Anno 10 - N. 30/ 2011


LA GRANDE ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI MILANO DEL 1906

La Scienza, la Città e la Vita

L’Esposizione milanese ebbe come oggetto i Trasporti ma, con padiglioni dedicati all’arte e con le strutture effimere, come già era avvenuto con l’Esposizione di Torino del 1902, contribuì alla diffusione del Liberty in Italia.

di Maria Giuseppina Malfatti Angelantoni



Lavoratori al traforo del Sempione

Il traforo venne realizzato da quella “Italia Eroica” che come disse Dino Campana “dal badile dovette poi passare al fucile” riferendosi agli eventi che seguirono a questa grande impresa: la guerra 1915-1918


Nel 2015, dal 31 marzo al 23 novembre, Milano sarà sede dell’ Expo Internazionale che avrà come tema l’Alimentazione e come titolo “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”. Milano riuscì ad aggiudicarsi il ruolo di città dell’Esposizione nel marzo del 2008, dopo aver superato nella competizione la città turca di Smirne.
Questa Esposizione riprenderà idealmente il tema dell’Acqua della precedente Esposizione di Saragozza del 2008 e quello dell’Abitazione dell’Esposizione di Shangai del 2010. L’argomento dell’alimentazione per tutti i popoli della Terra, dominante fra le problematiche mondiali, verrà affrontato ed analizzato sotto ogni punto di vista alla luce delle ultime scoperte scientifiche e delle conquiste tecnologiche, nella salvaguardia dei fondamenti culturali e delle specificità creative di ciascun popolo. All’Expo 2015 parteciperanno 175 Paesi espositori con la previsione di 29/30 milioni di visitatori da ogni parte del mondo. Questa Esposizione sarà una grande occasione per aumentare la presenza di Milano sui mercati internazionali e per la diffusione della sua fama di grande città dinamica e ricca d’arte e di storia. L’Expo occuperà una vastissima area nella parte nord occidentale di Milano accanto a quella del polo espositivo fieristico di Pero-Rho, realizzata in anni recenti su progetto dell’architetto Fuksas. La gestione di questo evento straordinario è in mano alla Società per Azioni Expo 2015, della quale fanno parte le massime istituzioni cittadine e che, attraverso i concorsi in atto, sta coinvolgendo alcuni fra i più grandi architetti del momento italiani e stranieri. Il logo che contraddistingue l’Expo 2015 è stato, prima, quello adottato nella competizione con Smirne: il magnifico Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci ed ora la scritta multicolore “EXPO”, risultata vincitrice del concorso dedicato. Ma Milano fu già sede illustre di un’Esposizione Universale, avvenne nel 1906 per celebrare l’apertura del tunnel ferroviario del Sempione fra Italia e Svizzera; tale Esposizione, dal titolo emblematico: “La Scienza, la Città e la Vita”, ebbe come oggetto i Trasporti, ma fu anche l’occasione per la giovane nazione italiana di mostrare al mondo i grandi progressi fatti nei pochi decenni dalla sua unificazione
Dalla metà dell’800, come conseguenza della forte industrializzazione di alcuni Paesi, al fine di far conoscere i beni prodotti e svilupparne il commercio, si realizzarono Esposizioni Universali che dovevano illustrare gli avanzamenti e il progresso raggiunti in ogni campo, soprattutto in quello scientifico e tecnologico.
