Anno 10 - N. 29/ 2011


Egli non aderì mai a nessuna corrente, fiero del proprio isolamento

EGON SCHIELE

La serena inquietudine di un visionario “L’arte non può essere moderna, è eterna” “Il pittore può anche guardare. Ma vedere è qualcosa di più” Egon Schiele

di Gabriella Colletti



Egon Schiele (Tulln, 1890- Vienna 1918)

Anton Josef Trcka (1893-1940)


Nel 1897, un gruppo di artisti guidati da Gustav Klimt si distacca dalle istituzioni ufficiali, vagheggiando il sogno di un’opera d’arte totale. Nasce la Secessione viennese. Forte è l’esigenza di portare la produzione artistica della città imperiale al passo con i tempi, di liberarla dalle catene del mercato e delle convenzioni accademiche. A Vienna si respira una ventata di libertà, novità e gioventù. Il momento d’oro della Secessione durerà un decennio, dal 1898 al 1908.
Nel teatro della storia è entrata la società di massa, il popolo dei consumatori. Gli artisti desideravano estetizzare la quotidianità, fondare uno stile di vita, eliminare la barriera tra arti minori e maggiori, restituendo dignità estetica ai prodotti d’uso. Opera d’arte è un vestito, un gioiello, un oggetto d’arredamento, in definitiva ciascun prodotto destinato al mercato dei consumatori.
Ma già a partire dal 1908 si insinuano nella Kunstschau segnali di angoscia, visioni da incubo che incrinano la filosofia di fondo della bella parvenza di cui si nutre la Secessione e, sul piano storico, presagi della fine della Belle epoque. Profeta della dissoluzione della forma bella è un giovane artista giunto da appena due anni a Vienna per studiare all’Accademia: Egon Schiele.
Egon Schiele nasce a Tulln sul Danubio (Bassa Austria), il 12 giugno 1890, in una famiglia della piccola borghesia; il padre era capostazione della cittadina.
È figlio dell’Espressionismo, ma se ne distacca, lo oltrepassa, trascendendo il proprio tempo come ogni genio. La sua modernità, lontana dallo Jugendstil ancora fin de siècle, rientra pienamente nel circuito delle avanguardie del XX secolo. Egli non aderì mai a nessuna corrente, fiero del proprio isolamento.
Le prime opere viennesi risentono dell’influsso di Klimt, ma a Schiele non importa l’elemento decorativo, bensì l’aspetto strutturale con cui costruisce la figura umana e i paesaggi. Quei paesaggi fiabeschi e malinconici, con le casette dal tetto a punta come il cappello delle fate e le finestre ridenti come occhi di bambini. Quei paesaggi freschi e limpidi inondati dal vento che reca con sé l’odore di bucato dei panni stesi ad asciugare. Luoghi dell’anima in cui ogni cosa viva è prossima alla morte. Alberelli sparuti, simbolo della malinconia e della stagione che preferiva: l’autunno, nel cui tripudio di colori sono già contenuti i germi dell’inverno. Fiori il cui stelo si aggroviglia come filo spinato nell’Autoritratto con alchechengi (1912), cui fa da pendant il Ritratto di Wally Neuzil (1912). Fiori dalla corolla rinsecchita si ergono su lunghi steli, metafora della fine cui è destinata ogni creatura vivente. In Natura morta (1914) - una tela che rappresenta lo scrittoio dell’artista nell’appartamento di Hietzinger Hauptstrasse a Vienna, dove abitò insieme a Wally fino al 1915 - dipinge una scala di libri e quaderni con al vertice due cavalli a dondolo, di cui quello a sinistra è una macchia rosso vivo che cattura lo sguardo dell’osservatore. Pure i paesaggi sembrano salire verso l’alto, le case costituiscono una sorta di scala che si perde nel cielo.
