Anno 1 - N. 3 / 2002


I CANALI

Sintesi tra natura ed artificio

di Daniele Garnerone



Diga del Panperduto Edficio di presa del Villoresi, 1884. Impianto tecnico che diventa monumento nella concezione architettonica e paesaggistica. Somma Lombarda, Varese


L’interesse specifico affermatosi attorno ai canali ha origini lontanissime ed una solida base nella intrinseca [loro] natura di artificio. Uso all’uopo quello che appare un ossimoro e che mi consente di sottolineare l’ambi-(gua) valenza della via d’acqua artificiale determinatasi attraverso l’aggregazione complessa di macchine idrauliche, manufatti edilizi, scavi e reinterri che delimitano il percorso e definiscono uno specifico paesaggio che induce, nello scorrere dell’acqua sino alla meta, profonde trasformazioni ed influenze nel territorio.
In tempi lontani le comunicazioni terrestri erano condizionate da tempi lunghi, ostacoli derivati dalla morfologia del territorio, rischi di ogni tipo. Le vie d’acqua rappresentavano una alternativa “naturale”, una concreta opportunità per superare distanze amplissime pur in presenza di difficoltà e fatiche. Ciò vale ancora oggi in ogni parte del mondo, con modalità ed impatti certo diversi ma unificati, sia dove le vie d’acqua costituiscono percorsi esclusivi ed unici, sia dove rappresentano opportune alternative ai trasporti terrestri. Popoli da secoli a contatto con bacini fluviali si sono dati una organizzazione sociale ed economica strettamente legata e dipendente dall’acqua.
Meglio di ogni altra via di comunicazione, i canali hanno suscitato profonda impressione, una attenzione che spesso ha visto superare le finalità e gli obiettivi tecnici e prender forma di strumento per la progettazione dello spazio, individuando nelle opere idrauliche capisaldi per la definizione del paesaggio, perseguito anche con esplicite valenze monumentali.
In questo senso il canale diventa una componente essenziale nella definizione dei sistemi geografico-insediativi, modella il territorio, ne condiziona lo sviluppo socio-economico e segna in maniera del tutto riconoscibile lo spazio attraversato. Il canale è dunque un elemento che rappresenta in maniera pressoché esclusiva il rapporto tra paesaggio naturale e paesaggio artificiale.
Come molte opere dei secoli scorsi, il progetto dei canali tendeva ad assecondare la natura, esaltandola e, con il tracciamento dello scavo e l’organizzazione delle sponde, proponendosi addirittura di imitare la natura, di rappresentarla.
Nei progetti legati al Canale di Borgogna sono evidenti le ambizioni estetiche che si affiancano alle specifiche tecniche dei tracciati e delle opere di supporto, mirando ad un risultato complessivo connotato da forti valenze di monumentalità dello spazio e del paesaggio. Nel 1810 l’ingegnere J. Foucherot ridefinisce il progetto per il ponte-canale di Saint-Florentin, prevedendo in aggiunta all’opera idraulica anche case, alberature, strade e percorsi collegati con la vicina strada imperiale. Una operazione di ricomposizione totale dello spazio che va ben al di là del manufatto idraulico. E nel progetto per l’avamporto di La Roche, dove la Borgogna confluisce nella Yonne, l’idea assume connotati monumentali come mai si era immaginato prima per un canale: il progetto compendiava oltre ad un ampio bacino una gran quantità di alberi e di obelischi. Questi ultimi, poi, “[…] saranno visibili da molto lontano e i pioppi piantati accanto […] si eleveranno fino a una grande altezza, circostanza, questa, che sembra esigere che gli obelischi siano più alti ancora, per non essere confusi con essi …” (1).
Noi classifichiamo i canali quali corsi d’acqua artificiali per ciò che hanno in comune o debbono alla natura, quasi a volerli distinguere da questa. Ma sono manufatti artificiali, non artificiosi, e la loro è natura di manufatti, di prodotti dell’azione di trasformazione e costruzione del territorio anche per il modo con cui si confrontano con il paesaggio naturale, sia esso di colline o di pianura, di campi o di fiumi. Interessante a questo proposito è verificare come si costituiscano sistemi fortemente caratterizzati dall’acqua, in generale sempre per il tramite dell’opera dell’uomo, seppur in dipendenza delle forme originate dalle vicende geologiche e morfologiche della terra. Un esempio è quello che si coglie non lontano da noi, anzi assai vicino; penso alla Valle del Ticino, al fiume che scorre già con dimensioni di letto ragguardevoli poco oltre l’uscita dal Lago Maggiore, in particolare sotto lo sbarramento della Miorina, regolatore del livello del lago; nel territorio compreso tra Vizzola Ticino e Lonate