Anno 10 - N. 29/ 2011


il magnifico mausoleo imperiale di Diocleziano

SPALATO

La sua forma altamente simbolica all’origine dei battisteri cristiani

di M. Giuseppina Malfatti Angelantoni



Spalato, Palazzo di Diocleziano (Ricostruzione grafica)


Milano
“...Verrà distrutta con lantichissima Portiana chiesa un Romano edificio che fu de Idoli, poi dicato a Cristo, ultimo pegno e testimonio de gli edifici antichi di Milano...” ornato di “...lavori di marmi finissimi di diversi colori, tassillati a tavole di pietra segate con frisi varii”...mosaici e altre “...opre magnifice”.
Con queste accorate parole Bonaventura Castiglioni, il colto preposto della basilica di Sant’Ambrogio in Milano, denuncia lo scempio che al suo tempo si sta facendo con la distruzione dell’antichissimo edificio romano presso la basilica di San Vittore ad Corpus, chiamata basilica Porziana, anch’essa in via di demolizione. Siamo alla metà del ‘500, Bonaventura Castiglioni viene incaricato dalle autorità cittadine di illustrare la città agli alti prelati spagnoli di passaggio da Milano nel loro viaggio di ritorno in patria, dopo aver partecipato al Concilio di Trento.
Il Ducato di Milano era allora sotto la Corona di Spagna e la grande e ricca città lombarda era oggetto di profonde trasformazioni urbanistiche ed architettoniche volte ad esaltarne il rango. Purtroppo però in questa opera di riqualificazione ed abbellimento cittadino si procedeva anche alla distruzione di edifici antichi dei quali forse non tutti conoscevano la storia e il valore.
L’antico edificio romano, di cui dà testimonianza il Castiglioni in un piccolo codice dell’Ambrosiana - il manoscritto N.153 bis sup.-, era a pianta ottagonale, in mattoni, con copertura a cupola coperta da tetto a spicchi e galleria di archetti ciechi sotto la linea di gronda; in età alto medioevale era stato trasformato nella chiesa di San Gregorio, mantenendo all’interno tutta la ricchezza decorativa dei marmi e dei mosaici antichi.
Nel Landesmuseum di Stoccarda è conservato il disegno di un anonimo pittore tedesco del XVI secolo, molto dettagliato, che mostra il complesso monasteriale della precedente basilica di San Vittore, vista dalla parte absidale, con il campanile e le chiese di San Gregorio e di San Martino.
Dell’ottagono milanese parlano molti storici locali, da Andrea Alciati nel ‘500 a Serviliano Latuada nel ‘700, ma poi se ne perde memoria, verrà scavato e indagato tra il 1970 e il 1973, dopo che negli anni ’50, facilitati dalle distruzioni per i bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale, a Milano si erano iniziati scavi archeologici nella zona dell’ex monastero di San Vittore al Corpo, precisamente nei giardini dell’attuale Museo della Scienza e della Tecnica. Gli archeologi Aristide Calderini e Mario Mirabella Roberti metteranno in luce le costruzioni di un recinto, anch’esso ottagonale ma leggermente ellittico, all’interno del quale, in uno dei “fuochi”, si trovava l’edificio romano trasformato in chiesa del quale ora possiamo vedere il pavimento, con tracce di piastrelle e frammenti marmorei e vitrei, sotto il sagrato della basilica di San Vittore al Corpo.
L’ipotesi più seguita, anche se non da tutti gli studiosi accettata, è che questa costruzione di età tetrarchica - inizi del IV secolo - fosse il monumento funerario dell’imperatore Massimiano, collega di Diocleziano quale Augusto sul trono imperiale, un sacello posto all’interno di un recinto sacro cimiteriale. Massimiano aveva risieduto a Milano dal 285 fino all’abdicazione nel 305 e aveva trasformato la città in una vivace e ricca sede imperiale, abbellita da palazzi, terme, ippodromo e nuove mura, munite di molte torri. In una lettera del vescovo Ambrogio all’imperatore Teodosio, a proposito della sepoltura del giovane Valentiniano II in un famoso mausoleo che si trovava in Milano, potrebbe esserci la conferma che l’ottagono presso San Vittore poteva essere veramente la tomba di Massimiano, nominato da Ambrogio nella stessa lettera, l’Epistola LVIII.
