Anno 10 - N. 30/ 2011


OGGI come IERI

IL CIBO I SIMBOLI

Cibarsi di alimenti nutrirsi di simboli Tutto nasce da una reverenza religiosa verso il cibo ottenuto con l’ingegno e la fatica del lavoro dell’uomo e grazie al benevole influsso divino.

di Ambra Morelli



Cerere, il trionfo dell’estate (1715)

Antoine Watteau (Valenciennes, 1684 - Nogent-sur-Marne, 1721)

Washington, National Gallery

L’acqua deve essere abbondante, bollente e salata: occorre disporre di questi elementi se si vuole mangiare un’ottima pasta… all’italiana.
La pasta non la mangiamo solo noi, ma di questo alimento, noi italiani, sappiamo ben parlarne: non solo siamo i primi produttori al mondo con 3200 tonnellate annue, ne siamo anche i primi consumatori con 26 chili pro capite annuali e con l’esperienza di 130 formati attualmente classificati, ne conosciamo molto bene i trucchi, i condimenti, gli accostamenti da preferire e quelli assolutamente da evitare.
Non possiamo fare a meno della pasta e, anche se ultimamente un po’ la snobbiamo accusandola di farci ingrassare, rimane il primo desiderio se pensiamo a qualcosa che ci rimetta in pace col mondo e con noi stessi: “Maccaroni? Questa è roba da carrettieri” è la famosa sprezzante battuta di Alberto Sordi mentre guarda con finta noncuranza un piatto di spaghetti in una scena del film “Un americano a Roma”, ma alla fine, non resistendo alla tentazione, completa: “Maccarone, m’hai provocato e io te distruggo adesso, io me te magno”.
Sì, non c’è dubbio la pasta è per noi una questione culturale, e siamo anche conosciuti per questo aspetto, infatti lo stereotipo degli italiani mangiatori di maccheroni è tra i più diffusi al mondo: Macaroni erano per gli americani degli inizi del ‘900 gli emigranti italiani, per i francesi Macaronì, in pratica eravamo conosciuti quali mangiatori di pasta, distinti da un alimento che non manca mai sulla nostra tavola, a maggior ragione lontano da casa. La “pasta, sapore di casa” è una percezione acuta e prontamente sfruttata dalla pubblicità, così come è stato in un noto e recente slogan commerciale.
Ci chiamavano Macaroni e il tono era ovviamente dispregiativo e indicativo di gente misera, ma in tempi remoti sarebbe stato considerato diversamente: nella Sicilia del XVI secolo lo stesso appellativo avrebbe avuto sicuramente un significato opposto se si pensa che la pasta era reputata un alimento prezioso visto che il suo costo era tre volte superiore a quello del pane.
Considerata a quei tempi quale “delicatessen” soprattutto se riferita alla pasta fresca, un lusso poterla mangiare ben imburrata, formaggiata e spolverizzata di zucchero e spezie dolci come la cannella, non era quindi il piatto forte delle genti, la pasta non aveva ancora quel ruolo principale che attualmente le riconosciamo.

