Anno 2 - N. 4 / 2003


STORIA DELLA MEDICINA

PARACELSO: IL LUTERO DELLA MEDICINA

Ciarlatano o anticipatore geniale?

di Francesco Piscitello



Laboratorio alchimista, Heinrich Kunrth - Amburgo, Anfiteatro sella Sapienza Eterna: S.N. 1595


Teufelsbrücke - Ponte del diavolo - è una piccola località nel cantone svizzero di Schwytz, non lontana dalla famosa abbazia di Einsiedeln. Il 10 novembre 1493 vi nasce Philipp Theophrast Baumbast von Hohenheim: Aureolus Paracelsus, come vorrà successivamente chiamarsi, con riferimento sia all’oro alchemico che a Celso, il celebrato medico dell’antichità.
L’infanzia non è delle più felici. Orfano di madre fin dalla prima infanzia, viene forse evirato, ancora bambino, da un soldato predone(1). Che la vicenda sia reale o leggendaria è tuttora dubbio: certo è invece che il suo volto è privo di barba e che il cranio ha conformazione piuttosto femminile che maschile.
Personalità singolare e bizzarra sin dalla giovane età, viene avviato alla medicina pratica dal padre, a sua volta medico. Col padre è in Carinzia, regione mineraria, dove è impressionato dalle molte malattie dei minatori: studia allora i metalli, responsabili forse, pensa, delle sofferenze di quei lavoratori. Il passo verso l’alchimia è breve: a questa, all’occultismo ed alla magia viene iniziato dall’abate benedettino e priore di Wurzburg Johannes Tritheim - Tritemius - autore di un Tractatus chemicus nobilis.
A Ferrara, nel 1515, si laurea in medicina (sebbene alcuni lo neghino) con Nicolò Leoniceno, tra i primi che osarono sfidare l’autorità di Galeno (2) ed opporvisi: ed in questa scia si colloca anche Paracelso che, già docente all’Università di Basilea, scende in piazza con gli studenti a bruciare i testi di Avicenna e Galeno gridando che “questi libri non valgono le fibbie delle mie scarpe!”(3) .
A Basilea giunge nel 1527, dopo un lungo peregrinare: Vienna, dove studia con Joachim de Watt, amico di Zwingli, poi in Germania, Boemia, Lituania, Polonia, Olanda, Danimarca, Costantinopoli, Mosca. La cattedra gli viene affidata per raccomandazione del riformatore Ecolampadio, da lui curato e guarito e che gli fu amico: così come paziente ed amico gli fu Erasmo da Rotterdam. Ma non tarda ad abbandonare l’Università e la stessa città: qui come altrove le sue dottrine e la sua condotta - insegna in tedesco invece che in latino, frequenta la gente semplice e sfugge l’establishment locale, veste disordinatamente e spesso con abiti rattoppati - lo mettono in contrasto con la medicina ufficiale, ed il suo carattere ribelle non appiana certo i contrasti. È il febbraio 1528.
Nel 1528 è a Colmar. Tra il 1529 ed il 1530 è ad Esslingen e a Norimberga dove i “medici regolari” lo denunciano come ciarlatano ed impostore. A Praga incontra Cornelius Agrippa. È ancora a Monaco, a Regensburg. E poi Merano, Zurigo e in Ungheria.
A Salisburgo, protetto dal Principe Palatino Ernesto di Baviera, grande studioso di alchimia, potrebbe trovare finalmente un poco di quiete. Sei mesi dopo vi troverà invece la morte, il 24 settembre 1541, forse assassinato.
Ma la pace non arriverà ancora: sepolto nel cimitero di S. Sebastiano, dove è venerato come protettore dalle epidemie, le sue ossa vengono più volte dissepolte. E, nel 1945 (4) , finiscono in un secchio dell’immondizia per mano di un soldato americano.