A Milano c’è poi un edificio, tuttora in condizioni perfette, che sembra ispirato all’ottagono di San Vittore, è la cappella di Sant’Aquilino, erroneamente considerata da Bonaventura Castiglioni quale mausoleo di Massimiano. Questa cappella, unita in età antica alla basilica paleocristiana di San Lorenzo, è della fine del IV secolo ed ha la stessa struttura e decorazione della presunta tomba imperiale presso San Vittore, ricoperta anch’essa di marmi pregiati e mosaici, dei quali esistono tuttora brani iconografici notevoli. Si ipotizza che fosse il mausoleo della dinastia di Teodosio, in particolare della figlia Galla Placidia, come può far pensare l’antica denominazione di “Cappella della Regina”.
Alla forma ottagonale della tomba imperiale e della cappella di Sant’Aquilino, con la ricca decorazione interna marmorea e musiva, si ispira il vescovo Ambrogio per il suo battistero detto di San Giovanni alle Fonti, i cui resti significativi sono visibili, dagli anni ’60 del ‘900, sotto il sagrato del Duomo di Milano insieme ai resti della basilica cattedrale di Santa Tecla.
In questo battistero, nella notte di Pasqua dell’anno 387, Ambrogio battezzò Agostino e insieme, secondo la tradizione, composero, intonandolo, l’inno di ringraziamento, il “Te Deum”, in una cerimonia della quale ci arriva, attraverso il tempo, un’eco di profonda suggestione.
A questi due grandi Padri della Chiesa non poteva essere ignoto il significato della forma mutuata per il battistero, un edificio a otto lati, prototipo di tutti i battisteri dall’alto medioevo in poi, del quale Ambrogio dà la seguente spiegazione “... otto [lati] come i sette giorni della Creazione più la Resurrezione ...”, adombrando il significato antico, esoterico ed iniziatico del numero “8”, sotto le parole dell’insegnamento cristiano. In verità la tomba presa a modello, dalla forma perfetta e armoniosa, fusione di figure geometriche cariche di simbolismo e legata, attraverso quel numero, all’Infinito e al Cosmo, metteva in contatto la Terra con il Cielo, prefigurato dalla cupola nello splendore della decorazione interna, consentendo il passaggio dalla morte alla vita, così come il battistero nel quale, grazie all’acqua del Battesimo, il cristiano, morto per il peccato originale, tornava alla vita, alla Resurrezione.

SPALATO
Lontano da Milano, sulle sponde illiriche dell’Adriatico, un altro monumento era stato innalzato agli inizi del IV secolo, negli stessi anni, o poco prima, di quello presso San Vittore, era la tomba dell’imperatore Diocleziano che ancor oggi si ammira a Spalato, trasformata nella cattedrale di San Doimo. Qui, in un magnifico palazzo sul mare, presso la grande città romana di Salona, si era ritirato l’Imperatore dopo aver governato per venti anni la parte orientale dell’impero romano.
Diocleziano, ma il vero nome era Diocle, era nato in queste terre, forse nel 243, in una famiglia molto modesta di origine illirica, anch’egli come altri imperatori fra il III e V secolo (Decio, Massimiano, Galerio, Costanzo Cloro, Costantino e Giulio Nepote, l’ultimo imperatore, che “de iure” lo fu fino al 480), proveniva da questa parte orientale dell’impero che dava all’esercito romano uomini dalle grandi doti militari. Egli si distinse ben presto sui campi di battaglia e grazie alle riforme nell’esercito, realizzate dall’imperatore Gallieno, che permettevano anche ai soldati di umile estrazione di salire ai più alti gradi della gerarchia militare, dopo essere stato generale dell’esercito in Mesia (Serbia), potè raggiungere la prestigiosa carica di comandante della guardia a cavallo dell’imperatore Marco Aurelio Caro, diventando poi “console aggiunto” nel 282. Combatté in Gallia, in Mesia e in Persia dove nel 284, alla morte violenta dell’imperatore Numeriano seguita da gravi disordini, i generali e l’esercito lo acclamarono imperatore.
Egli assunse il nome di Gaio Aurelio Valerio Diocleziano.
Questo imperatore era riuscito, dopo il lungo periodo di cinquant’anni della cosiddetta “anarchia militare”, a ridare forza e dignità allo Stato e alle sue istituzioni “inventando” una forma di governo equilibrato, distribuito sulle terre dell’Impero: “La Tetrarchia” (o governo di quattro Principi), basata sulla divisione dell’Impero in due parti, l’Occidente e l’Oriente, rette da due Augusti, i veri imperatori con in mano tutti i poteri, ai quali si affiancavano due Cesari, cioè i loro successori designati.
