Anno 10 - N. 29/ 2011
Leggende e suggestioni senesi tra Palio e Contrade
COR MAGIS TIBI SENA PANDIT
“Siena ti apre un cuore più grande della porta (Comollia) che stai attraversando”
Palio e Contrade nella millenaria storia di Siena
“Chi vince canzona, e chi perde non cogliona”, dice il proverbio. Concordia discorde e faziosa armonia. [...] ”Non c’è mito senza rito, non c’è festa senza il gioco”.
di Giuliano Tessera
Una leggenda medievale fa nascere Siena da una costola di Roma. Alla morte di Remo, i suoi figli Senio e Ascanio fuggirono dall’Urbe inseguiti da Romolo e dai suoi cavalieri che li volevano uccidere. Giunsero alla “Siena Vecchia” su due cavalli, uno bianco e uno nero, ed eressero due are da cui si innalzarono due nuvole di fumo dello stesso colore dei cavalli e fecero sacrifici agli déi per propiziare la nascita di Siena. Sarebbe così nata “l’altra Roma”, proprio alla fine di una mitica corsa che ricorda il “Palio alla lunga”. Siena e Palio si presentano così come realtà inscindibili, e ciò vale anche per le Contrade, come la lupa bigemina e la Balzana, insegna immutata nel tempo della città. Tra i marmi bianchi e neri del Duomo venne posta, infatti, quale simbolo del Comune di Siena, la lupa romana o etrusca portata lì probabilmente proprio dagli etruschi. E il Duomo diventerà così, dal Duecento, il punto di arrivo di una forsennata corsa di cavalli barberi attraverso le tortuose vie ancora non lastricate della città per arrivare, da fuori le mura, al sagrato, all’Acropoli senese.
Origini storiche di Siena
Prima della fondazione della colonia romana (Sena Julia) da parte di Cesare o del triumvirato (ed è così ricordata da Plinio, da Tacito, da Strabone, da Tolomeo e, più tardi, dalla tavola Peutingeriana, che la colloca sul percorso stradale Firenze - Chiusi), è annoverata tra le ventotto colonie romane ai tempi di Augusto. Solo Tacito, poi, accenna a Siena ai tempi di Vespasiano come centro già dotato di propri magistrati.
”Senae” significa diversi borghi che si uniscono sino a formare un corpo unico, una sola città. Sembra poi, che sia stata convertita al cristianesimo da un nobile romano della famiglia Anicia, Ansano Anicio. Un forte afflusso di persone si ebbe, alla caduta dell’impero romano, con le invasioni dei Longobardi prima e coi Franchi, poi del neonato Sacro Romano Impero.
Il primo conte fu un certo Alderico nell’833. L’introduzione del sistema feudale di Carlo Magno, vide la nobiltà senese appoggiarsi ai vescovi per esercitare il proprio potere.
Nel corso del XII secolo il governo divenne progressivamente laico e Siena si trasformò in comune consolare, città libera e, nel 1125, si trasformò in repubblica.
La scelta di campo ghibellina, l’alleanza con Federico I, caratterizzò la scelta antipapale determinando (1167) l’allontanamento dei vescovi dall’amministrazione territoriale. Nell’ambito della lotta per le investiture, che per centocinquanta anni semineranno morte e distruzione in tutta Europa, Siena, ghibellina, si troverà di fronte Firenze, alleata del partito guelfo e del Papa.
È il periodo nel quale Siena gode di un grande sviluppo economico, imponendosi su tutta la Toscana. I suoi mercanti si muovono a livello europeo e le compagnie dei banchieri finanziano imperatori, principi e papi. Siena diventa ricca ed è favorita anche dal transito dei pellegrini, assistiti dalle compagnie laicali, che transitano per la via Francigena per recarsi in Terra Santa.
È da queste compagnie che trarranno origine, in seguito, le Contrade. Dopo un periodo di tregua con Firenze (Lega di San Ginesio), le lotte riprenderanno anche per motivi territoriali. All’inizio le sorti favoriscono Firenze (Montaldo, 1207), ma la rivincita si avrà a Montaperti nel 1260, dove le milizie senesi coadiuvate dagli esuli ghibellini provenienti da tutta la Toscana con a capo Farinata degli Uberti, dai cavalieri teutonici, dagli aiuti di Pisa, Lucca e Cortona, faranno strage dei fiorentini pur superiori di numero. Strage che, come dirà Dante “fece l’Arbia colorata in rosso”(Inferno, canto X, vv. 86 e segg.).