Le maggiori Esposizioni ebbero luogo nelle Nazioni più potenti e avanzate come Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Le Esposizioni che si realizzarono furono di vario livello e contenuto e, a seconda dell’importanza, furono chiamate Universali o Internazionali, anche se spesso queste due denominazioni furono, e sono, fra loro scambiate e confuse. Le Esposizioni Universali, in particolare, per essere tali dovevano seguire allora, come ora, particolari norme stabilite dal Bureau International des Expositions, o B.I.E. Tra le regole da seguire, tuttora fondamentali, è avere un tema generale, una frequenza non inferiore a 5 anni, strutture effimere costruite dai Paesi partecipanti e una durata massima di 6 mesi. La prima Esposizione Universale, e una delle più famose, fu realizzata a Londra nel 1851, di questa rimase come testimonianza straordinaria il Crystal Palace; altra Esposizione molto famosa fu quella di Parigi del 1889, per la quale venne costruita la Tour Eiffel, che avrebbe dovuto essere una struttura effimera. Per il 1942 era stata programmata l’Esposizione Universale di Roma ma, a causa della guerra in corso, non fu possibile portarne a termine la realizzazione; ne é rimasta memoria in una serie di imponenti ed eleganti costruzioni dall’aria “metafisica” che vediamo svettare nel quartiere EUR che è acronimo, spesso mal interpretato, di Esposizione Universale Roma 1942.
In Italia, già prima dell’Esposizione Universale di Milano del 1906, subito all’indomani dell’unità nazionale, erano state fatte alcune esposizioni che però erano state settoriali e a carattere quasi regionale, vi dominava la presentazione al pubblico di opere d’arte e prodotti di alto artigianato, poiché in Italia permaneva il concetto che il nostro primato fosse quasi esclusivamente nell’Arte. Un posto e una valutazione a sé merita l’Esposizione di Torino del 1902 che fu una bellissima manifestazione incentrata sull’arte applicata e decorativa italiana, ma di respiro internazionale, in continuità ideale con l’Esposizione Universale di Parigi avvenuta nel 1900. In questa occasione a Torino ci fu la celebrazione del “Modern Style” e del “Liberty” (come lo stile moderno veniva chiamato in Italia) e vi parteciparono artisti e artigiani di alto livello, dagli italiani Basile, Bistolfi, D’Aronco e Quarti, ai belgi Horta e Van De Velde, ai tedeschi Olbrich e Behrens, ai francesi Charpentier e Lalique, all’americano Tiffany, di persona a Torino con un gruppo numeroso di artisti americani. Quindi anche questa Esposizione era stata incentrata, sia pure a livello internazionale, sull’arte. L’Esposizione di Milano ebbe invece come scopo principale quello di mostrare al mondo lo sviluppo tecnologico raggiunto dall’Italia e dagli altri Paesi espositori, con particolare riferimento ai trasporti. Alla fine però divenne anch’essa evento ricco di stimoli artistici, e perché vi furono allestiti padiglioni espositivi con opere d’arte, e perché contribuì, con i molti apparati ed edifici stabili ed effimeri, alcuni dei quali successivamente alienati, ad aumentare la divulgazione in Italia dello stile e del gusto Liberty.
L’Esposizione Universale di Milano del 1906 era stata voluta, fin dal 1901, dalla Lega Navale Italiana e dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti che avevano pensato in un primo momento ad una esposizione sulle Vie d’Acqua. Essendo però stato portato a termine il traforo della galleria ferroviaria del Sempione, l’Esposizione allargò il suo orizzonte prendendo in considerazione tutti i trasporti e le varie attività produttive dell’uomo. Questa Esposizione Universale era stata auspicata e sostenuta fortemente anche dal sindaco di Milano Ettore Ponti e dagli esponenti più illuminati dell’imprenditoria lombarda, da Angelo Salmoiraghi, produttore di strumenti scientifici, a Cesare Mangili, industriale nel settore dei trasporti, ai grandi magnati Giovanni Battista Pirelli ed Ernesto Breda. L’iniziativa trovò anche l’appoggio del mondo culturale milanese rappresentato da insigni medici e cattedratici del tempo quali Luigi Mangiagalli e Giovanni Celoria.