La dottrina e il pensiero
Uomo pienamente rinascimentale, Teofrasto di Hohenheim rivolge la sua curiosità ed il suo sguardo ovunque: filosofia, ideologia sociale, pensiero religioso. La medicina è tuttavia l’oggetto principale del suo interesse e della sua azione.
Le lezioni di Nicolò Leoniceno all’Università di Ferrara risentono fortemente delle concezioni neoplatoniche di Pico della Mirandola e soprattutto di Marsilio Ficino (1433-1499): i fenomeni naturali del mondo sublunare ed il comportamento stesso dell’uomo sono espressione dell’influsso degli astri. La mente di Paracelso, che già con Tritemio si era rivolta all’alchimia, allo studio della Qabbalah, alla magia, è un terreno particolarmente fertile perché una concezione astrologica del mondo - e soprattutto della fisiologia e della patologia umana - vi possa allignare.
L’idea medioevale del funzionamento del corpo e del suo ammalarsi è solidamente ancorata alla teoria degli umori: sangue, flegma, bile gialla, bile nera. Il normale svolgersi delle funzioni organiche, da cui deriva lo stato di salute e di benessere, dipende dall’equilibrato interagire degli umori, mentre lo stato di malattia e la sofferenza che ne deriva sono effetto del rompersi di quell’equilibrio. La malattia nasce dunque dentro l’uomo stesso, in perfetto accordo con la concezione costituzionalistica di Galeno la cui influenza sul pensiero medico, all’epoca di Paracelso, è ancora vivissima.
Ma se nel corpo sano vige un equilibrio fra i diversi umori, se la malattia è espressione di una sua rottura, cosa mantiene, cosa altera l’equilibrio stesso?
Secondo la concezione della Qabbalah, il mondo superiore, invisibile, ha una corrispondenza con il mondo inferiore, visibile: ed il pensiero dei neoplatonici è che salute e malattia dipendano dalla congiunzione tra le forze occulte provenienti dalle stelle con le parallele qualità fisiche degli elementi del corpo (5). L’influenza degli astri mantiene dunque, o lo altera, l’equilibrio dell’organismo: concezione, questa, che ha per conseguenza immediata il rifiuto del costituzionalismo galenico. La malattia non nasce nell’uomo, ma fuori di lui, nel mondo superiore.
L’idea paracelsiana del mondo e dell’uomo - espressa in modo peraltro confuso nel Das Buch Paragranum e, soprattutto, nel Volumen Paramirum - è che l’essere umano sia formato dalle stesse sostanze di cui si compone il macrocosmo, che Paracelso chiama Uomo Esteriore, e sia sottoposto alle stesse leggi (6). L’atto creativo di Dio ha prodotto la materia (la cui composizione in quattro elementi - aria, acqua, terra e fuoco - non è messa in discussione) a partire dal Misterium Magnum, un’entità alla costituzione della quale concorrono zolfo, mercurio e sale, intesi non tanto come sostanze materiali ma come una trinità di principi nei quali si rispecchia la trinità divina. L’energia creativa originale permane, nella natura, sotto forma di archei, forze spirituali capaci, se così si può dire, di “organizzare” dinamicamente la materia bruta (7).
Ciascun organo del corpo possiede un proprio archeus che fa capo, assieme a quelli degli altri organi, ad un archeus superiore che li coordina secondo un’armonia che costituisce lo stato di salute e di benessere. La malattia insorge quando, a causa dell’influenza - negativa per il malato - delle forze astrali, macrocosmiche, dell’Uomo Esteriore di cui egli è rappresentazione, si altera l’azione equilibratrice dell’archeus superiore sugli archei dei singoli organi.
L’archeus, tuttavia, non agisce indipendentemente dall’uomo stesso: viene anzi influenzato dall’azione immaginativa che può favorirne od ostacolarne l’azione equilibratrice. A differenza delle dottrine astrologiche tradizionali, in cui salute e malattia sono espressione di forze astrali alle quali l’uomo è estraneo, nella concezione paracelsiana l’uomo, con il potere immaginativo della sua mente, può a sua volta interagire con quelle forze e concorrere ad imprimervi un orientamento. Salute e malattia sono l’effetto derivante tanto da energie cosmiche che da attività mentali.