La scomunica di Siena da parte del papa Alessandro VI, la morte di Manfredi di Svevia, l’ascesa dei francesi con Guido di Monfort, vicario di Carlo d’Angiò e grande alleato di Firenze, determineranno la sconfitta dei ghibellini e la rovina di Siena che si riprenderà soltanto con l’instaurazione del governo borghese dei Nove che porterà per 70 anni pace e benessere.
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L’antico Palio fu anche simbolo di progresso e ascesi, imitazione di battaglie che i signori combattevano per “prepararsi” alla guerra vera e quando Siena si collocherà tra le città più colte e floride d’Europa, il Palio diventerà l’evento ludico “...e il momento catartico e culminante delle magnifiche feste annuali in onore di Nostra Donna d’Agosto, Maria Vergine Assunta, regina e patrona di Siena e del suo Stato”. (cfr. Alessandro Palazzi, “L’immagine del Palio”, “Un mito contagioso: un viaggio nelle mitologie del Palio”; ed. Monte dei Paschi di Siena, 2001).
In quella occasione tutti i cittadini erano chiamati a raccolta e tutti avevano l’obbligo di donare cera fina alla Vergine che poi sarebbe stata ridistribuita a tutte le chiese del Vescovato: si attuava così il simbolo statutario del dare, ricevere, ricambiare. Così, banchetti, parate, processioni, circondate da musici e giullari, mostravano esplicitamente la prospera immagine della Saena Felix abbinando il culto della Madonna Assunta alla fedeltà e l’appartenenza al Comune. E alla fine delle grandi feste si correva il Palio. Infatti ”Non c’è mito senza rito, non c’è festa senza il gioco” (A. Palazzi, Op. cit.).
Si sa che il gioco determina gerarchie di valori e agli sconfitti, in genere, tocca lo scherno.
Si ricorda che nel 1239 certo Ristoro di Bruno di Cigurda venne multato perché “cum currisset palium in festo sancte Marie de augusto, non accepit suem”, perché il cavaliere permaloso, arrivato ultimo nella corsa, si era rifiutato di prendere il porco, derisorio premio per la “maglia nera”. Agli sconfitti toccava lo scherno rituale: “Chi vince canzona, e chi perde non cogliona”, dice il proverbio. Concordia discorde e faziosa armonia. Sul drappellone del Palio del 2000 è scritta a mano una celebre frase di Santa Caterina da Siena, patrona d’Europa: “Orsu’, figlioli dolcissimi, correte questo Palio, e fate, che solo sia uno, quello che l’abbia, cioè, che ‘l cuore vostro non sia diviso”.
“Il lunghissimo drappo di stoffa preziosa, spesso foderato di pelli di vaio (Termine araldico: il vaio è una pelliccia costituita da una alternanza di campanelle clochettes d’argento e azzurro, disposte in allineamenti chiamati file (n.d.a.), Come certi manti di Madonne senesi del Trecento…, premio per il primo arrivato, che avrebbe dato poi il nome alla corsa e infine a tutta la festa, mostrando la stretta e intricata tessitura di segni, di riti, di significanti e significati che ancor oggi rimane nel Palio dei senesi, festa di popolo per il popolo a dispetto dei tempi e degli eventi”.
Infatti, nonostante la peste il Palio fu corso anche nel 1348 e nel 1349 e ciò accadde anche durante l’epidemia del 1476. Progressivamente il tessuto del Palio, col passare dei secoli, divenne sempre più prezioso. Nel 1767 venne preparato un carro su cui era posto un drappo di broccato d’oro destinato al cavallo vincitore. Da tutto ciò si può dedurre che il Palio non è una semplice corsa di cavalli, ma una vera e propria memoria storica di una città, di una civiltà che due volte all’anno si manifesta in un rito le cui origini si rifanno probabilmente ai rituali di origine etrusca che ben corsero i loro Palio.
L’origine del Palio è veramente intricatissima: c’è chi la fa risalire a una corsa di cavalli in onore di San Bonifazio, santo dei Franchi, cui era dedicata l’antica cattedrale in Castelvecchio precedente la costruzione del Duomo che sarà dedicato alla Vergine. Sarebbe stata una “corsa alla lunga” e il vincitore avrebbe ricevuto in premio un drappellone di stoffa preziosa, un pallium.
Dopo la consacrazione del duomo nel 1179, la corsa sarebbe continuata acquisendo gradualmente una sempre maggiore importanza politico-religiosa, segno di una amministrazione comunale in espansione.
A ciò si abbinava anche il rituale di sudditanza dei signori feudali nei confronti del potere vescovile in un primo momento e del Comune medievale successivamente. Si hanno testimonianze della sottomissione dei conti di Montepescali, Scialenga, Frosini, Montelaterone e Montalcino.
