Anno 10 - N. 28/ 2011


Io non cambio se non morendo (Sigillo di Madame de Staël)

MADAME DE STAËL

Da Corinne ou l’Italie di M.me de Staël al Viaggio a Reims di Rossini Tutto è una vera delizia, il clima, il golfo, il Vesuvio ma non il basso livello morale degli abitanti, che aveva già impressionato Leopold Mozart trent’anni prima… L’ascensione al Vesuvio, compiuta insieme a Schlegel e de Sismondi le ispira alcune tra le pagine più belle del suo Corinne ou de l’Italie. Stupefatta dalle rovine di Pompei, di Ercolano…

di Giulio Cesare Maggi e Pierfranco Vitale



Ritratto di Madame de Staël

François Gérard (1770-1837)


Il primo viaggio in Italia di M.me de Staël ebbe inizio a Lione nel mese di dicembre del 1804: erano con lei, oltre ai tre figli, August von Schlegel, Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, storico svizzero di origine italiana che raggiunse la comitiva a Torino. L’ondivago amante di Madame, Benjamin Constant, da Lione farà ritorno ai suoi “Herbages”, lasciandola malinconica e mal disposta in partenza nei riguardi del Grand Tour. Molto probabilmente il viaggio in Italia aveva per M.me de Staël un significato antibonapartista. Ella riteneva che anche al di fuori dell’Impero le era possibile godere la gloria e la libertà che le venivano negate in patria.
Ma soprattutto ella desiderava raccogliere il materiale per il romanzo Corinne ou l’Italie, che aveva concepito nelle linee generali durante il soggiorno a Weimar: ma forse era anche alla ricerca, nel paese dell’amore, di un nuovo amore che le consentisse di cancellare dalla mente l’instabile e spesso irritante Constant “eterno incostante” come lo definisce nel suo Madame de Staël Ghislain de Diesbach.
Dopo il drammatico passaggio delle Alpi e un breve soggiorno a Torino, ove fu ricevuta dal Governatore francese del Piemonte, eccola a Milano ospite dei Cicognara: un soggiorno relativamente breve che le consente tuttavia di farsi ritrarre assieme al conte dal celebre Hayez. Qui si trattiene due settimane conquistata – lei, la grande conquistatrice – da Vincenzo Monti, ancora un bell’uomo a cinquant’anni, come appare dal ritratto dell’Appiani; ma soprattutto ammira l’intelligenza vivace e brillante dell’uomo che Manzoni giovinetto chiamava allora “il mio dio”.
Agli occhi ed allo spirito della Signora, Monti rappresentava non solo il più illustre poeta italiano del suo tempo ma addirittura “l’incarnazione della poesia lirica”, nonché la stessa Natura. Il soggiorno milanese consentì a M.me de Staël, attraverso il Monti, la conoscenza degli autori italiani e quindi di una letteratura che ella aveva sempre considerato minore. Tutto questo anche in virtù della straordinaria capacità declamatoria del Monti che aveva incantato dapprima i suoi concittadini ed infine “il grand’uomo che si chiama M.me de Staël” come l’aveva inquadrata la contessa Cicognara.
Il Monti si poteva vantare, pur con garbo, di averle fatto spuntare le lacrime con alcune sue declamazioni di poeti italiani: gliene dava, per così dire, l’autorizzazione in una lettera riconoscente la stessa M.me de Staël.
Attraverso Parma, Modena ai primi di febbraio 1805 il gruppo entra in Roma. Poche sono le persone che le piacciono, compreso l’ámbito vaticano e ne scrive a Monti apparentemente delusa, almeno all’inizio, anche dai monumenti della Città eterna.
Attraverso i buoni uffici del conte Alessandro Verri M.me de Staël è ricevuta nell’Accademia dell’Arcadia in seduta solenne, con il nome di Telesilla Argoica. Ad ogni nuovo Arcade era richiesto un saggio estemporaneo (o quasi) di poesia, e la de Staël volse in versi un sonetto su Cristo morto del Manzoni fattole pervenire dal Monti.