Sin da subito si distaccò dall’ornamento, tipico dello Jugendstil, dal linearismo fluttuante e spiraliforme tanto amato da Klimt. Scrive Karl Kraus: “Chi non ha temperamento deve avere ornamento” (in Detti e contraddetti). E Schiele era dotato di un grande temperamento. Di lui scrive il critico Arthur Roessler - intellettuale di spicco nel panorama culturale viennese del primo Novecento, suo sostenitore e biografo - a proposito dell’impressione che gli suscitò il primo incontro con il pittore avvenuto alla galleria Pisko nel 1909: “Fu l’impressione di avere davanti una personalità straordinaria da ogni punto di vista, d’una singolarità così pronunciata che la sua sola presenza poteva non risultare gradita a tutti, spesso, anzi, poteva non risultare gradita neanche a sé stessa.”
Lo affascinò la pittura di Toulouse-Lautrec per lo scandaglio della psiche femminile e l’uso della linea; dell’artista francese ammirò il talento di grande disegnatore. Lo colpì Van Gogh per la preponderanza dell’elemento interiore, la soggettività con cui l’olandese interpreta un campo di grano che sembra alzarsi in volo per effetto del vento insieme ai corvi che ne beccano le spighe d’oro. Lo influenzò Edward Munch, per le atmosfere visionarie e allucinate verso cui è orientato il simbolismo decadente fine Ottocento, per la prevalenza del binomio amore-morte.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, Karl Rosenkranz traccia un’estetica del brutto. Il tragico e il grottesco, quali aspetti dell’esistenza dapprima elusi dalle arti figurative, entrano a pieno diritto nell’arte, innanzitutto di Munch e poi dell’Espressionismo. Con il dramma Assassino, speranza delle donne (1908), Oskar Kokoschka si impone prepotentemente nel panorama culturale di Vienna. Egli dipinse l’ansia, la paura, il panico, dimostrando una propensione per l’immediato, l’improvvisazione, il pittoresco, che in Schiele è assente.
Fin dagli esordi Egon dipinge la figura umana. Essa è tutto: “Sono convinto che furono i più grandi fra i pittori a dipingere la figura umana”, scrive nei quaderni. Genio del disegno, scava nel profondo, facendone emergere quella zona in cui si annidano oscure pulsioni. I dipinti di Schiele -scrive Roessler - “sono manifestazioni perfette di sensazioni nervose orientate sensualmente, impressioni colme di sensibilità. ”E, a proposito del metodo di composizione: “Preso da una forte impressione trasmessagli dalla natura la espelle, per così dire, da sé, sotto forma di un’immagine artistica perfetta.”
Le macchie di colore come tarsie di ambra, lapislazzuli, smeraldi, rubini emergono dai ritratti e dai paesaggi di Klimt. Niente di tutto ciò in Schiele, che alle languide armonie preferisce la dissonanza. Una galleria di figure su cui infierisce con la linea, esibendo una sorta di ossessione per la crudeltà. Macchie di rosso a evocare il sangue, arti disarticolati, mani scheletriche, più lunghe e grandi del normale che, insieme al volto stravolto in una smorfia di disgusto o terrore, catalizzano tutta l’attenzione dell’osservatore. Si imprimono nella memoria suscitando un senso di fastidio.
Nel 1906, anno in cui viene pubblicato il romanzo di Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless, lascia la provincia e va a Vienna per studiare all’Accademia di Arti Figurative, ma ben presto si dimostra insofferente al rigido conservatorismo dei maestri. Inizia un’affannosa ricerca della propria identità, come testimoniano i numerosi ritratti ed autoritratti del periodo.
Nel 1907 incontra Gustav Klimt, che ne riconosce subito lo straordinario talento.
Il clima dell’Accademia si fa intollerabile per il giovane conscio della missione cui è chiamato a svolgere e del sostrato rivoluzionario presente in ogni arte. Con un atto polemico lascia l’Accademia e fonda la Neukunstgruppe con altri artisti. Gode della protezione di Klimt e di Roessler, conosce intellettuali e personaggi importanti che diverranno ben presto suoi committenti.