Paracelso e la terapia
Nel corso del suo lungo peregrinare tra Europa ed oriente - anche al seguito di numerosi eserciti: quello olandese, l’armata danese di Cristiano II che aveva mosso guerra alla Svezia, l’esercito imperiale nella guerra tra Francesco I e Carlo V, fino alla battaglia di Pavia - Paracelso acquista una buona pratica chirurgica. Diviene particolarmente abile nel trattamento delle ferite che sostiene debbano subire meno manipolazioni possibili: nei tessuti è infatti presente un’energia, che egli chiama mumia, promotrice di guarigione, equivalente paracelsiano dell’ippocratica vis medicatrix naturae. A quest’energia occorre assicurare la possibilità di agire proteggendo le ferite stesse da possibili contaminazioni da parte dell’ambiente esterno.
Ma la medicina è sempre il terreno nel quale si muove il suo pensiero e gran parte della sua azione.
Nel secolo XVI la terapia medica - se si prescinde da pratiche di carattere fondamentalmente magico - era fondata sui prodotti galenici, ossia sui “semplici”, vegetali provvisti di un supposto o reale potere medicinale, variamente trattati e ridotti in forma di infuso, decotto, tisana, sciroppo, linimento, empiastro, unguento etc. Nel secolo successivo, il seicento, prenderà vigore la farmacia spagirica, ossia la farmacia chimica dalla cui evoluzione nasce la moderna farmacologia.
L’idea di una farmacoterapia dal carattere spagirico è un’altra delle intuizioni paracelsiane e la stessa parola spagiria (dal greco spân, “trarre” e agéirein, “raccogliere”) si deve al medico di Teufelsbrücke. La spagiria serve a separare l’impuro dal puro affinché quest’ultimo possa esercitare al meglio le sue potenzialità.
Che sostanze diverse, come quelle estratte dai semplici, possano avere un’azione curativa è cognizione antica e presiede, allora come oggi, alla fitoterapia. Ma l’opinione paracelsiana, sicuramente rivoluzionaria, è che le sostanze ad azione curativa, estratte dai semplici od elaborate nello studio dell’alchimista, non agiscano, come si credeva, in quanto ristabiliscono il giusto equilibrio degli umori, riducendone l’eccesso od aumentandoli se in difetto: esse inducono invece, con la loro presenza, modificazioni qualitative nella chimica alterata dell’organismo, riportandola alla sua normalità.
Nella sua ricerca di ritrovati straordinari come la pietra filosofale o la quinta essenza (l’essenza caratteristica di ogni sostanza oltre alle quattro già note di aria, acqua, terra e fuoco) l’alchimia - sia nel mondo arabo che in quello cristiano - andava elaborando tecniche diverse per la manipolazione della materia: distillazione, sublimazione etc., che pian piano avrebbero fatto evolvere l’alchimia in chimica.
Mediante l’impiego di questi mezzi Paracelso ricerca incessantemente l’alkaest, un “solvente universale” che può disciogliere tutte le sostanze, rendendole così disponibili a diversi impieghi tra cui quello terapeutico.
Il solvente universale, naturalmente, non fu mai trovato: ma l’impiego del metodo spagirico consentì di produrre altre sostanze di grande utilità, come il labdanum, provvisto di proprietà analgesiche, che il nostro estrae dall’oppio e che precede, anche nel nome, quel “laudano” che nel secolo successivo avrebbe reso celebre il nome di Sydenham. Assai numerose sono ancora le osservazioni paracelsiane nel campo della farmacoterapia: basterà citare, fra le molte, quella sull’acqua bianca.
Di questa sostanza, che si ottiene facendo agire l’acido solforico sull’alcool, Paracelso scrive che ...ha un sapore gradevole. I polli lo bevono volentieri e cadono allora in un sonno profondo da cui si risvegliano dopo un certo tempo senza aver subito alcun danno... Il suo impiego è raccomandato nel trattamento delle malattie dolorose (8).
A questo liquido volatile il tedesco Froben, nel 1734, darà il moderno nome di etere solforico. Nel 1856, al Massachusetts General Hospital di Boston un giovane medico, W. Morton, impiegherà per la prima volta (9) vapori di etere su di un paziente che il celebre chirurgo J. Warren doveva operare per un tumore. Per tutto l’intervento, il paziente non emise un lamento.
Il pensiero medico-filosofico e l’azione pratica, clinica, non furono le uniche preoccupazioni di Paracelso: egli era interessato anche alla virtus, al valore morale dello scienziato e del medico.
Questi, in quanto praticante dell’arte di assistere l’uomo nella sofferenza, deve essere “uomo buono e veridico”.
Ed in quanto ricercatori e uomini di scienza ...i medici spagirici non sono pigri come gli altri; essi non si abbigliano con sontuosi velluti, sete o broccati; non hanno le dita cariche di anelli, nè le mani coperte di guanti bianchi. Attendono con pazienza nel laboratorio. Indossano pantaloni di cuoio e grembiuli di cuoio per asciugarsi le mani.
Parlano poco e non vantano i loro medicamenti, sapendo bene che è dall’opera che si riconosce l’artefice#(10).