Questi quattro imperatori che erano, per l’Oriente, l’augusto Diocleziano con il cesare Galerio, e per l’Occidente, Massimiano con il cesare Costanzo Cloro, risiedevano, per il maggiore controllo dell’immenso impero, rispettivamente a Nicomedia di Bitinia e Sirmio in Pannonia, Milano e Treviri. Roma rimase comunque sede del Senato. Il presupposto e la garanzia di questa spartizione del potere erano che dopo un certo periodo di tempo i due Augusti si sarebbero dovuti dimettere lasciando il trono ai due Cesari ai quali sarebbero succeduti altri due Cesari, pronti a sostituirli a rotazione.
C’è a Venezia, posta su un angolo della basilica di San Marco, una scultura in porfido di età tardo-antica in cui sono rappresentati quattro personaggi coronati, abbracciati a due a due, hanno le stesse vesti e le stesse armi, ma due pongono il braccio sulla spalla degli altri, dimostrando la superiorità della loro dignità regale. Questa scultura, che proviene da Costantinopoli, è chiamata “I Tetrarchi” e in essa si può leggere il rapporto fra i due Augusti e i due Cesari. Da una lettura critica storico-artistica si può rilevare che in questo blocco i personaggi, che indossano vesti romane ma portano armi che potremmo definire “barbariche”, sono trattati con maggior attenzione al messaggio ideologico che contengono che non alla ricerca formale di bellezza e verosimiglianza, divenendo quasi anticipo illustre della scultura alto-medievale.
La forma di governo fatta di equilibrio e alternanza della Tetrarchia non durò però a lungo, stravolta dalle forti personalità di Costantino, figlio di Costanzo Cloro, di Massenzio, figlio di Massimiano e di Licinio, già imperatore in Oriente. Nel 305, dopo venti anni di potere effettivo, Diocleziano e Massimiano si erano dimessi come stabilito, ma il meccanismo di rotazione fallì subito tanto che Massimiano tentò di riprendere il suo ruolo di Augusto, Diocleziano invece con molta saggezza non volle più tornare sul trono pur seguendo le vicende politiche e tentando di dirimere le controversie e gli scontri violenti della guerra civile che ne era seguita.
Diocleziano, imperatore dalla forte personalità e dalla volontà d’acciaio, come ce lo presenta un suo ritratto dalla testa cinta da spesso diadema nel Museo Archeologico di Istanbul, aveva riformato l’esercito che, per fronteggiare le invasioni barbariche, aveva dovuto essere potenziato con l’aumento degli effettivi, aveva anche realizzato una grande riforma amministrativa e fiscale in tutto l’impero per la quale era stata creata una potente burocrazia. Egli aveva istituito un calmiere dei prezzi col quale tentò di porre un freno all’inflazione e aveva cercato di incrementare gli scambi commerciali con l’aumento della circolazione monetaria, ma invano. Tutte le riforme coraggiose ed innovative di questo Imperatore non ebbero lunga applicazione e non riuscirono ad arrestare la decadenza dell’impero romano, colpito anche da eventi drammatici straordinari quali pestilenze e terremoti. Negli ultimi anni del suo governo avvennero purtroppo anche le più feroci persecuzioni contro i Cristiani promosse, oltre che da lui, dal suo Cesare in Oriente Galerio che poi, paradossalmente, precedendo Costantino, fu il primo a tollerare la nuova religione. In questo ultimo periodo uno degli eventi più gravi dal punto di vista politico fu l’esautorizzazione del Senato romano, seguito dalla trasformazione del principato romano in monarchia assoluta alla maniera orientale. Diocleziano, avendo avuto stretti contatti col mondo egiziano e persiano, assunse sempre più gli atteggiamenti dei monarchi orientali perseguendo una sorta di autodivinizzazione che lo portò a isolarsi e a restare nascosto agli occhi dei sudditi.
Questo comportamento, che imponeva intorno al Sovrano ascondimento e silenzio, si trasmise agli imperatori successivi, in particolare a Costantino e tramite lui passò nella cultura bizantina i cui i riti e liturgia, sia in campo civile che religioso, furono fortemente connotati dalla ieraticità e dal distacco dalla realtà come è ben evidente in tutte le espressioni artistiche. In questa ottica e in questa scelta di autodivinizzazione e allontanamento dal popolo deve essere letto anche il programma di costruzione del grandioso palazzo di Spalato.