Nel giardino della casa-studio di Klimt avviene l’incontro con la diciassettenne Wally Neuzil, modella del maestro, che di lì a poco diverrà compagna e modella di Schiele. Quella bella ragazza dai capelli rossi e la pelle candida come un tulipano bianco lo seguirà nel continuo peregrinare da una località all’altra, in perenne ricerca di se stesso e al contempo in fuga. Dimostrerà di avere un cuore puro e sempre gli sarà di conforto nei momenti bui della vita.
Pur essendo ben inserito nel circuito artistico della capitale lascia la città per stabilirsi dapprima a Krumau, paese natale della madre, e in seguito a Neulengbach, un paese a trenta chilometri da Vienna.
Si sentiva tutti contro. “Occhi colmi di falsità, l’ipocrisia come un vapore vischioso cola dalle superfici, dagli abiti, dalla pelle, dai capelli dei borghesi” scrive nel quaderno di appunti. Gli artisti e i critici della città “nera”, così definisce Vienna, sono invidiosi.
Cercava un rapporto autentico con la natura, ma la gente del posto gli fu subito ostile. Era il maggio del 1912, quando sul giovane artista piombò l’infondata accusa di corruzione di minorenne, da cui venne in seguito assolto, ma che lasciò un’impronta indelebile nella sua anima. Una ragazzina del posto aveva cercato ospitalità presso la coppia. Passò una notte nel villino dell’artista.
L’indomani il padre della ragazza, chiamato dallo stesso Egon, venne a riprendersi la figlia. “La faccenda finì in tribunale. E allora, per la mia bontà, mi umiliarono nella maniera più infame.”
La stagione all’inferno durò 24 interminabili giorni.
Era fuggito da Vienna per cercare rifugio nella campagna insieme alla compagna Wally Neuzil. In un vasto paesaggio desolato conduceva i vagabondaggi del suo spirito, assaporando ogni cosa, la fragranza dei fiori, il contatto con la terra nuda, l’umido vento del bosco.
Forse, il motivo per cui scelse di abitare in provincia, è da ricercarsi in una lettera ad Anton Peschka, pittore suo amico e futuro cognato - sposerà la sorella Gerti, l’amata sorella, sua prima modella -. “Nei pressi di Neulengbach si domina la campagna più splendida che io conosca, quel che di case si vede dalla torre di Krumau, lì si vede di campi.” (E. Schiele, 29 agosto, 1911).
Tutti gli amici si defilarono, lasciandolo solo, in preda alla disperazione. Anche il maestro, Gustav Klimt, è assente. L’unico che si reca a fargli visita è il suo mecenate, Heinrich Benesch, ispettore centrale del Servizio Trasporti austriaco, fine collezionista d’arte, insieme al figlio Otto, che diverrà un celebre storico dell’arte. Benesch ama Egon come un figlio, crede nell’innocenza del pittore e lo sostiene moralmente durante la prigionia.
Nella cella c’è odore di cantina, scarafaggi e sporcizia. L’unica macchia di colore è un’arancia che gli ha portato Wally. Il piccolo sole risplende nelle tenebre. La tenera compagna gli fu molto vicina, dimostrando un comportamento esemplare. Al processo la sua arte venne definita “luridume” ed Egon rimase un pornografo per il fatto di aver esibito dei disegni erotici ai bambini di Neulengbach. Ma la sua pittura non era pornografia. Erich Heckel, caposcuola dell’Espressionismo tedesco, aveva prodotto quadri con nudi di bambini, ma nessuno l’aveva accusato di pornografia. Lo stesso Klimt e altri artisti si erano cimentati in questo genere. Dalla cella il prigioniero maledice gli ottusi paesani che disprezzano la sua arte e le autorità che hanno commesso un’atroce ingiustizia, l’Impero che lascia marcire gli artisti in carcere. Maledisse tutti coloro che non gli permisero di lavorare.