Lasciata Roma per Napoli ella conosce la “vera Italia”, quella di Goethe e Victor von Bonstetten, anche lui uno dei fautori del Romanticismo tedesco, cui si ispirò lo stesso Manzoni per la sua poi ripudiata Parteneide.
Tutto è una vera delizia, il clima, il golfo, il Vesuvio ma non il basso livello morale degli abitanti, che aveva già impressionato Leopold Mozart trent’anni prima...
L’ascensione al Vesuvio, compiuta insieme a Schlegel e de Sismondi le ispira alcune tra le pagine più belle del suo Corinne ou l’Italie. Stupefatta dalle rovine di Pompei, di Ercolano, dagli scavi da poco iniziati, dai recuperi artistici al Museo di Pozzuoli, accumula appunti di viaggio, percorsa da pensieri profondi sulla fragilità della vita umana ma anche sulla capacità del tempo di conservarne gli aspetti anche più intimi del quotidiano.
A Pozzuoli e a Miseno si conclude l’escursione nei dintorni di Napoli. E sarà proprio a capo Miseno che Corinne, la protagonista del romanzo, in molte parti autobiografico di M.me de Staël, pregata da contadini e marinai, racconta loro la storia gloriosa di quei siti nei tempi antichi, così concludendo: “Sublime creatore di questa natura, proteggici! I nostri slanci sono senza forza, le nostre speranze menzognere: le passioni esercitano su di noi una tirannia tumultuosa che non ci concede né libertà né riposo. Forse ciò che domani faremo deciderà della nostra sorte, forse ieri abbiamo detto una parolaccia che niente potrà riscattare. Quando il nostro spirito si eleva verso i pensieri più alti, sentiamo – come quando si è in cima ad un edificio altissimo – una vertigine che confonde ai nostri occhi tutti gli oggetti. Ma anche allora il dolore, il tremendo dolore, non si perde affatto tra le nuvole, le solca, le squarcia. Oh Dio, che cosa vorrà annunciarci?”
La scena è certamente quella che ispirò élisabeth Vigée-Le Brun, raffigurante M.me de Staël come Corinne (1809): viene a mente a questo proposito la Sibilla cumana del Domenichino (1616-17) che la Vigée-Le Brun deve aver ammirato.
Sdegnata per le malefatte dei Lazzaroni napoletani da una parte e per l’assoluta mancanza di cultura dei ceti elevati e della aristocrazia, M.me de Staël fa ritorno a Roma. La città, come la rappresenta nelle sue splendide incisioni il Piranesi, è un insieme di meraviglie marmoree in gran parte in rovina, tra le quali si muovono portantini, carrozze, uomini in armi e poi, fuori, nella campagna, le meravigliose ville, ricche di antichità. Per certo un mondo straordinario nel quale si mescolano, tra i tuguri dei miserabili e le osterie, visitatori di mezza Europa. E anche M.me de Staël riconosce ora che l’insieme è fortemente stimolante per uno spirito che ricerca le proprie radici.
Solo i nobili pensieri del glorioso passato dell’Urbe riescono a consolare i non pochi stranieri presenti, spesso scrittori, pittori, architetti. È tra questi la pittrice Angelica Kauffmann, l’”ultima Vestale”, come la chiama la de Diesbach, alla quale M.me de Staël si ispirò per la sua Corinne, conferendo a questa una straordinaria analogia di carattere e di comportamenti con la celebre artista: le sedute per il ritratto della de Staël e le conversazioni tra le due saranno preziose per delineare la straordinaria figura dell’eroina. Questa eccelleva nell’improvvisazione poetica, nella declamazione ma anche nella pittura.