Per l’Esposizione fu importante infine il contributo della Società Umanitaria, istituzione d’ispirazione massonica, dal grande impegno sociale, legata al Socialismo utopico presente nella città che si avviava a diventare centro di produzione industriale con una forte presenza operaia. In questa Esposizione si mirò alla divulgazione della scienza e della tecnica intese come aiuto all’uomo nello svolgimento del suo lavoro: le macchine inventate dalla genialità dell’uomo dovevano essere un mezzo per alleviare la sua fatica e condurlo alla sua emancipazione.
Milano, che dopo l’unità d’Italia si stava velocemente trasformando in una città industriale, aveva cominciato a conoscere i problemi della classe operaia per la quale stavano nascendo le prime organizzazioni sindacali e le istituzioni previdenziali ed assistenziali con misure ancora però insufficienti rispetto ai bisogni.
Al tempo dell’Esposizione Universale era ancora vivo in città il ricordo dello sciopero del 1898, soffocato dalle cannonate del generale Bava Beccaris, e del grande sciopero generale del 1904 che, iniziato a Milano e a Monza, si era poi esteso a tutta Italia. Milano era la città del Ballo Excelsior, del trionfo della Luce sulle Tenebre, e della imminente grande Esposizione Universale, ma aveva sullo sfondo classi sociali in sofferenza, quelle del proletariato e della modesta piccola borghesia verso le quali si stavano muovendo interventi umanitari e filantropici di associazioni e di forze politiche, a cominciare dalle iniziative del sindaco Ettore Ponti.
Questa Esposizione Universale, che verrà quasi sempre indicata come Esposizione Internazionale, oltre ad avere un grande valore dal punto di vista propagandistico ed economico, aveva per Milano anche un alto valore simbolico: arricchiva, con la ferrovia e il tunnel del Sempione, il grande progetto di Napoleone di cento anni prima: unire Parigi e Milano grazie alla Strada del Sempione. La Via Napoleonica, carrozzabile, iniziata nel 1801, partiva idealmente dall’Arco della Pace e da Corso Sempione continuando lungo l’attuale strada statale N.33, si inerpicava sulle Alpi presso Domodossola per scendere in Svizzera a Briga da dove continuava per la Valle del Rodano fino a Parigi. Tutta l’area intorno al Castello Sforzesco e all’Arco della Pace, da dove iniziava questa strada, che era indubbiamente d’interesse militare, ma anche commerciale per Milano e la Lombardia, fu per Napoleone oggetto di ripetuti interventi e progetti per la sua trasformazione in “foro” civico, il Foro Bonaparte, che però fu parzialmente realizzato al tempo della grande Esposizione.
L’Esposizione ebbe alti costi, 13 milioni di lire, versati dalle istituzioni e dalle grandi industrie lombarde ma anche, in buona parte, anticipati con una sottoscrizione pubblica dai milanesi ai quali vennero restituiti sollecitamente al termine della manifestazione. Molte spese furono invece sostenute direttamente con i ricavi delle attività commerciali che consistevano essenzialmente nei servizi di ristorazione, bar e ristoranti.
Immagine-logo di questa Esposizione fu il bel manifesto di Leopoldo Metlicovitz, edito dalla Giulio Ricordi: vi erano rappresentate due figure allegoriche dalla postura e dalla massa michelangiolesche che, sotto l’aspetto di una giovane donna e di Mercurio, rappresentavano l’Industria e il Commercio. In un audace scorcio controluce dominato dal rosso, esse si stagliano, sedute e vigili, appoggiate davanti sulla sfrecciante locomotiva, contro la luminosa apertura di un tunnel da cui si intravede in lontananza la città di Milano. Le due figure sono delineate dalla sinuosa e danzante linea Liberty che sarà la cifra dei molti manifesti e cartelloni che il pittore triestino eseguirà negli anni successivi per la nascente industria pubblicitaria e cinematografica.