I feudatari avevano l’obbligo di offrire un cero a Santa Maria in segno di omaggio e sottomissione. La corsa, che si svolgeva durante la festa, aveva anche lo scopo di mostrare la capacità organizzativa del Comune e dei suoi cittadini anche agli stranieri. Fino al 1310 è in primo piano il rituale dell’offerta, poi saranno le spese per il drappellone a primeggiare in ordine di importanza.
Negli statuti immediatamente successivi cominciano a venir annotate regole precise per lo svolgimento della corsa, per impedire che venisse intralciata, per vietare ai pubblici ufficiali di prendervi parte onde impedire “raccomandazioni” e privilegi. In origine la corsa era riservata ai nobili, ma dalla metà del quattrocento gli indomiti cavalli vennero guidati da “ragatii”, fantini scelti dai nobili proprietari, rappresentanti prezzolati del proprietario e caratterizzati da un soprannome.
Corse alla lunga si correvano anche in altre città d’Italia, come ad esempio a Firenze in onore di San Giovanni Battista, ma tutte vennero abbandonate col tempo, e anche nella stessa Siena altre carriere vennero corse (ad es. quella dedicata a Sant Ambrogio), tranne quella appunto del 15 agosto che verrà disputata regolarmente sino al 1871.
Gli storici indicano almeno cinque motivi per dare spiegazione di una durata così protratta nel tempo (che arriva sino ai nostri giorni): il culto mariano estremamente diffuso; l’affermazione e la rivalità fra le Contrade; l’uso spettacolare della Piazza, in particolare con le Cacce; la decisione presa nel Seicento di correre in “tondo”, prima con le bufale poi coi cavalli; la ritualizzazione, la regolamentazione della corsa con tutta l’organizzazione necessaria.
Tra queste motivazioni la scelta del Campo come luogo destinato è stata fondamentale: da mercato a sede del potere laico caratterizzato dalla edificazione del Palazzo pubblico e della torre; simbolo sacro con la cappella dedicata alla Vergine e la Fonte Gaia, elementi cristiani e pagani.
La sua scenografica a forma teatrale si rivelerà perfettamente congeniale allo svolgimento di giochi, pugne, tornei, cacce, pallonate, mascherate. Per la Caccia, ad esempio, la Piazza era recintata da steccati di legno di castagno ricoperti da alloro; intorno alla fontana era ricostruito un boschetto con animali selvatici “vivi” (lepri, volpi, istrici, cervi, cinghiali) portati in abbondanza dal contado oltre ai pesci destinati alla vigilia. Dopo l’attività venatoria, la caccia appunto, aveva luogo la tauromachia, una vera e propria corrida.
Questa, dopo il Concilio di Trento, nel 1590, venne abolita in quanto troppo cruenta. Tale divieto però, venne a volte aggirato utilizzando buoi e non tori (viene in mente la scomunica della balestra medievale in quanto arma “troppo”micidiale).
Lo spazio scenico del Campo sarà poi congeniale alle “bufalate” del primo Seicento, corse alla tonda sia pur in senso inverso a quello odierno. Il passaggio decisivo si ebbe nel 1605 con la decisione di sostituire alla “lunga” la corsa alla “tonda” per i cavalli per assicurare a tutti una perfetta visibilità. Siamo di fronte - come sottolinea Patrizia Turrini nel suo “Il Palio: un lungo itinerari -. I fili della storia. Contrade e Palio nelle fonti documentarie (Op. Cit.) a una riuscita razionalizzazione della civica economia”.
Siena nasce al plurale, tre castelli su tre colli: Castelsenio, Castel Kamunio, Castelmontorio, tre borghi che nella loro espansione “liberarono” un centro, il Campus Fori, oggi piazza del Campo determinando così la base tripartita dei Terzi (tutt’ora esistente) contrapposta al modello quadripartito dell’urbanistica romana.
Non quartieri pertanto, ma Contrade, che diverranno nei secoli vere e proprie città nella città.
Esistono tracce indubitabili delle Contrade a partire dal Duecento: all’inizio erano sinonimi di “importanti strade abitate”, divennero poi “rioni” quindi “associazioni tra abitanti dello stesso rione”. Erano molto più numerose di quelle attuali, ma è interessante notare che da subito svolsero funzioni devozionali, amministrative, militari e ricreative.