Tuttavia sembra che un’altra donna sia stata, almeno in parte, presente alla mente di M.me de Staël: si tratterebbe di M.me de Beaumont, morta a Roma nel novembre di quel 1804 e che Chateaubriand aveva fatto seppellire in San Luigi dei Francesi. Nel taccuino di viaggio M.me de Staël annoterà: “Madame de Beaumont. Tomba di M.me de Beaumont, perché non fu più amata. Corinne”, come sottolinea Simone Balayé (Les carnets de voyage de M.me de Staël. Ginevra, Droz, 1971).
Tra Chateaubriand, come egli stesso ricorda nei suoi Mémoires d’outretombe e la de Staël non esisteva vera comprensione: erano entrambi primi attori e con quel tanto di malinconia che in luogo di unirli li allontanava. Nondimeno quando ella morì egli di lei lasciò scritto nei Mémoires: “Con M.me de Staël è venuta meno una parte considerevole del tempo in cui ho vissuto; alcune delle brecce, che una travolgente intelligenza superiore apre in un secolo, non si chiudono mai”.
E Roma le fa sorgere lugubri pensieri, la incombenza della morte come confida in una lettera all’amico Monti; a lui confesserà di essere diventata più sensibile: “un modo per soffrire meno o essere più amata mi tocca mille volte di più di quei bei piedi o di quelle belle mani di cui si parla tutto il giorno”.
Il figlio quattordicenne di M.me de Staël, Auguste, ha scritto giorno per giorno dalla partenza da Coppet fino a Roma un attento diario del viaggio, una sorta di devoir des vacances nel quale sono segnalati numerosi dati che ritroviamo tal quali in Corinne ou l’Italie. Il volumetto, ora a Coppet, era andato perduto ma fu ritrovato al Mercato delle Pulci di Parigi nel 2002: è appunto in questo taccuino che Auguste annota la visita a Roma dell’atélier del celebre Bodoni “il primo stampatore d’Italia” e qui resta impressionato da una edizione di Omero in caratteri eccezionalmente grandi.
Nell’ultima parte del soggiorno romano M.me de Staël è consolata affettivamente da un bellissimo giovane, don Pedro de Souza, segretario della Ambasciata del Portogallo presso la Santa Sede: un amore straordinario, la speranza di matrimonio, che resterà senza seguito…
Addolorata e delusa, a Firenze piange con la contessa Albany la perdita di Vittorio Alfieri, da vent’anni amante di quest’ultima, e ne scrive al de Souza: “Alfieri è stato il solo Italiano che sia stato un uomo del Nord per la profondità delle sue emozioni e per l’indipendenza dei suoi sentimenti”.
In un soggiorno relativamente breve a Venezia si innamora di un giovane ufficiale austriaco di origine inglese, Maurice O’ Donnel, con ogni verosimiglianza il modello per la figura di Lord Nelvil, spasimante e poi amante di Corinne. Un altro amore impossibile…
Nel maggio 1805 ella giunge a Milano, proprio il giorno dell’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia. Quale occasione per tentare il recupero di due milioni di franchi prestati dal vecchio Necker al Tesoro reale con la garanzia di Luigi XVI: vien messo di mezzo il Melzi d’Eril, ma non se ne fa di nulla: il recupero avverrà all’epoca della Restaurazione.
Comunque il suo passaggio per Milano è un trionfo personale, a dispetto dell’impegno che la nobiltà milanese ha verso l’Imperatore, l’Imperatrice e il vicere Eugenio di Beauharnais.
Tornata a Coppet alla fine di giugno M.me de Staël inizia a scrivere Corinne ou l’Italie e l’impegno la terrà occupata fino alla fine del 1806. L’amato-odiato rifugio di Coppet, ove le fa corona un gruppo di amici intellettuali di varie parti d’Europa, è la sua Corte sulla quale lei, novella Sibilla cumana, trionfa mirabilmente, come nel quadro di François Gérard: è “le débout des grands jours de Coppet”, con i due Schlegel, de Sismondi, l’abate di Breme per dire solamente qualche nome dei suoi ospiti permanenti. E poi vi sono le visite dei Principi elettori di Germania, di von Bülow, del Principe Esterházy, dell’amico Monti, di von Bonstetten. Su quello straordinario salotto regna, vera sovrana culturale d’Europa, lei, Anne-Louise-Germaine de Staël, nata Necker: altro che il salotto parigino di M.me de Récamier!