Metlicovitz, in collaborazione col concittadino Marcello Dudovich, dette avvio in Italia all’arte del manifesto e del cartellone pubblicitario grazie ad una grafica elegante e nuova che traeva origine dalla scuola inglese di Morris e dalla pittura di Toulouse- Lautrec. Insieme, Metlicovitz e Dudovich, produssero opere raffinate, dalla grande bellezza formale, cariche di sensualità e atmosfere orientali, come suggeriva lo stile Liberty.
L’Esposizione Universale di Milano venne inaugurata il 28 aprile 1906 alla presenza di Sovrani e personaggi di alto lignaggio: il re del Belgio, il re di Romania, il Presidente della Confederazione Elvetica, la regina Margherita, molti ministri del Governo italiano e il sindaco, Ettore Ponti. Vi fu una settimana di festeggiamenti e tutta Milano, con orgoglio, contribuì a rendere particolarmente felice e vivace l’atmosfera intorno all’Esposizione Universale con spettacoli alla Scala, ricevimenti e balli nelle grandi case patrizie e nei nuovi palazzi della ricca imprenditoria cittadina, oltre che con tante manifestazioni popolari. Il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, accompagnato dalla regina Elena, inaugurò l’Esposizione, con una nuova cerimonia, il giorno 28 maggio. La città accolse con particolare entusiasmo l’illuminazione elettrica notturna dell’Esposizione assicurata dalla Società Edison, fu il trionfo dell’Elettricità. Questa Esposizione era per Milano e per l’Italia la prova che ormai il Paese unito era entrato a pieno titolo nel consesso delle grandi e progredite Nazioni europee. Un ruolo di primo piano fu svolto dai giornali, sia locali che nazionali, che illustrarono con molte foto e resoconti tutti gli eventi della grande manifestazione.
L’Esposizione copriva una vasta area posta in due zone separate alle spalle del Castello Sforzesco, collegate da una ferrovia elettrica sopraelevata, lunga 1350 metri, veloce, di estrema modernità, che faceva la spola fra la sezione del Parco Sempione e la sezione della Piazza d’Armi. Queste due sezioni erano due estesi terreni che insistevano rispettivamente sull’area dell’antico parco/bosco degli Sforza e della “Piazza d’Armi”, luogo delle esercitazioni militari dei soldati alloggiati nell’antico Castello, diventato caserma.
Nella sezione del Parco si trovava la parte più rappresentativa e mondana dell’Esposizione con l’ingresso d’onore - dall’aspetto di doppio tunnel ferroviario - e gli eleganti padiglioni Liberty che esponevano raccolte d’arte. Qui c’era l’Arena napoleonica, sulla quale era stato appoggiato un ingresso posticcio per mascherarne lo stile neo-classico, e l’Acquario, o Padiglione della Piscicoltura, dell’architetto Sebastiano Locati, l’edificio più bello di tutta l’Esposizione, destinato a restare. Questo elegante edificio Liberty, influenzato dallo stile della Sezession viennese, aveva le facciate decorate con ceramiche policrome della Richard Ginori e statue d’ispirazione marina. Presso l’Arco della Pace, anch’esso di età napoleonica, si trovava l’alta, elegante, stazione di partenza della sopraelevata, opera effimera in legno, dell’architetto Orsino Bongi. Nel padiglione dell’Arte Applicata erano esposti i raffinati mobili dell’ebanista Eugenio Quarti, già protagonista dell’Esposizione di Torino.