Per come concepiamo oggi la pasta, le origini arabe sembrano più certe, perlomeno per la pasta secca. Si attribuisce infatti agli arabi l’invenzione della tecnica che permette di conservare a lungo il prodotto essiccandolo. Dai paesi arabi è entrata l’usanza della pasta secca - itrija – anche nella Penisola, dapprima in Sicilia per poi diffondersi, via via verso settentrione, fino a tutto il nord Europa, mentre la consuetudine della romanità (ma anche in Cina era così) si rifà più tradizionalmente alla produzione di pasta fresca: impasto di acqua e farina, tagliata a losanghe oppure a fili.
Innanzitutto cotta nel forno per poi, più tardi, coè nel medioevo, la pasta veniva cotta in acqua, brodo di carne o latte di mandorle, era “semplice” per i giorni di digiuno o “ripiena” nelle occasioni di festa.
La si bolliva in acqua o nel brodo e per un tempo sufficientemente lungo tale da farla apparire, al gusto attuale, decisamente scotta visto che, come indica Maestro Martino, il più importante cuoco del XV secolo, “… tali maccheroni vogliono bollire per spatio di doi hore…”, e la si serviva come contorno ad un piatto di carne.
Tale usanza, così come quella di condire la pasta con sughi dolci, è derivante dal gusto del seicento italiano ed importata poi nei paesi del nord Europa dove ancora in parte si mantiene.
È giusto annotare, per amor di precisione, che un tempo quando si diceva “pasta” si pensava a qualcosa di diverso rispetto a quello che oggi noi intendiamo, si indicava infatti un variegato genere di piatti: dolci, salati, ripieni, lessati, fritti… addirittura, in alcuni ricettari quattrocenteschi, si definivano “pasta” le polpette di carne o la verdura fritta.
La capacità di conservazione della pasta secca, anche di due, tre anni favorì la diffusione e il crescente successo presso una popolazione che si nutriva di pane, minestre e zuppe, carne e verdure.
Nel Seicento, l’invenzione del torchio meccanico contribuisce ad aumentare la produzione a prezzi contenuti e quindi alla sua diffusione. Si ottiene cioè un prodotto buono e che riempie la pancia in modo economico, l’aggiunta poi di formaggio, abituale condimento fino al XIX secolo, garantiva anche l’apporto proteico.
Prodotta da sfoglia spianata col mattarello oppure a forme diverse confezionate con le dita, i formati e le dimensioni si contano in una miriade di tipi con nomi diversi per ogni regione o località. La pasta diventa un cibo di strada, la si compra nei chioschi lungo le strade dove, in pentoloni di brodo vegetale, viene cotta e servita tal quale o con formaggio, pepe e basilico e viene offerta ai viandanti che la mangiano al bancone.
Così come noi la ri-conosciamo, l’abitudine della pasta al pomodoro è molto recente e cioè degli inizi dell’Ottocento quando a Napoli si diffuse l’abitudine di consumare i maccheroni “asciutti” sostituendo il condimento di burro e parmigiano con pomodoro: un’ideona, accostamento gustativo di successo planetario. La lunga evoluzione gustativa e di produzione della pasta, e dei sughi partner della pasta, ci ha portato fino ai giorni nostri in un continuum di apprezzamento di questo alimento che riveste un importante significato nutrizionale.
La pasta ha anche sviluppato molti interessi di sfera mondiale tali da formulare nel 2010 la “2010 Healthy Pasta Meals” una Consensus scientifica sul suo valore in cui studiosi di tutto il mondo hanno dichiarato che la pasta “… è una componente chiave di molti modelli alimentari tradizionali che conferiscono maggiori benefici per la salute rispetto ad modelli occidentali”.
E l’interesse verso questo elemento è grande e tale da rinnovare annualmente l’organizzazione del “World Pasta Day” la cui ultima edizione si è svolta lo scorso ottobre a Roma occasione in cui si è sottolineato il valore antropologico e sociale di un cibo che ha conquistato le tavole del mondo. Alla luce di tutto ciò, e andando un po’ controcorrente rispetto al pensiero che vuole che la pasta sia una delle cause del sovrappeso, a quando una “dieta della pasta” che ci consenta di mangiare bene, mantenere la gamma gustativa a cui siamo abituati, che ci appaghi culturalmente e che, non da ultimo, contribuisca a mantenerci in buona salute?
IMMAGINI
Panettiere
(1568)
Jost Amman

Il Trionfio di Galatea
(1511-12)

Raffaello Sanzio
(Urbino, 1483 – Roma, 1520)
Roma, Farnesina


Pesce e pane eucaristico
(part. pittura su parete, inizio III secolo)
Roma, Catacombe di San Callisto, cripta di Lucina

Il ritorno al paese nativo
Giovanni Segantini (Arco 1858 - Engadina 1899)

Berlino, Staatliche Museen Nationalgalerie