È in questo ambiente di menti superiori che nascerà l’idea di un’Europa unita, forse anticipatrice dell’Unione Europea che l’attuale “Forum européen de Coppet” fa oggetto dei suoi studi.
Nel ritiro di Acosta, presso Parigi, M.me de Staël porta a compimento Corinne: da qui qualche visita ai vecchi amici parigini, sfidando l’ira di Napoleone che l’ha relegata ad almeno venti leghe dalla capitale. L’Imperatore detestava questa donna intelligente e ardita, forse l’unica capace di tenergli testa: anni dopo, nell’esilio di Sant’Elena, conversando con i suoi intimi, come Las Cases riporta nel suo Mémorial de Sainte-Helène, riconosceva le doti intellettuali della donna che l’aveva osteggiato per tutta la vita e che era riuscita a vedere la Restaurazione che forse non amava, ma che significava l’eliminazione dell’uomo che sostanzialmente detestava. Ma di lui, in tutto il libro, non una parola: impensabile!
L’uscita di Corinne ou l’Italie fu accolta dal pubblico con il più vivo interesse e la sua diffusione fu praticamente internazionale: M.me de Staël riceve i più appassionati applausi da tutta Europa. La traduzione italiana dell’opera venne pubblicata a Napoli nel 1810 dai torchi di Angelo Trani in sei volumi. Solo in Francia i consensi sono meno convinti a causa delle limitazioni che la polizia impone alla libertà di stampa: quindi recensioni caute, che tuttavia lasciano trasparire il vivo interesse della poderosa opera, divisa, come è noto, in venti capitoli. Lord Byron, come ci fa sapere la de Diesbach, scriverà di suo pugno su una copia di Corinne appartenuta alla contessa di Guiccioli: “Per quanto riguarda l’Italia e l’Inghilterra M.me de Staël ha talora ragione; spesso però sbaglia. Per quanto riguarda il cuore, che conosce una sola nazionalità, e non ha patria, non sbaglia quasi mai”. Del resto, come scriverà de Sainte-Beuve, “con Corinne Madame de Staël è decisamente entrata nell’Impero”, un impero letterario che le consente di toccare livelli non dissimili a quelli della gloria militare di Napoleone.
E a Corinne, la sua eroina, ella affidava il compito di presentare agli Italiani la speranza di una rinascita politica e morale: accanto alla nobile storia del passato esisteva ora la storia di un possibile riscatto, in un futuro non troppo lontano.
A questo punto appare opportuno accennare alla trama di Corinne ou l’Italie, utilizzando qui l’edizione a cura di Simone Balayé (Paris, Gallimard, folio classique, 1985).
Corinna, figlia di un nobile inglese e di una gentildonna italiana, riceve la propria educazione a Firenze. Alla morte della madre si trasferisce in Inghilterra, ma l’ambiente sociale nel quale vive non soddisfa le sue aspirazioni di donna colta e indipendente. Alla maggior età ritorna in Italia, scegliendo come residenza Roma, che ritiene la sede ideale della cultura classica nella quale è stata educata.
Cantatrice delle glorie passate della romanità, Corinna è però attenta al contesto sociale nel quale vive e ne è profondamente delusa: ciò non le impedisce di farsi profetessa convinta di un futuro glorioso, di un ritorno ai fasti anche morali del passato. A Roma trae ispirazione dalle visite alla Tomba di Cecilia Metella, alla Piramide di Caio Cestio, al Tempio di Vesta e alla Sibilla di Tivoli.