Il Lutero della medicina
L’opera riformatrice di Paracelso nei confronti delle concezioni mediche del suo tempo, facenti capo all’autorità galenica, fu assimilata a quella riformista di Lutero nei confronti della concezione religiosa cristiana, fondata sull’autorità di Roma: il medico di Einsiedeln fu infatti chiamato “il Lutero della Medicina”.
Ma oltre che riformista, Paracelso fu un grande anticipatore: non solo e non tanto di scoperte quanto di teorie.
Non è facile, nell’opera paracelsiana, separare con metodo “spagirico” il puro dall’impuro, ossia le intuizioni valide e significative da quel coacervo di idee magiche, esoteriche, spesso fantasiose nelle quali esse si mescolano, a volte inestricabilmente: tanto più che il linguaggio del Paramirum e del Paragranum, che ne raccolgono la quantità maggiore, è tutt’altro che piano e scorrevole.
Non si può tuttavia negare che, quando scrive che ...l’uomo è un composto chimico e le malattie sono causate da un’alterazione di questo composto: occorrono dunque medicamenti chimici per combattere le malattie (11)..., anticipi le concezioni iatrochimiche del secolo XVIII e persino la moderna farmacologia; e che quando propone di proteggere le ferite dalla contaminazione esterna per consentirne una più facile guarigione precorra, sia pure in modo confuso (il microscopio era di là da venire ed i batteri nemmeno immaginati), i principi dell’asepsi che solo secoli dopo sarebbero stati individuati da Semmelweiss.
E ancora: se si prescinde dalle forze astrali che sono ovviamente estranee alla nostra concezione scientifica, è legittimo intravedere nel sistema degli archei quello che noi conosciamo come apparato endocrino. Gli ormoni, che sappiamo essere i regolatori di diverse attività corporee, esercitano la stessa funzione che svolgono gli archei nel sistema paracelsiano. Nel quale viene persino ipotizzato un archeus superiore che tutti li regola e coordina: e cos’altro è, nella moderna fisiologia, l’ipofisi?
E non basta: l’ipotesi di un’influenza di eventi appartenenti alla sfera mentale, psichica, come quella immaginativa, sull’archeus e su tutte le funzioni corporee che esso regola attraverso gli archei inferiori, prefigura in qualche modo alcune delle moderne vedute sulla patologia psicosomatica: quelle dove altri eventi, anch’essi appartenenti alla sfera mentale come il disagio psichico, influenzano, attraverso il correlato vissuto emozionale, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con la catena di eventi della sindrome generale di adattamento di Selye. Ossia la fisiologia dello stress.
Trattato a lungo come ciarlatano (e forse lo è anche stato), combattuto dalla scienza ufficiale del suo tempo non tanto per il concetto fondante delle sue teorie - magico, astrologico, alchemico - quanto per il rifiuto dell’autorità degli antichi e di qualsiasi ipse dixit (“per dieci anni non ho letto che un libro, quello della natura” ebbe a scrivere), Paracelso è oggi oggetto di rivalutazione per non poche delle sue idee anticipatrici.
Lo osserva anche il Meier, uno studioso svizzero che ha dedicato un ponderoso saggio al suo famoso concittadino (12), che “da vivo tutti respinsero e da morto tutti reclamano”.