Pozzolo, in alcuni tratti della strada d’argine che segue sinuosa assecondando il corso del Canale Industriale, ad un certo punto si apre un improvviso dislivello che, con una vista che definirei enfaticamente “mozzafiato” si colgono assieme il grande fiume, il Canale Industriale ed il Canale Villoresi, affiancati, vicini quasi a sfiorarsi e a mescolare le acque che invece scorrono già ben distinte e governate, il fiume lungo il confine col Piemonte e più giù nella Bassa, il Canale Industriale ad alimentare le centrali di Vizzola, Tornavento (dove pure ha l’incile il Naviglio Grande) e Turbigo, il Villoresi che dalla fine dell’Ottocento collega il Ticino all’Adda garantendo l’irrigazione di una ampia porzione dell’alta pianura milanese (2).
Il canale, una “continuazione” del fiume è protagonista del paesaggio in ogni momento, sia che attraversi la brughiera o la campagna coltivata, sia che entri e diventi tutt’uno con l’architettura di un centro urbano. Le acque distribuite rappresentano uno dei cardini su cui si è costruita la ricchezza e la prosperità della campagna, che rivela con i suoi quadri ambientali la forza e l’efficacia di un corretto intervento dell’uomo sulla natura, ma anche una componente essenziale nell’organicità dello spazio costruito e già fortemente caratterizzato dalle cortine edilizie unitarie, formatesi in sintonia con il corso d’acqua e da questo morfologicamente e funzionalmente arricchite.
Il canale dunque è parte di un complesso sistema ed ogni parte è essenziale. Tutto comincia con le opere di sbarramento sul fiume ed il canale, già prima di prender forma, è “monumento”: si veda, a titolo di esempio, per restare in ambito territoriale milanese, la Diga del Pamperduto, sul Ticino, un notevole edificio di presa con paratoie meccaniche lungo 67 metri, in forme molto plastiche ritmate da una lunga teoria di alte arcate a tutto tondo, più ampie in corrispondenza dei tratti leggermente aggettanti al centro ed ai lati. Un segno tangibile, forte, che ben esprime la volontà non solo tecnica di imbrigliare le acque, di sottrarre al fiume una sua parte, di condurlo altrove, verso campagne ed incontro a paesi, città.
Se il fiume dunque rallenta, si ingrossa e quasi sembra fermarsi, subito diparte il canale, improvviso, lineare dapprima, poi sinuoso in un obbligato repertorio di spazi artificiali mediati con il territorio, con la natura, in un tentativo di unificazione nel continuo negoziare il suo condurre le acque tra rilievi e declivi.
Un ostacolo improvviso, una serie di salti od una repentina discesa sono superati con un impianto di bacino orizzontale; il superamento di una soglia in quota è caratterizzato da una caduta d’acqua. Da qui essa scende al ritmo delle chiuse, molto spesso multiple, allineate a formare “scalinate”, monumentali espressioni di architettura idraulica.
Citerei qui il Naviglio di Pavia ed il complesso impianto idraulico progettato in prossimità della confluenza nel Ticino, a fronte di un rilevante dislivello, progetto che raggiunse una delle più alte espressioni della monumentalità dello spazio legato all’acqua e dall’acqua costituito, con un sistema integrato di cinque conche in marmo di Varenna, organizzate a gradoni in forma di lunga scalinata, costeggiando a nord-est le mura del centro storico.
Così le acque sono di nuovo raccolte, fermate e ricondotte verso sfioratori, diffusori, scolmatori preposti ad arginare ondate di piena. Le chiuse, garantendo il superamento di dislivelli ed anche il percorso a ritroso, ben rappresentano la mediazione tra il retaggio naturale del canale ed il suo essere opera artificiale, un “dialogo” continuo anche con la frequente presenza della “scala” di rimonta dei pesci.
Non vi è sistema di circolazione “più artificiale” di quello costituito dalla rete dei canali ma, al tempo stesso, forse, nessun’altra “architettura inventata” e plasmata dall’uomo ricerca la natura e rivela la sua matrice più di questa. Nella sua concezione architettonica e paesaggistica integrata alla tecnica, l’opera, come risultato formale, non si limita a coesistere armonicamente con la natura ma ad essa fa esplicito riferimento.
Lungo i canali, ai lati delle alzaie, al limitare delle campagne le piantumazioni realizzate rispondono a questa necessità; la volontà di abbellimento si manifesta in modo eclatante, senza compromessi. L’immagine del canale è rafforzata dunque dalle alberature a filare che delimitano le proprietà fondiarie, rafforzano gli argini ed esaltano con la propria sagoma il solco approfondito di acqua, al ritmo delle opere idrauliche, contribuendo alla definizione di un paesaggio specifico (3).