Nella sezione della Piazza d’Armi vi erano i padiglioni tematici, ben 225, strettamente legati alla produzione industriale: il più esteso e importante il padiglione e parco dei trasporti ferroviari, poi quelli dei trasporti marittimi, dell’automobilismo, del ciclismo e della nascente aviazione con il Parco Aerostatico (uno dei padiglioni più frequentati) dove erano esposti l’avveniristico “aerocicloplano” e il primo dirigibile italiano, l’aeronave Italia. Vi erano quindi i padiglioni degli Italiani all’Estero, della sericoltura, della città di Milano e delle Nazioni estere. Vi era anche la palazzina svizzera dell’Industria dell’Eternit e l’interessante padiglione della Metrologia, o scienza della Misurazione. Nel padiglione russo erano esposte le preziose porcellane delle fabbriche imperiali dello Zar Nicola II.
La Germania aveva portato per l’Esposizione i grossi cannoni Krupp che pochi anni dopo avrebbero tuonato su tante città europee.
Suscitò molta curiosità e interesse in questa sezione il quartiere arabo del Cairo lì ricostruito, con il Caffè, le danzatrici e un mansueto cammello accovacciato davanti all’ingresso. Il tema esotico, riflesso della esperienza europea nelle Colonie in Asia e in Africa, era particolarmente apprezzato da tutte le classi sociali del tempo ed era componente stessa dello stile Liberty. Ebbe grande successo anche il padiglione cinese che attirò soprattutto per la sua cucina.
Nella seconda sezione era stata costruita una piccola Tour Eiffel, la Torre Stigler, dotata di ascensore che portava i visitatori a quasi 40 metri dal suolo, accanto vi era la stazione d’arrivo della sopraelevata, originale struttura orientaleggiante degli ingegneri Bianchi, Magnani e Rondoni.
Sull’area di questa sezione, dietro la spinta dell’Esposizione Universale, nacque negli anni 1922- 1923 la Fiera Campionaria, la famosa Fiera di Milano che, nell’intento dei suoi ideatori sarebbe dovuta nascere negli anni ‘10 ma, a causa della prima Gurera Mondiale, venne realizzata molto più tardi.
Tutti gli edifici effimeri costruiti per l’Esposizione erano in stile Liberty, opera di ingegneri, architetti e artisti anche molto famosi come Ernesto Basile, Sebastiano Locati, Giuseppe Sommaruga, Gino Coppedé e Gaetano Moretti, venivano da tutta Italia, ma in maggioranza erano lombardi, provenienti dall’Accademia di Brera e dal Politecnico di Milano. Questi edifici ci appaiono con strutture e decorazioni forse un po’ troppo fantasiose e non molte raffinate, ma dovevano dare una chiara indicazione dei prodotti che contenevano o delle tematiche che esponevano, il loro scopo era quello di attrarre e stupire i visitatori più che di proporsi come modello, cosa che invece in qualche caso avverrà.
Molte furono le innovazioni che apparvero a Milano nel 1906: la ferrovia sopraelevata, il faro Salmoiraghi, la radio Marconi, un impianto per la produzione dell’ossigeno, l’Eternit (la cui pericolosità era allora sconosciuta), gli ascensori Stigler e tante altre.
Fra le novità ebbero molto successo, e furono molto frequentati, i ristoranti self-service, che arrivavano dagli Stati Uniti e dalla Germania, e i “bar automatici” .
Dall’Esposizione del 1906 nacquero anche istituzioni e lasciti dal forte contenuto sociale e umanitario: la Clinica del Lavoro, il Laboratorio di Idrobiologia dell’Acquario e il Museo Sociale all’Umanitaria. Fu posta anche la prima pietra della nuova Stazione Ferroviaria di Milano, che venne costruita però solo nel 1931 nello stile Liberty del progetto originario, ormai fuori tempo. In questa Esposizione, nella celebrazione del traforo del Sempione, fu presente e preminente l’attenzione verso i lavoratori, nella memoria delle vittime del lavoro e nell’auspicio che grazie al progresso e alla tecnologia non ve ne sarebbero state più.
Il 3 agosto un incendio furioso distrusse le gallerie di arte decorativa italiana e ungherese, la mostra del Duomo di Milano e quella dell’Architettura con la conseguente perdita di molte opere preziose.