LA PRATICA MEDICA COME ATTIVITÀ INTELLETTUALE
Aulo Cornelio Celso (attivo nel I secolo d. C.) fu il primo grande autore latino di argomenti medici che trattò in un'opera, che non ci è pervenuta per intero, sulle Arti - ossia le scienze - in ventun libri, tra i quali molti dedicati alla medicina: in questi egli tratta della dieta, della terapia, della chirurgia.
Nella sua opera egli mostra notevole indipendenza di giudizio rispetto alle scuole mediche delle epoche precedenti ed una grande prudenza nell'atteggiamento terapeutico.
Proveniente, con ogni probabilità, dalla Gallia Narbonese era di famiglia agiata ed esercitò la medicina gratuitamente più come attività intellettuale che come professione: l'esercizio professionale - con il compenso che ne sarebbe conseguito - ne avrebbe infatti abbassato il livello sociale a quello di prestatore d'opera.Celso ebbe grande influenza sul pensiero medico medioevale e rinascimentale, di poco inferiore a quella di Ippocrate e Galeno.

GLI UMORI E L’UMORE
La teoria degli umori - sangue, flemma, bile gialla, bile nera - dominò il pensiero medico dall'antichità a tutto il medioevo. Gli umori presiedevano non soltanto alle funzioni corporee ma anche a quelle mentali, sulle quali agivano in funzione tanto della loro quantità che del loro equilibrio.
Della concezione umorale delle attività psichiche rimane ampia traccia anche nel linguaggio moderno. Carattere "sanguigno", carattere "flemmatico" si dice ancor oggi e la parola spleen, che tanto in inglese che in francese significa "tristezza", viene dal greco splên, milza: la milza, nella teoria umorale, è responsabile della malinconia - melancholia (dal greco mèlas, nero e cholè, bile) - perché produce, appunto, la bile nera.

UNO sTUDIOSO DELL’OCCULTO
Medico e giurista, Heinrich Cornelius Agrippa (Colonia, 1486 - Grenoble, 1535) godette gran fama soprattutto per gli studi sull'occulto, raccolti nelle due opere De occulta philosophia e De incertitudine scientiarum(*). Il pensiero e le ricerche di Agrippa, influenzate dal neoplatonismo italiano di Marsilio e Pico, furono volti alla ricerca di una seconda Rivelazione divina, di carattere esoterico, data in dono a Mosè. A questa si sarebbe potuti risalire attraverso il misticismo pitagorico e platonico, la tradizione egizia di Ermete Trismegisto, la Qabbalah ebraica.

(*) R. Palmer: voce "Agrippa" in DIZIONARIO BIOGRAFICO DI STORIA DELLA MEDICINA E DELLE SCIENZE NATURALI - Franco Maria Ricci (Milano), 1988

MEDICI PARACELSIANI IN ITALIA
Non stupisce che Paracelso abbia avuto numerosi ed agguerriti oppositori, fra i quali il Riolano. Ma ebbe anche non pochi seguaci: Ellinger, Schütz in Germania; Soerensen, archiatra del re di Danimarca; Tenot ed il Quercetanus (G. Du Chesne) in Francia; Gerard Dorn in Belgio.
In Italia fu fervente paracelsiano Tomaso "Zefiriele" Bovio. Laureatosi a Padova, convinto assertore dell'astrologia e intriso di spirito messianico - si riteneva protetto ed ispirato dall'arcangelo Zefiriele col cui nome si firmava - combattè aspramente i negatori di questa disciplina che fustigò in un saggio feroce, il Melampigo.
Un altro seguace italiano di Paracelso fu Leonardo Fioravanti, fiorentino. Figura singolare di medico ed alchimista, fu abile preparatore di rimedi come, ad esempio, l'unguento mercuriale di provata efficacia nelle lesioni cutanee della sifilide. Le sue opere furono tradotte in varie lingue e contribuirono alla diffusione della farmacologia "spagirica" nell'Inghilterra elisabettiana


Commento alle immagini: Autoritratto di Aulo Cornelio Celso
Il trattamento delle ferite secondo Paracelso, Weygand end Georg Raben (1562), Francoforte sul Meno
Ritratto di Heinrich Cornelius Agrippa
La Trinità come simbolo alchemico (in basso nello scudo) al centro, il corpo umano dignificato dalla Sapienza a sinistra e dell’Anima a destra; agli angoli, i simboli dei quattro evangelisti: L’Aquila (Giovanni), il Leone (Marco), il Toro (Luca), L’Angelo (Matteo)
Ritratto di Paracelo, P.P. Rubens, Bruxelles, Musées Royux des Beaux-Art
Ritratto di Leonardo Fioravanti
L’alchimista (1661), Adrian Jansz van Ostade, Londra, National Gallery