare Maggi
In un periodo nel quale siamo sommersi da una profluvie di parole, per la maggior parte inutili quando non dannose, si dovrebbe privilegiare una delle grandi e poco esercitate attitudini dell'uomo, quella di tacere.
Se è pur vero che la parola, insieme alla scrittura, costituì una delle fondamentali conquiste dell'uomo civile, è altrettanto vero che l'uso indiscriminato ed improprio della prima rischia di ricondurlo ad uno stato di barbarie di ritorno, oltre ad essere francamente intollerabile. Del resto si tratta di un problema non di oggi.
Non vogliamo qui montare in bigoncia e rifare la storia di tutti gli oppositori della verbigerazione indiscriminata: lontano da noi quest'idea che rischierebbe di farci ricadere, poveri untorelli, nello stesso errore a livello dello scritto in luogo del parlato.
Sappiamo, come medici, quanto sia difficile dire e fino a che punto, in tema di informazione al singolo malato: anche qui a fronte del dire sempre e tutto, conviene, a mio giudizio, esercitare l'arte della prudenza.
Non potrò mai dimenticare il caso di un collega francese, che, durante il mio soggiorno parigino a Lariboisière, avendo presentato un quadro leucemico, mi confidava il suo animo. In un periodo nel quale al più si poteva dare del cortisone e altra terapia non esisteva, era giocoforza esercitare, in mancanza di meglio, le consolazioni dell'amicizia e con queste accompagnare l'evoluzione impietosa del morbo.
Segretamente l'amico si recò a Stoccolma per consultare un luminare dell'Ematologia; non ne mancavano certo a Parigi, ma il collega, di notissima famiglia, voleva tenere tutto nascosto. Il verdetto a Stoccolma fu: "Signor collega, ne avrà per un paio di mesi". L'amico salì all'ultimo piano di uno dei padiglioni del Karolinska Sjukhuset e si lanciò nel vuoto. Certo la sua era una fine attesa, ma che necessità vi fu di un giudizio così crudo e diretto?
Da allora ho pensato che il medico deve farsi carico anche di saper tacere, almeno in parte ed in certe circostanze, alcune verità.
Il problema del saper tacere non è nuovo.
Nella seconda metà del Settecento Padre Lamy dell'Oratorio offriva in dono al cardinale Camus la sua opera "L'arte di parlare". Il Cardinale, nel ringraziarlo, aggiunse queste sagge parole "Questa è un'arte eccellente, ma chi ci insegnerà l'arte di tacere?".
Senza la pretesa di insegnare niente a nessuno, nel 1771 l'abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart pubblicò un aureo volumetto che riporta quanto di più godibile su "L'art de se taire", oggi disponibile in eccellente traduzione italiana di Chiara Bietoletti (Palermo, Sellerio, 1989, con più edizioni successive) e assai utile a chi voglia conoscere un altro affascinante capitolo della retorica.
In realtà il silenzio parla spesso da sé e diviene perciò una sorta di comunicazione, spesso più significativa e "parlante" dell'eloquio stesso. Ed ecco che viene a mente la proposizione di Jean d'Ormasson, del silenzio come tentazione. Ma non vogliamo inoltrarci su questo terreno che ci porterebbe lontano nel dominio (nel labirinto!) della retorica.
"Cela est bien dit, mais il faut cultiver notre jardin" diceva Candide.
La tradizione del silenzio da cristiana diviene ora laica, ed è di questo aspetto che qui si vuole riportare, quale invito alla lettura del piccolo quanto prezioso libro, qualcuno dei quattordici punti relativi a "i principi necessari per tacere" del capitolo primo.
1. È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio.
2. Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare.
4. Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza, ma parlare quando si dovrebbe tacere, è segno di leggerezza e scarsa discrezione.
5. In generale è sicuramente meno rischioso tacere che parlare.
8. Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo: in questi casi l'ultima cosa da temere è saper conservare il silenzio.
10. Il silenzio può talvolta far le veci della saggezza per il povero di spirito, e della sapienza per l'ignorante.
12. È proprio dell'uomo coraggioso parlare poco e compiere grandi imprese; è proprio dell'uomo di buon senso parlare poco e dire sempre cose ragionevoli.
14. Il silenzio è necessario in molte occasioni; la sincerità lo è sempre: si può qualche volta tacere un pensiero, mai lo si deve camuffare. Vi è un modo di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza apparire tristi e taciturni, di non rivelare certe verità senza mascherarle con la menzogna.
Quali utili ammonimenti in poche righe. Cuore e cervello vi hanno partecipato in modo equanime: un bell'insegnamento, a mio giudizio. Al pari dell'arte di parlare e forse di più, quella di tacere domanda però, a preferenza, un interlocutore intelligente.
Il libretto si legge in breve ora, e può giovare, meditato, a tutti noi. Massimamente potrebbe essere utile ai parolai di oggi e probabilmente di sempre, che usano la parola, questo bene prezioso dell'Uomo, assai spesso a sproposito, in un vaniloquio che potrebbe trovare il suo pharmacon nella effettiva applicazione dei sullodati quattordici punti.
|