Anno 10 - N. 28/ 2011


OGGI come IERI

150°anniversario dell’Unità d’Italia

Identità nazionale sulla tavola

di Ambra Morelli



Specialità regionali


Gli italiani di oggi si riconoscono tutti nella pastasciutta.
Ma se scendiamo in dettagli, se andiamo nel soggettivo, se guardiamo meglio le nostre consuetudini o se facciamo mente locale alla nostra regione - o città o paese o rione - di provenienza, allora ci ridefiniamo in una miriade di particolari gastronomici che, pur in un comune riconoscersi in un sentimento di unità nazionale, sottolinea certe appartenenze. Tutte queste differenze che posizionano geograficamente località e comunità quasi fossero piccoli mondi, contribuiscono comunque alla formazione del ricchissimo patrimonio del gusto italiano.
Ci riconosciamo infatti non solo negli spaghetti al pomodoro, anche nella pizza, così come nelle lasagne e nel risotto, ma anche nei tortelli, nel ragù, nella pasta e fagioli e nel baccalà o nella caponata e… qui mi fermo, l’elenco sarebbe troppo lungo per le pagine che ho a disposizione perché stiamo parlando di un innumerevole quantità di piatti che caratterizzano oggi la nostra identità sulla tavola.

L’Italia è unita da 150 anni
Tante regioni, tanti dialetti, tante caratteristiche circoscritte, tante particolarità, tante personalità, tanti piccoli mondi che si trovano riuniti sotto uno stesso stemma che li accomuna in un’unica nazione.
La nostra ricchissima gastronomia differenzia tipicamente ogni dove nazionale. Distinzioni e confini sono segnati dalle qualità e dall’uso degli alimenti. Favoriti anche da un sentimento di forte legame col territorio, le consuetudini e le peculiarità del gusto, connotano l’indole delle comunità e delle sue genti: piccante al sud, più dolce al nord, più “gioviale” e godereccio al centro, più chiuso e nascosto nelle zone di confine.
Al giorno d’oggi si è diffusa una generalità di costumi, quasi tutto si mangia dappertutto, e nord e sud si confondono scambiandosi gli usi. Solo un po’ di anni fa, chi mai pensava che la bresaola, ex prodotto di nicchia, avrebbe invaso l’Italia o alle piadine come prodotto di uso abituale e non più come alimento di uso locale?
Ma tradizionalmente da nord a sud, molti usi di cucina definiscono ancora le situazioni, le persone, i caratteri. Una singola ricetta, i cui ingredienti sono definiti dalla tradizione, può cambiare nei dosaggi e nei particolari aromatici, con l’aggiunta o l’esclusione di un componente. Tra due località geograficamente vicine si crea, e si mantiene perciò, una sorta di simpatica rivalità che rispecchia anche le caratteristiche della sua comunità tale da rendere questa creatività un’“esclusiva” del luogo e delle genti. Per altro, questa nota caratteriale, il campanilismo, esprime un modo di essere tipicamente italiano non solo riferito al cibo. In questi 150 anni abbiamo passato molte epoche diverse e sicuramente l’esperienza del benessere è un fatto molto recente. Molti cambiamenti si sono affacciati in questi 150 anni, da un’alimentazione insufficiente e di scarsa qualità per la maggior parte della popolazione, all’era del benessere per la maggior parte della nazione dagli anni ’50 del boom economico.
Siamo passati dalla considerazione del “buono da mangiare” inteso come buono per la qualità cioè non dannoso, al “buono da mangiare” inteso come gustoso, piacevole da mangiare. Ma anche in tempi di povertà, la ricchezza e non la miseria della nostra inventiva ha distinto il nostro essere italiani. Basti pensare al periodo del conflitto mondiale del secolo scorso, periodo di razionamento dei generi alimentari, di risparmio e di recupero di ogni cosa possibile che si potesse mangiare, dove la capacità tutta italica (delle donne italiane) di sapersi inventare dei cibi buoni con poco, e spesso niente, ha sopperito la mancanza di ingredienti creando una cucina autarchica di base, ma di grande interesse, che ancor oggi apprezziamo.
Ne “La cucina del poco o niente” o “La cucina italiana della resistenza” libri editi in quell’epoca che anticipano in maniera netta nel titolo il contenuto, si illustrava come recuperare gastronomicamente i torsoli delle verze o le pelli delle patate, oggi considerati indubbiamente scarti, come preparare i dolci senza zucchero, la maionese senza olio, il caffè senza caffè: la connotazione della migliore cucina nazionale è, ancora una volta, la cucina povera regionale. Consuetudini, stili di vita e comportamenti pubblici e privati sono stati radicalmente ridefiniti negli ultimi tempi. I modelli di gusto stanno ritornando verso una cucina “povera” che forse definirei meglio come ”semplice” dove ingredienti un po’ dimenticati e riportati invece all’uso quotidiano, hanno la capacità di donare sapori inconsueti e forse anche di far riemergere i ricordi migliori del nostro passato.


Pellegrino Artusi
La cucina ne è segno e simbolo che si è andato via via costruendo negli anni da quando nel 1891 Pellegrino Artusi pubblicando il libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, contribuì in maniera importante all’idea d’Italia unita.
La sua raccolta di 790 ricette e tradizioni culinarie, provenienti soprattutto dell’Emilia e della Toscana, divenne il primo testo di arte gastronomica di importanza nazionale. Considerato oggi in parte un po’ superato dal punto di vista culinario, resta comunque inalterato nel suo valore storico per il significato che ha avuto offrendo un facile veicolo di scambio culturale tra genti diverse riunificando ciò che già, in fondo, accomunava: la cucina. Infatti era, ed è, più immediato fare la conoscenza di altre culture attraverso il cibo e la sua preparazione, più facile conoscere attraverso la cucina tradizioni e ritualità diverse che imparare a comprendersi in un idioma unico, l’italiano. Il cibo quindi è stato come amalgama identitaria, linguaggio attraverso il quale si è potuta diffondere l’idea di appartenenza ad un unico gruppo, portando poco alla volta alla formazione di un gusto italiano.
Immagini
pag. 66: Miseria e nobiltà (1954), film diretto da Mario Mattòli, tratto dall'omonima opera teatrale (1888) di Eduardo Scarpetta.
pag. 67: Pranzo in campagna.
pag. 68: Maccheroni, Napoli primo ‘900.
sotto: Trattoria romana.
pag. 69: Mercato rionale di Piazza Wagner, 1929 Milano.
sotto: Lavoratori berghamaschi con il paiolo della polenta.
pag. 70: La grande abbuffata (1973), film diretto da Marco Ferreri
sotto: Rocco e i suoi fratelli (1960), film diretto da Luchino Visconti.
sopra: Il Gattopardo (1963) film diretto da Luchino Visconti, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.