Dal Quattrocento in poi le Contrade fecero la loro apparizione nel Campo per partecipare a giochi e varie manifestazioni con livree, costumi e colori propri oltre che, ovviamente, con una precisa denominazione. Tra le prime ritroviamo la Chiocciola, la Giraffa, la Valdipiatta (oggi Selva) e poi Drago, Onda Camollia (che diverrà Istrice)...
Fra il Quattrocento e il Cinquecento il fantastico bestiario totemico sarà completato: nel 1506 ne troviamo undici, nel 1546 sedici o diciassette.
Oggi le Contrade sono diciassette ed hanno mantenuto nei secoli propri organismi rappresentativi eletti democraticamente in modo autonomo¸ sono enti senza fini di lucro e, sul piano legale, godono di personalità giuridica. In aggiunta alle contrade esistenti si possono indicare quelle soppresse: Gallo, Leone, Orso, Quercia, Spadaforte, Vipera, che dal 1600 in poi, soprattutto per la non partecipazione alla vita pubblica e a limiti organizzativi, in qualche modo si atrofizzarono, venendo inevitabilmente inglobate dalle Contrade limitrofe. Non è semplice indagare sulla provenienza del bestiario utilizzato dalle Contrade: alcune assunsero lo stemma e i colori da importanti famiglie esistenti nel rione che si impegnarono a sponsorizzare, come si dice oggi, gli allestimenti dei giochi e delle varie manifestazioni; altre si rifecero alle arti e ai mestieri prevalenti nel loro territorio come è il caso dei setaioli del Bruco. Va anche ricordato che bestiari, animali simbolici e così via erano molto comuni nel Rinascimento e noti a tutti.
Un esempio per tutti lo ritroviamo nella chiesa di San Francesco in Arezzo, ove Piero della Francesca, nel Ciclo della Vera Croce, raffigura un drago, un’aquila bicipite e un’oca. I simboli e i colori si “solidificarono” col tempo, giungendo a tappe sino a noi, trovando solo un secolo fa il loro equilibrio. C’è da chiedersi se c’è spazio per future modificazioni e nuovi assestamenti.
Tutte le Contrade cambiarono nel tempo colori, fogge, ricami e bordure delle loro bandiere, dei loro stendardi, fazzoletti o coccarde a dimostrazione della vivacità (in senso proprio) del Palio e della Contrade stesse. A differenza di altre città della penisola dove alle feste il popolo partecipava per essere “intrattenuto” per mantenere la “pace sociale” e compiacere il signore, come già diceva Giovenale e come Lorenzo de’ Medici riprendeva: “Pane e feste tengono il popolo quieto”, il popolo senese continuò a restare protagonista e a organizzare la vita politica e le proprie feste sino alla stagione della Repubblica che nel Cinquecento, nell’età di Carlo V, sembrerà, però, ormai qualcosa di anacronistico con la fine della propria autonomia all’orizzonte.
ELENCO DELLE CONTRADE
Tra parentesi le onorificenze ricevute.
Aquila (Titolo di NOBILE, concesso da Carlo V nel 1536).
Bruco (Titolo di NOBILE per aver posto al potere il Monte del Popolo nel 1371 e per campagne militari contro Carlo IV di Boemia).
Chiocciola
Civetta (Titolo di PRIORA per l’ospitalità data al Magistero delle Contrade nel 1894).
Drago
Giraffa (Titolo di IMPERIALE su decreto di Vittorio Emanuele III per aver vinto il Palio nel 1936, anno di fondazione dell’Impero ).
Istrice (Titolo di SOVRANA ricevuto dal Sovrano Ordine di Malta nel 1980, che nel sec. XIV ebbe sede nel rione Camollia).
Leocorno
Lupa
Nicchio (Titolo di NOBILE per il valore dimostrato nella battaglia di Montaperti nel 1260, di Porta Pispini nel 1527 e per aver portato l’acqua nel suo rione nel 1469 e alla Fonte dei Pispini nel 1534).
Oca (Titolo di NOBILE per il valore dimostrato nelle battaglie di Montemaggio nel 1145, di Montaperti del 1260 e durante l’assedio mediceo dal 1552 al 1555 e, inoltre, per aver costruito a sue spese parte dell’acquedotto chiamato “i bottini”).
Onda (Titolo di CAPITANA perché le sue guardie montavano la guardia al Palazzo Comunale).
Pantera
Selva
Tartuca
Torre
Valdimontone
COSA “DICONO” E COSA “FANNO”
Motti arti e mestieri delle 17 Contrade di Siena
- Aquila: “Dell’aquila il rostro, l’ugna, l’ala”. Notai.
- Bruco: “Come rivoluzion suonò il mio nome”. Setaioli.