Quando nel 305 Diocleziano si ritirò dalla vita pubblica, il suo palazzo sul mare, la cui costruzione poteva essere iniziata verso il 298, era quasi completamente terminato. Dal punto di vista stilistico ed architettonico traeva ispirazione da precedenti grandi edifici imperiali, in particolare dai palazzi del Palatino e dalle Terme di Caracalla a Roma, città in cui Diocleziano fece ricostruire la Curia Romana ed edificare le grandiose Terme. Di questa enorme struttura Michelangelo utilizzò mirabilmente il “Tepidarium” quale possente navata della sua chiesa di Santa Maria degli Angeli. L’architettura del periodo tetrarchico è in verità tutta connotata da salda e magniloquente monumentalità, innovativa dal punto di vista strutturale, ma conservatrice nei modelli e negli stilemi. Tutti i Tetrarchi fecero eseguire opere altrettanto importanti e significative, a Milano Massimiano lasciò grandi opere e forse fu anche il committente della magnifica Villa di Piazza Armerina, in Sicilia, dai ricchi mosaici. Anche i due Cesari lasciarono testimonianza della grande architettura tetrarchica, Galerio con il suo mausoleo e l’imponente arco a Salonicco e Costanzo Cloro con il grande complesso del palazzo imperiale a Treviri, portato a perfezione dal figlio Costantino.
Il palazzo di Diocleziano a Spalato venne costruito come una villa fortificata, sulla riva del mare, come le grandi ville della costa nord africana, o quelle nel cuore dell’Europa lungo i fiumi, ma traeva ispirazione soprattutto dal suo grandioso palazzo di Antiochia, sulle sponde ombrose del fiume Oronte del quale restano suggestive rovine.
Il palazzo spalatino, vera metafora della magnificenza e regalità di Diocleziano, aveva una pianta come quella degli accampamenti romani, tagliato perpendicolarmente da due strade: il “cardo maius”, con direzione Nord-Sud, e il “decumanus maximus”, con direzione Est-Ovest, i due tracciati sulla Terra del percorso ideale in Cielo dalla Stella Polare agli Antipodi e del Sole dall’alba al tramonto.
La parte sud, dal lungo porticato alto sul mare - che sembra citato nel mosaico del palazzo ravennate di Teodorico - era destinata agli appartamenti imperiali, alla zona sacra e al mausoleo di Diocleziano, la parte nord era occupata invece dagli uffici della cancelleria, dagli alloggi dei funzionari e dalle caserme. All’interno del grande palazzo, chiuso entro mura possenti con porte guarnite e protette da torri, vi erano anche giardini ed orti che l’Imperatore mostrava di apprezzare molto.
Il palazzo imperiale nel VII secolo, al momento dell’invasione degli Avari e dei Croati, divenne il rifugio per gli abitanti di Salona che a poco a poco lo trasformarono in una città: Spalato, nome che un tempo si faceva derivare da “Palatium” ma che il sito già aveva, derivando dalla parola greca “Asphàlatos”, ovvero “ginestra”, fiore che in abbondanza ricopriva quei clivi.
Il mausoleo imperiale di Diocleziano, posto nel settore sud/est del palazzo, si trova alla destra dell’elegante e ricco Peristilio, che era il luogo nel quale l’Imperatore si mostrava in pubblico quasi come un’apparizione divina. Costruito sopra un podio e collegato al Peristilio da una scalinata, l’edificio è a pianta ottagonale, in pietra bianca proveniente dalla vicina isola di Brazza, coperto da cupola coperta esternamente da tetto a spicchi. È ancora circondato da un colonnato che ne ripete il perimetro, il “periptero”, che sosteneva una copertura e che, nel Medioevo, era diventato area di sepoltura. La tomba imperiale era situata all’interno di uno spazio sacro nel quale si trovavano alcuni templi, uno forse dedicato a Giove, divinità protettrice di Diocleziano, uno a Cibele, un altro a Venere e infine, elemento di grande valenza spirituale e cultuale, un antro, identificabile con una “grotta” iniziatica mitraica, posto sotto il mausoleo. È interessante notare come questa situazione, con piccole varianti, si verificasse negli stessi anni nella lontana Eschmiadzin, in Armenia, dove la prima chiesa cristiana - qui il Cristianesimo era arrivato prima che nell’Impero Romano - a pianta centrale, venne costruita sopra un tempio ipogeo dedicato al Dio del Fuoco persiano, corrispondente al dio Mitra della tradizione ellenistica.