La sua declamatoria poetica è così celebrata che ella è proclamata Poetessa nel Certame che ha luogo in Campidoglio.
“Viva Corinna! Viva il genio! Viva la bellezza!” così Roma incoronava la sua poetessa.
In questi termini ella improvvisava la sua declamazione:
“Italia, impero del sole; Italia, signora del mondo; Italia culla delle lettere, io ti saluto. Quante volte il genere umano ti fu sottomesso, tributario delle tue armi, delle tue arti e del tuo cielo!
Un dio abbandonò l’Olimpo per rifugiarsi in Ausonia; lo spettacolo di questo Paese fece sognare le virtù dell’età dell’oro, e l’uomo vi apparve troppo felice per poterlo considerare colpevole.
Per il suo genio Roma conquistò l’universo, e per la libertà fu regina. Il carattere romano s’impresse sul mondo, e le invasioni barbariche, distruggendo l’Italia, oscurarono l’universo intero.
L’Italia riapparve con i divini tesori che i Greci fuggitivi riportarono nel suo seno; il cielo le rivelò le sue leggi, l’audacia dei suoi figli scoprì un nuovo emisfero: fu nuovamente regina con lo scettro del pensiero, ma questo scettro d’allori non generò che ingratitudine.
Fu l’immaginazione a renderle l’universo perduto. I pittori e i poeti generarono per lei una terra e un Olimpo, cieli e inferni. E il fuoco che la anima, custodito meglio dal suo genio che dagli dèi pagani, non trovò in Europa nessun Prometeo che la rapisse.
Perché sono in Campidoglio? Perché la mia umile fronte sta per ricevere la corona che Petrarca ha portato e che è rimasta appesa al cipresso funerario del Tasso? Perché… se voi, o concittadini, non amaste abbastanza la gloria da ricompensare e il suo culto e i suoi successi?”
E la declamazione poetica è un inno a Dante, alla sua opera e alle sue profetiche parole sul futuro dell’Italia.
Nel caratterizzare il personaggio di Corinna, anche sotto questo aspetto, la de Staël aveva ricevuto dall’amico von Bonstetten uno spunto singolare, quello della incoronazione in Campidoglio nel 1776 della poetessa improvvisatrice Maddalena Morelli, in Arcadia Corilla Olimpica, sepolta poi a Roma nel Pantheon.
Ed è in questa occasione che Corinna conosce il giovane gentiluomo scozzese Lord Oswald Nelvil che condurrà a visitare ed apprezzare l’arte della Roma antica, mentre non le riuscirà di far accettare i costumi di un paese che, nei confronti di un’Inghilterra legata a severi principi morali e comportamentali, alla libertà e alla decenza, poco li cura e valuta. Ma tutto ciò egli vedrà anche nel libero comportamento e nell’affrancamento dalla convenzioni britanniche da parte di Corinna. Nessun moto positivo dell’animo di Lord Nelvil nei riguardi di un paese incapace di procurarsi da sé libertà e dignità ed osservanza di leggi che neppure sa darsi.
Durante un viaggio attraverso l’Italia appare sempre più evidente la situazione conflittuale tra i due amanti che si rendono conto, a dispetto delle meraviglie dei paesaggi, delle città e della natura della Penisola, quanto essi stiano allontanandosi tra di loro a causa dell’inflessibile rigore morale di Oswald. La convinzione della impossibilità di un rapporto definitivo con Corinna fa ritornare Nelvil in Inghilterra ove si sposerà rimpiangendo per tutta la vita l’amata. La quale, ormai senza uno scopo nella vita, si lascia morire in una sorta di suicidio psicologico, un cupio dissolvi. “Il sole, come la gloria, riscalda anche la tomba” aveva detto: così non fu. Forse nello scrivere ciò M.me de Staël pensava alla morte di M.me de Beaumont: ma si deve anche ritenere che il romanzo è largamente autobiografico.