- Chiocciola: “Con lento passo grave, nel campo a trionfar Chicciola scende”. Cuoiai.
- Drago: “Il cor che m’arde divien fiamma in bocca”. Banchieri.
- Giraffa: “Altius caput maior gloria”. Pittori.
- Istrice: “Sol per difesa io pugno”. Fabbri.
- Civetta: “Vedo nella notte”. Calzolai.
- Leocorno: “Fede e risana al par l’arma c’ho in fronte”. Orafi.
- Lupa: “Et urbis et senarum signum et decus”. Fornai.
- Nicchio: “È il rosso del corallo che m’arde in cor”. Vasai.
- Oca: “Clangit ad arma”. Tintori.
- Onda: “Il colore del cielo, la forza del mare”. Falegnami.
- Pantera: “Il mio slancio ogni ostacolo abbatte”. Speziali.
- Selva: “Prima Selvalta in campo”. Tessitori.
- Tartuca: “Forza e costanza albergo”. Scultori.
- Torre: “Oltre la forza la potenza”. Battilana.
- Valdimontone: “Sotto il mio colpo la muraglia crolla”. Ligrittieri (venditori di panni al dettaglio); dal 2000 Mercanti di seta.
Ogni Contrada ha un proprio stemma, propri colori, un Santo Patrono e una Festa Titolare, una Compagnia Militare di derivazione. Ha contrade Alleate e Avversarie. Una sede e oggi anche un proprio sito Web ufficiale.
ANTICHI GIOCHI E PUBBLICI DIVERTIMENTI SENESIANTICHI GIOCHI E PUBBLICI DIVERTIMENTI SENESI
L’Elmora o dei cestarelli
Finto combattimento tra due schieramenti con armi di legno e scudi di vimini intrecciati, praticato nel sec. XIII. Le battaglie, però, erano tutt’altro che finte e i morti e feriti non si contavano. Venne proibito dopo il 1261.
I Giorgiani o Juvenali
In onore a San Giorgio, protettore delle milizie senesi che avevano sconfitto Firenze a Montaperti nel 1260, un gruppo di armati con spade spuntate aveva il compito di difendere un fortilizio costruito appositamente. Non ebbe sufficiente gradimento forse perché il “corpo a corpo” veniva evitato, così cessò.
La Pugna
Una specie di Elmora combattuta a mani nude. Due squadre a pugni, schiaffi e morsi si affrontavano nel Campo. Godette di un largo favore popolare e durò sino al sec. XVIII. Una variante fu la “Pallonata” attuata nel giorno di Santo Stefano. Veniva gettata nel Campo, dalla Torre del Mangia, una palla che era contesa con ogni mezzo fisico da due squadre che cercavano di scaraventarla nella porta avversaria (simile al “Calcio in costume” fiorentino, ancor oggi rievocato). La pallonata fu riproposta a inizio del secolo scorso, ma non ebbe successo.
Il Torneo
I nobili cavalieri senesi, per commemorare una vittoria di Gian Galeazzo duca di Milano, alleato di Siena, entravano nel Campo a seguito di un grande corteo e si confrontavano con armi “cortesi” (non mortali). L’ultimo corteo fu nel 1602 quando il Granduca Ferdinando I visitò la città.
La Caccia dei tori
In un clima di chiara derivazione spagnola, per la prima volta il popolo si presenta nel Campo diviso per Contrade, siamo nel 1499. Fu ripetuta sino alla fine del ‘500 e la più importante fu quella del 15 agosto 1546 quando si presentarono tutte le attuali 17 Contrade, ognuna con la “macchina” della forma dell’animale che la contraddistingueva. Dopo una “caccia” ad animali selvatici tra cui anche un orso (legato) la scena passa ai tori, presto mattati nella piazza stessa. Nella immancabile cena finale vinceva 10 scudi d’oro chi restava più a lungo con le mani sulla tavola. Nel 1599 le contrade torneranno in Campo con la “Corsa con le Bufale”, che venivano fatte correre aizzate dai pugilatori. Alla Contrada vincitrice andava il Palio e a quella che si era maggiormente distinta il “Masgalano” (piatto di argento sbalzato).
Le Asinate
Nel 1612, in occasione di una visita di Cosimo II, ebbe luogo un palio con asini detto “Palio dell’Honore”. Gli asini dipinti coi colori delle Contrade, venivano fatti correre senza bardatura alcuna, sospinti da “pugillatori” che, nel frattempo si azzuffavano in violente mischie. Alla Contrada vincitrice 40 scudi e 20 ai pugillatori della stessa.
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