Il mausoleo di Spalato era destinato ad avere nel campo dell’architettura un ruolo inimmaginabile, divenendo non solo chiesa cristiana, ma prototipo dei battisteri e il primo esempio potrebbe essere quello di Ambrogio a Milano, ispirato alla tomba di Massimiano, che a sua volta guardava al mausoleo di Spalato! I monumenti che deriveranno dal Mausoleo di Diocleziano sono moltissimi sia nell’architettura latino/bizantina che musulmana, ma sono molti anche gli esempi che lo precedono. Il parallelepipedo a otto facce con cuspide era indubbiamente una forma di grande bellezza dalla forte valenza simbolica. Fra i monumenti a pianta ottagonale anteriori al Mausoleo di Diocleziano, è da ricordare la cosiddetta “Torre dei Venti” nell’Agorà di Atene, costruita su progetto di un astronomo siriano, Andronico di Cirro, al tempo di Giulio Cesare. All’interno vi si misurava il tempo con un orologio idraulico azionato dall’acqua del ruscello Clepsidra - da cui il nome allo strumento per il conteggio delle ore - su ciascun lato vi erano meridiane e sulla sommità un tritone di bronzo che misurava la direzione e l’intensità dei venti rappresentati in un bellissimo fregio sotto forma antropomorfica.
Una citazione di questo famoso monumento ateniese possiamo coglierla nella bella torre di mattoni e marmo realizzata nel 1940 a Bergamo, all’inizio dell’autostrada per Milano.

Il Mausoleo di Diocleziano venne costruito negli stessi anni in cui venne edificato il Palazzo e, probabilmente, dalle stesse maestranze orientali soprattutto siriane ed egiziane.
Di forma ottagonale all’esterno e rotondo all’interno, era decorato con marmi preziosi e mosaici splendenti. La struttura interna, come negli edifici di Milano citati, si articola in quattro nicchie a pianta semicircolare alternate a quattro con pianta rettangolare. Lo spazio è scandito da otto colonne di porfido dai raffinati e snelli capitelli compositi che sostengono possenti mensoloni finemente scolpiti che, a loro volta, sono la base di otto colonnine di porfido terminanti anch’esse con capitelli compositi e mensoloni. La zona di queste colonnine costituisce una fascia decorata da un fregio di marmo scolpito con scene allegoriche legate al tema funerario: scene di caccia e l’immagine di Ermete Psicopompo, colui che guida le anime all’Ade. Ma in questo fregio ci sono anche due medaglioni vicini, attorniati da Amorini: sono i presunti ritratti di Diocleziano e della moglie Prisca, che danno un tocco di affettuosa umanità a tutto l’insieme.
Questa fascia, anticipo del medioevale “tamburo” delle chiese lombarde, sostiene la cupola, chiara simbologia del Cielo che, in origine, era ricoperta di mosaici andati perduti. La superficie spoglia della cupola permette di leggere la bellezza e l’originalità di questa struttura realizzata con mattoni disposti a ventaglio sui quattro lati, che a poco a poco si dispongono in file decrescenti disposte in cerchi concentrici.
L’imperatore vi fu sepolto nel 313, in un prezioso sarcofago che si trovava al centro del mausoleo, ma il suo corpo ne venne portato fuori già nel 356 e nascosto in un ambiente del Palazzo, mentre il sarcofago venne distrutto e disperso alla metà del VII secolo quando il primo Arcivescovo di Spalato, Giovanni Ravennate, trasformò il mausoleo dell’Imperatore persecutore dei Cristiani in cattedrale cristiana dedicata ai Santi martiri Doimo e Anastasio. Alcune parti del sarcofago imperiale, distrutto intenzionalmente e ritualmente, furono utilizzate per realizzare il bel pulpito del XIII secolo. L’imperatrice Prisca non ebbe mai sepoltura in questo mausoleo, vittima di una nemesi terribile: come la figlia Valeria, vedova del cesare Galerio, venne accusata di essere cristiana e uccisa forse in Siria o a Salonicco, qualche anno dopo la morte di Diocleziano, in anni nei quali il Cristianesimo era di fatto già diventato religione tollerata, ma la “damnatio memoriae” dell’Imperatore fu molto violenta e colpì con cieca furia anche la sua famiglia.
Il mausoleo, diventato chiesa cristiana, a poco a poco si abbellì con raffinate e preziose opere d’arte tardogotiche e di epoche successive, fu anche aperta, sul lato opposto all’ingresso, una profonda abside che non turba l’armonia dell’interno di questo straordinario monumento antico.