Come osserva Benedetta Craveri in Corinne ou l’Italie M.me de Staël “vi tratteggiava, fra gli altri, il progetto di una letteratura che non fosse né fiction, divertimento sterile, indegno di popoli liberi, né pura argomentazione, ma una parola capace di sentimento e di entusiasmo, messa al servizio della filosofia”. (v. in Il viaggio a Reims. Milano, Mondadori-Electa, 2009).
La conoscenza dell’Italia di quel periodo fu capace di suscitare negli spiriti eletti sentimenti straordinari “un’autentica sapienza profetica come potente intuizione metafisica” come fu per Goethe, il quale nell’Italienische Reise scrive: “Se al mio arrivo in Italia ero come rinato, adesso incomincio ad essere come rieducato”.
Corinna, in tutte le Nazioni della Santa Alleanza rappresentava non solo un personaggio ma un intero Paese, riassumeva quanto di glorioso, di meraviglioso, degno di essere visitato e conosciuto: i suoi artisti, i suoi letterati – da Monti ad Alfieri – costituivano per gli stranieri un mondo sconosciuto se non disprezzato, e gli Italiani, malgrado tutto, meritavano di diventare finalmente una Nazione non solo per la glorie del passato, ma pure per un’attualità di uomini d’eccezione che sarebbero stati in grado, come si doveva e si poteva, di formare il futuro di una patria comune troppo a lungo agognata dalle élites, per divenire infine patrimonio comune di un popolo (B. Croce Storia d’Europa nel secolo decimo nono. Milano, Adelphi, 1993).
I moti popolari, in più parti d’Europa e da noi inizialmente in Piemonte, con numerose “vendite carbonare”, pur senza sortire effetti determinanti, ebbero il merito di attirare anche su di noi l’attenzione di un paese liberale quale l’Inghilterra.
La Restaurazione portava sul trono di Francia, soprattutto ad opera di Talleyrand, i Borboni con Luigi XVIII. La successione, dopo l’assassinio in circostanze misteriose del Duca di Berry, toccò al Duca di Artois, che nel 1824 fu incoronato col nome di Carlo X.
Nel ritratto di Ingres il Re appare ancora giovane ma egli aveva ormai sessantasei anni. La incoronazione, secondo la tradizione dei Capetingi, avvenne nella Cattedrale di Reims il 29 maggio 1825.
In quell’occasione fu eseguita la Messe du Sacre di Cherubini. Il re era uomo di vedute arretrate: a parte qualche dichiarazione liberale, era incapace di comprendere le aspirazioni romantiche della gioventù “nata nel secolo”. Cosicché nel 1830 Carlo X cadde a furor di popolo ed il trono passò a Luigi Filippo d’Orléans, fglio di quel Filippo Egalité che, pur avendo votato per il regicidio, fu poi mandato a morte da Robespierre. In occasione dell’incoronazione di Carlo X Gioachino Rossini, ormai stabile a Parigi quale direttore del Théâtre Royal Italien, aveva composto, per incarico della Corte, un dramma giocoso in un atto su libretto di Luigi Balocchi dal titolo Il viaggio a Reims, ossia l’Albergo del Giglio d’oro. La prima rappresentazione ebbe luogo, sotto la direzione di Rossini, in quel teatro il 19 giugno 1825, alla presenza del Re e della reale famiglia: prima donna la celebre Giuditta Pasta
“Alla serata assisteva anche Carlo X con le duchesse d’Angoulème e de Berry. Castil Blaze racconta che il Re, il quale veniva festeggiato musicalmente nel modo più brillante e sontuoso, non si divertiva affatto. Prendeva il suo piacere con pazienza e levava gli occhi al soffitto guardando il lucernario”. L’opera non era piaciuta neppure agli amici. Da Milano l’editore Ricordi, che Rossini conobbe copista di musica, gli domandò lo spartito per pubblicarlo. Offriva una somma cospicua. Il Maestro rifiutò: no! me lo tengo per me, Gioachino aveva pensato. Il pubblico non vuole applaudire questa musica nel Viaggio a Reims? La risentirà! (A. Fraccaroli. Rossini, Milano, Mondadori, 1941). Il che fu poi realmente con l’opera Le Comte Orly (Parigi 1828) e in versione italiana Il Conte Orly a Venezia al Teatro San Benedetto, l’anno successivo. Di Rossini non si butta via niente, neppure una nota!