Al processo il giudice di provincia bruciò pubblicamente il prezioso disegno. Egon tacque. Dal volto trapelava l’orgoglio smisurato di un ventenne consapevole del proprio talento. La fiamma lambì il disegno che si accartocciò sparendo davanti agli occhi attoniti della platea. Egon provò il piacere avvelenato e torbido della distruzione. Lo stesso piacere provato il giorno in cui il padre aveva gettato il suo primo autoritratto nella stufa. Allora aveva dodici anni e la sua anima oscillava tra un’altissima considerazione di sé e la totale assenza di fiducia.
Nel Diario dal carcere, frutto della penna di Roessler, il pittore appare romanticamente come genio incompreso, artista maledetto e martire che paga ingiustamente per la propria onestà. Così scrive in una lettera a Leopold Czihaczek - zio e tutore di Egon alla morte del padre che sempre ostacolò le aspirazioni artistiche del nipote - “L’indignazione o la rabbia per le offese che bisogna inghiottire rappresentano un grande dolore per chi abbia un temperamento impetuoso, nervi delicati e profondità di sentimenti e di pensiero, un dolore che gli toglie il sonno, lo fa dimagrire, lo priva di tutti gli appetiti e infine lo precipita nella malinconia. La paura allenta le forze del corpo e dello spirito” (il 5/III/1909).
La traumatica vicenda di Neulengbach acuì quel suo sentirsi un santo; stato d’animo espresso con compiacimento autolesionista in molti autoritratti e nel manifesto per la personale alla Galerie Arnot (31 dicembre 1914 - 31 gennaio 1915) in cui si ritrae come San Sebastiano trafitto dalle frecce.
La coppia ritorna a Vienna e si stabilisce nel quartiere borghese di Hietzing. Grazie al doppio ritratto di Heinrich e Otto Benesch riceve seicento corone e nuovi facoltosi committenti gli commissionano opere. Sembrano terminati gli anni in cui viveva in ristrettezze e non possedeva nemmeno della carta per i pacchi su cui disegnare. In alcune lettere lamenta ancora l’indigenza, quel sentirsi accattone, per cui “ci si rode, ci si divora, ci si risputa… una nausea senza limiti.” Il dolore per gli stenti, la miseria, gli ostacoli, l’incomprensione del popolino e l’incomprensione di critici e artisti, la loro invidia, tutto questo confluisce nella pittura di Schiele.
A proposito del rapporto di Egon con il denaro valga un aneddoto.
In un caffè a Hietzing, mentre l’artista gioca a biliardo, Wally confessa a Benesch che non hanno nemmeno i soldi per mangiare. Il mecenate dona ai ragazzi una cospicua cifra, il giovanotto quella sera stessa porta la sua compagna al Burgtheater e dopo in un ristorante di lusso. Gli rimangono solo pochi spiccioli per tornare a casa in tram. Dirimpetto allo studio del pittore c’è la casa degli Harms. Due fanciulle con cappelli e nastri ai vestiti colorati lo fissano dalla finestra del salotto, lui le guarda. Nel 1914 conosce le sorelle Harms, Adele la maggiore, ed Edith, che ben presto cederà alla corte dell’artista. La storia con Wally è all’epilogo. La fedele compagna e impareggiabile modella uscirà di scena, vittima dell’ingratitudine di Egon, che sposerà Edith il 17 giugno 1915. Dopo cinque giorni parte per il fronte.
La Grande guerra travolgerà un mondo e i personaggi principali di questo dramma usciranno tutti di scena. Wally muore di scarlattina nel 1917 in Dalmazia, dove prestava servizio di crocerossina. A Vienna e in molte parti d’Europa imperversa un’epidemia di febbre spagnola. Edith, incinta di sei mesi, contrarrà la malattia e morirà nell’ottobre del 1918. Egon le sopravvive di tre giorni.
Sei mesi prima era toccata la stessa sorte a Gustav Klimt.