Il Presidente dell’Esposizione, Cesare Mangili, fece subito ricostruire i padiglioni distrutti per cui il 15 settembre vi fu una nuova inaugurazione, presenti ancora i Sovrani d’Italia, questa volta in incognito, e il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, appena insediato nel suo terzo mandato.
L’Esposizione internazionale di Milano, alla quale parteciparono 31 Nazioni e 35.000 espositori, ebbe un successo enorme e si calcola che vi fossero stati 8 milioni di visitatori.
Alla chiusura dell’Esposizione Universale, nel novembre del 1906, tutti gli apparati e gli edifici effimeri costruiti dagli espositori vennero in parte distrutti - trattandosi per lo più di costruzioni in materiali non pregiati con strutture che potevano essere facilmente abbattute - e in parte alienati, venduti per essere riutilizzati in stazioni balneari, come avveniva anche all’estero. Rimasero a testimonianza dell’Esposizione Universale del 1906 solo l’Acquario Civico di Sebastiano Locati, la Torre Stigler (fino al 1924) e la stazione d’arrivo della ferrovia sopraelevata che fu acquistata dal proprietario del Bagno Nettuno di Viareggio per farne la galleria d’ingresso al suo famoso stabilimento balneare. L’installazione di questa monumentale struttura lignea, ingentilita da torri d’ispirazione sud-asiatica, contribuì a definire lo sviluppo e lo stile della Passeggiata di Viareggio rafforzandone la vocazione a divenire la “città del Liberty”.
Sfortunatamente nella notte fra il 17 e il 18 novembre 1917 (pochi giorni prima della tragedia di Caporetto), un furioso incendio distrusse tutti gli edifici della Passeggiata, che erano in legno, ed anche la bella costruzione del Bagno Nettuno fu ridotta in cenere.
è necessario a questo punto fare una breve introduzione allo stile Liberty, del quale abbiamo tuttora viva testimonianza anche perché, un po’ tutti noi, lo abbiamo conosciuto nelle case delle nostre nonne. Uno stile ingiustamente trascurato dagli studi e disprezzato fino a pochi anni fa, quando invece, oltre ad avere validità formale e bellezza, è la giusta espressione artistica di un determinato momento storico. Come ricorda la massima incisa sull’edificio della Sezession a Vienna (1898) “Der Zeit ihre Kunst, der Kunst ihre Freiheit” (Al Tempo la sua Arte, all’Arte la sua Libertà).
Il Liberty è lo stile che si diffuse in Italia fra il 1890 e il 1914, nel periodo che fu la nostra modesta “Belle Epoque”, più o meno corrispondente agli anni dei governi Giolitti. Era la declinazione italiana di uno stile internazionale nuovo, il Modern Style, o Modernismo, che fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 improntò ogni forma espressiva dalla pittura, all’architettura, alla grafica, agli oggetti d’uso più comuni. Il Modern Style era nato in Inghilterra e Scozia nella scia dell’Arts and Crafts di William Morris e della pittura dei Pre-Raffaelliti, ma si sviluppò soprattutto nell’Europa continentale. Il Modernismo, che si proponeva di rinnovare l’Arte rendendola più adatta ad ogni esigenza dell’ l’Uomo, liberandola dall’accademismo, dall’eclettismo e dallo storicismo allora imperante soprattutto in architettura – cosa che poi non avvenne - ebbe denominazioni diverse, oltre che Liberty in Italia: Modern Style in Inghilterra, Art Nouveau in Belgio e in Francia (dove si produssero le opere più belle) e Jugendstil e Sezession Stil nei Paesi di lingua tedesca. La sua diffusione fu estesa, coprì anche i Paesi mitteleuropei e slavi, la Turchia; si diffuse negli Stati nord americani, mentre fu meno significativa in Spagna con la straordinaria eccezione catalana, dovuta all’opera del grande e visionario architetto Antonio Gaudi.