Dopo due repliche parigine, nei giorni successivi alla prima, l’opera rossiniana cadde nell’oblio e presso il grande pubblico ritornò trionfalmente al Rossini Opera Festival di Pesaro il 19 agosto 1984, sotto la guida del M.° Claudio Abbado.
Ecco la trama: un gruppo di personaggi delle più varie nazionalità dell’Europa sono in viaggio verso Parigi per presenziare all’incoronazione di Carlo X. Un incidente di viaggio li costringe ad arrestarsi a Plombières. Non sarà così possibile giungere a Reims per l’incoronazione.
Il personaggio certamente più interessante de Il Viaggio a Reims è Corinna, l’eroina del romanzo di M.me de Staël alla quale sicuramente si ispirò il librettista. A lei il compito di cantare arie leggiadre, inneggianti all’amore quali “Arpa gentil, che fida compagna ognor mi sei”, “Delle Castalie dee il foco io sento in cor”: gioia ed amore si uniscono nel canto e così pure la speranza che rinasca “dell’aurea età l’albore” e tra gli uomini “regni fraterno amor”.

Corinna improvvisa poi l’Elogio di Carlo X (Scena XXV):

All’ombra amena
del Giglio d’Or,
aura serena
inebbria il cor.
Di lieti giorni
più dolce aurora
sorger la Francia
non vide ancor,
e grata applaude,
ammira, adora
di tanto ben
l’Augusto Autor.
[…]
Viva il diletto
augusto regnator,
ond’è l’aspetto
forier di gioia e amor
che desta in petto
rispetto, e vivo ardor.
Sul verde stelo,
fiorisca il Giglio ognor,
lo colmi il cielo
dell’almo suo favor.
[…]

Tutti inneggiano alle improvvisazioni poetiche della bella poetessa romana, tutti in cuor loro ne sono innamorati. Sarà forse possibile il giorno dopo raggiungere Parigi in diligenza per partecipare ai festeggiamenti nella capitale. Per il momento si organizza una gran festa nell’Albergo del Giglio d’oro (nomen omen) alla quale sono invitati tutti i cittadini di Plombières con concerti e danze: tutti i personaggi cantano un pezzo dell’inno nazionale del proprio Paese. E Corinna, la poetessa improvvisatrice, si indicazione dei presenti inneggia a Carlo X.
Non c’è un inno italiano…
Ma Corinne rappresenta l’Italia, Roma ed italiani sono Maestro e Librettista.
Il viaggio a Reims?
L’interrogativo del titolo sulla testata non è, poi, del tutto gratuito o criptico, talchè un viaggio verso una città per partecipare all’importante evento dell’incoronazione di un monarca, cosa di non tutti i giorni, non avviene, perché si blocca “altrove” ovvero in un albergo/bagni termali dall’insegna “Il Giglio d’oro” emblematica sintesi del potentato del Regno di Francia e annessi augusti personaggi secolari.
Altrettanto emblematico l’assunto che quest’opera sia sorta dalla collaborazione di due italiani operativi eccellenti in Francia Rossini e Balocchi, ad onore e per la gloria di una Italia frantumata in una miriade di Stati più o meno grandi, in Ducati, Granducati, in Regni, in Repubbliche, spesso con la caratteristica d’essere ospiti di presenze straniere.