Alla metà del XIII secolo la prima opera che si ispirò al mausoleo di Diocleziano, a parte quello coevo del tetrarca Massimiano a Milano, fu il sacello del Santo Sepolcro, o Anàstasis, a Gerusalemme, fatto erigere per volontà dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena. Anche se ormai negli anni della costruzione del sacello dell’Anàstasis era già avvenuta la condanna morale di Diocleziano, il suo mausoleo era ancora ben visibile e noto negli ambienti della corte imperiale e la sua forma simbolica venne reputata adatta per proteggere la tomba di Cristo, luogo della Resurrezione. Non sappiamo in verità quale fosse il vero aspetto dell’Anàstasis di Costantino, l’immagine maggiormente degna di fede può essere quella riprodotta sulle ampolline dei pellegrini che andavano in Terrasanta, alcune delle quali si trovano nel Museo di Monza. Quando ci si riferisce al Santo Sepolcro, si parla sempre di “Rotonda”, ma nelle ampolline dei pellegrini sembra di vedere una forma poligonale e ciò darebbe spiegazione anche dell’altro magnifico monumento che si trova a Gerusalemme sulla Spianata del Tempio, posto in un confronto ideale col sacello di Cristo, di cui sembra citazione, è la Moschea di Omar o Cupola della Roccia, a pianta ottagonale, capolavoro dell’architettura musulmana, eseguita da artisti bizantini.
Alla metà del XIII secolo venne anche iniziata la costruzione dell’elegante campanile in stile romanico-gotico.
L’edificio funerario a pianta ottagonale di Diocleziano, come già visto a proposito del mausoleo imperiale di Milano, fu fonte d’ispirazione per altri mausolei, chiese e battisteri cristiani, sia semplici come i battisteri lombardi con il paramento di mattoni, che splendidi per i marmi preziosi come il “bel San Giovanni” di Firenze. Bellissime furono in età tardo-antica le chiese a pianta ottagonale di San Simone Stilita presso Aleppo, di San Vitale a Ravenna, di San Donato a Zara, tutte in debito verso il monumento spalatino. Ma da che cosa nasceva la fortuna di questa forma? Nasceva dalle dimensioni e dalle proporzioni perfette che davano bellezza e forte contenuto simbolico alle opere che uscivano dalle mani degli artefici che le realizzavano sulla base del calcolo, indagato attraverso la speculazione pitagorica e platonica sui numeri e le figure perfette. Le correnti di pensiero dei grandi filosofi greci Pitagora e Platone, la cui influenza durerà sempre nel tempo, in particolare attraverso il neoplatonismo e il neopitagorismo, furono fortemente influenzate dall’antichissima cultura indiana, nella quale la matematica rappresentava il modo più profondo e sicuro di conoscenza del sensibile. Al caos apparente del mondo si sostituiva, secondo l’insegnamento di queste filosofie, un universo matematico, misurabile, nel quale tutte le forme, apparentemente libere, si spiegavano con una rigorosa “necessità”, quella dell’Intelligenza e del Vero che coincide, nel mondo greco, col Bello.
Il mondo, che ad occhi distratti appare discontinuo e retto dal caso, in realtà si scopre essere sostenuto da una trama perfetta e dall’ordine matematico di leggi universali e divine. I numeri e le figure hanno tutti significati filosofici e simbolici e possono essere indagati percorrendo il cammino misterioso e meraviglioso della “divina proporzione”, la Sezione Aurea, coincidenza magica fra la perfezione del Creato e la bellezza delle opere dell’Uomo.
La lettura dei simboli viene anche codificata: il Quadrato rappresenta la Terra con i suoi quattro Elementi, le quattro Stagioni e i quattro Punti Cardinali, il Cerchio rappresenta il Firmamento, il Cielo, l’Eternità.
I quadrati, inscritti nei cerchi, generano con la loro rotazione sullo stesso asse una figura di otto lati, l’ottagono, ottenuta congiungendo i punti di contatto dei quadrati col cerchio. Moltiplicando i quadrati nel cerchio, i quadrati tendono a confondersi con il cerchio stesso, col forte significato che dalla Terra si tende al Cielo; l’ottagono, che cela strutture matematiche segrete, possiede il simbolismo più adatto per i mausolei, coperti dalla cupola, summa di cerchi in ascesa, simbolo dell’Anima che dalla Terra viene trasportata verso la salvezza e l’immortalità, con il numero “8”, dominante, che rappresenta l’Infinito… e tutto questo ci dice, nello splendore del suo candido marmo, il bel monumento di Spalato, qualche volta, ahimè, guardato dai turisti troppo frettolosamente!