Per “Modernismo” si intendeva un’Arte Nuova che con bellezza, eleganza, armonia e dinamismo voleva rappresentare una società nuova, emancipata e ricca e, per quello che riguardava l’Europa, gratificata da un periodo di pace, la “Belle Epoque”. L’Art Nouveau - questa è la denominazione più usata per indicare il Modernismo - era di ispirazione internazionalista e nasceva dal mito delle scoperte scientifiche, delle invenzioni tecnologiche e delle possibilità apparentemente illimitate della produzione industriale. Nasceva anche dal desiderio e dalla consapevolezza di poter creare un mondo nuovo, nel quale entrava, sotto forma di “esotismo”, la conoscenza di altre culture, di perfetta fusione fra valori etici ed estetici in cui il Bello poteva essere appannaggio di tutti, anche delle classi meno abbienti, grazie all’industria. Tutto ciò che veniva prodotto doveva essere armonioso per tutti sulla base ideale dei principi del Socialismo utopico, si ricercava la qualità e la dignità dell’oggetto d’uso, anche se, in realtà, l’Oggetto Bello, ciò che sembra preludere all’ “industrial design” dei decenni successivi, apparterrà solo ad una produzione artistica ed artigianale destinata ad un’élite. Dal punto di vista formale l’Art Nouveau era caratterizzata dal linearismo di andamenti curvi e avvolgenti che la facevano apparire più un’arte bidimensionale e decorativa che non l’espressione di un vero movimento artistico totalizzante. La linea sarà la protagonista dell’Art Nouveau, linea come forza, ispirata alla Natura, pur nel superamento del Naturalismo ottocentesco. A lungo anche dell’Art Nouveau è stato dato un giudizio negativo, soprattutto per l’architettura, e la si è abbinata al “rococò”, considerato anch’esso uno stile “debole”.
L’Art Nouveau parte in verità da fondamenti culturali profondi, dal Simbolismo e Decadentismo francese in pittura e letteratura e dalla filosofia spiritualistica, in antitesi con il positivismo e il materialismo tardo-ottocentesco, del filosofo Henri Bergson, che condensa nell’ “Elan Vital” (lo Slancio Vitale) il suo percorso concettuale: tensione e dinamismo estremo nel confronto con la realtà nel tentativo continuo di superamento di ogni limitazione di carattere materialistico. La poetica dell’Art Nouveau corrisponde a questo pensiero, è la linea, come forza e slancio, dinamica, avvolgente, scattante, curva, sempre ripiegata su di sé, che crea immagini fantastiche e arricchisce le superfici di edifici dalla struttura complessa e funzionale che si basa sugli equilibri di linee in tensione ascensionale che ricordano le strutture gotiche e barocche.
Dall’Art Nouveau nascono, e può sembrare un paradosso, tante correnti d’avanguardia: dall’Astrattismo, all’Espressionismo e al Razionalismo, gli artisti che ne furono protagonisti si chiamavano Gustav Klimt, Gustav Moreau, Victor Horta, Henry Van De Velde, Joseph Hoffman, Joseph Olbrich, Otto Wagner.
L’Art Nouveau, con la successiva Art Dèco, è lo stile nel quale si identificò la ricca borghesia imprenditoriale che fu committente in tutto il mondo di tanti edifici raffinati che ora siamo tornati ad apprezzare. Da noi lo stile moderno fu chiamato “Liberty”, con una vaga accezione negativa, la denominazione fu data in rapporto ad un negozio in Galleria a Milano che vendeva oggetti e prodotti, in particolare tessuti, dei magazzini Liberty di Londra, ispirati ai disegni di William Morris. Il termine però era infine piaciuto perché evocava la “libertà creativa”. Il Liberty apparve in Italia in ritardo rispetto ai movimenti modernisti europei e fu influenzato soprattutto dagli stilemi della Sezession viennese; mezzo di conoscenza e diffusione fu la rivista “Emporium” che, nel suo primo numero nel 1895, ne pubblicò il manifesto. Il Liberty fu chiamato anche “stile floreale” poiché si espresse attraverso la linea trasformata essenzialmente in elementi vegetali: fiori, foglie, steli, viluppi, bulbi. A partire dalle complesse strutture architettoniche, dalle facciate e dai balconi delle case, fino ai dipinti, ai tessuti, agli oggetti d’uso, tutta la produzione artistica ed artigianale in Italia nei primi anni del ‘900 – arrivando fino agli Anni ’20 - fu caratterizzata da forme, linee, colori e materiali con l’intento di perseguire il bello, il moderno, il raffinato, anche se spesso questo scopo non fu raggiunto. In Italia il Liberty fu adottato per le abitazioni private, signorili o meno, per i “villini”, ma soprattutto per gli edifici termali, i grandi alberghi nei luoghi di villeggiatura, gli edifici industriali e le cappelle cimiteriali, ovunque l’alta borghesia imprenditoriale potesse celebrare i suoi fasti e lasciare memoria di sé, identificandosi in questo stile. Il Liberty venne usato meno per edifici pubblici o sacri quali banche, municipi, chiese e ministeri per i quali si continuò a ricorrere allo stile eclettico. Il Liberty era contrario all’imitazione del passato, ma non alle citazioni di persistenze stilistiche soprattutto in Toscana, dove si trasformò in stile neo-Rinascimento. Lo stile Liberty si diffuse anche grazie alle Esposizioni Internazionali ed Universali, quella del 1902 a Torino e del 1906 a Milano. Le città italiane nelle quali fu maggiormente apprezzato furono Torino, Milano, Genova, Trieste, Napoli, non Roma. Milano, già a partire dai primissimi anni del ‘900, era stata abbellita da edifici notevoli per bellezza e raffinatezza, come il palazzo Castiglioni dell’architetto Sommaruga nel quale si attua, in modo elevato, quella unità progettuale che nell’architettura “moderna” prevedeva un rapporto stretto fra l’edificio e l’esterno, e i suoi arredi all’interno, come aveva insegnato da Bruxelles l’architetto Victor Horta. In Italia il Liberty non raggiunse i livelli di qualità, più dal punto di vista materiale che formale, di altri Paesi a causa della minore ricchezza, essendo la grande committenza costituita da una ristretta élite, e non certo per carenze culturali. I nomi dei nostri artisti del tempo lo testimoniano. Da noi i presupposti culturali sono da cercare nelle correnti letterarie di Pascoli e D’Annunzio e nelle ricerche formali del Simbolismo e del Divisionismo di Giovanni Segantini, Pellizza Da Volpedo e Gaetano Previati, dalla cui pittura prese avvio il Futurismo dell’allievo Umberto Boccioni e la pittura astratta. Molti furono gli artisti che operarono nell’ambito culturale e formale del Liberty, oltre ai pittori già citati, grande protagonista di questo stile fu Galileo Chini, fortemente influenzato dall’arte orientale che fece rivivere nelle decorazione di famosi stabilimenti e caffè alla moda, nelle scenografie di opere pucciniane e nelle sue manifatture di ceramica.
Tra gli scultori emersero Leonardo Bistolfi e Adolfo Wild, e fra gli architetti tutti quelli che erano stati protagonisti dell’Esposizione di Milano del 1906.
IMMAGINI
pag. 9
Manifesto dell’Esposizione Universale
Leopoldo Metlicovitz, Editore Giulio Ricordi

Il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena all’Esposizione Universale di Milano, il 28 maggio 1906

Medaglia commemorativa

Entrata Principale
Architetto Sebastiano Locati

Stazione d’arrivo della ferrovia sopraelevata in Piazza d’Armi

Acquario Civico e cartolina illustrata edita
Arch. Sebastiano Locati

Padiglione Aereonautico

Padiglione della Metrologia

L’arrivo del Toboga
Parco Sempione, Piazza d’Armi

Il Cairo a Milano

Veduta dall'alto