Solerte in tutto lo scibile dell’arte musicale e poetica, merita una particolare attenzione il librettista Luigi Balocchi: avvocato, colto, intraprendente, esercita un suo potere per e nel Teatro Italiano di Parigi, discreto, fermo e convinto portando la sua attività ad un livello manageriale di tutto rispetto, guadagnando stima nell’alta sfera della cultura europea.
Costretto da nuovi moti rivoluzionari Carlo X e la famiglia, dopo un breve soggiorno in Scozia, si trasferiscono a Praga ospiti di Francesco I d’Absburgo, nel castello di Hradcany e durante l’estate in quello di Burschienhrad.
L’imbarazzo causato dal soggiorno in proprietà personali degli Absburgo da un lato, ed il declino della salute del re suggerirono nell’ottobre 1836 il trasferimento della Corte a Gorizia, città tranquilla e dal clima mite: Carlo X prese dimora nel Palazzo Coronini-Cronberg. Fu tuttavia necessario, per poter dare conveniente alloggio a tutto il seguito, affittare anche Palazzo Strassoldo, nel centro della città. Dopo tre giorni di malattia, caratterizzata da violenti dolori addominali, il 6 novembre 1844 Carlo X venne a morte, verosimilmente per un episodio di cholera nostras.
Dopo l’imbalsamazione il corpo venne deposto in un sarcofago di marmo e collocato nel Convento dei Francescani a Castagnevizza, presso Gorizia, che diveniva così la “Cripta dei Cappuccini” del ramo capetingio dei Borboni. Vi sarebbe stata trasportata anche la salma di Luisa Maria Reggente di Parma e Piacenza, morta a Venezia nel 1864. Nel 1917, nel corso della Prima Guerra Mondiale il Convento fu colpito dall’artiglieria italiana, ma le bare dei Borboni, le corone, gli stendardi ivi posti dai Legittimisti erano stati tempestivamente trasportati nel Convento francescano di Lubijana: nel 1921 esse furono riportati a Castagnevizza.
Delle riunioni dei Legittimisti che, tra l’altro, avevano aderito alla successione al trono di Francia di Filippo d’Orléans, nipote di Carlo X, con il nome di Henri V, esiste ancora oggi, in una sala al pianterreno dell’Albergo Posta di Gorizia, una targa marmorea che ricorda l’evento.
Sic transeat gloria mundi…
MADAME DE STAËL E BONAPARTE
Anne-Louise-Germaine Necker, figlia di Susanne e di Jaques nasce a Parigi il 2 aprile 1766. Il padre, ricco banchiere ginevrino, studioso di economia di fama europea, ricopriva la carica di Ministro delle Finanze di Luigi XVI, mentre la madre, donna di notevole cultura, teneva un salotto letterario frequentato da pensatori e studiosi francesi e stranieri presenti a Parigi. In questo ambiente Louise Necker, alla quale vengono impartiti corsi di letteratura e poesia, di lingue antiche e moderne, di storia e di geografia, di matematica e politica economica, nonché di danza e di raffinato galateo, volti tutti a farne un “enfante prodige”, trascorre la propria giovinezza. Dopo un soggiorno nel Midy, legato alle vicende politiche di Necker, la famiglia ritorna a Parigi. Ora si pone il problema del matrimonio di Louise: “scartati i vecchi, gli imbecilli ed i cattolici”, la scelta cade sul barone Erik-Magnus Staël von Holstein un diplomatico svedese protetto di Gustav III, gradito alla Corte di Versailles, ove il matrimonio viene celebrato nel 1785. Dopo quattro anni i coniugi de Staël divorzieranno consensualmente: i tre figli resteranno con la madre.
I suoi contatti con la cultura europea sono costanti e non occasionali, tanto che nel 1797 M.me de Staël (il cognome le resterà per sempre) apre a Parigi il suo celebre salotto letterario, che però fa anche politica, non sempre favorevole al Direttorio. Nel dicembre 1797 M.me de Staël incontra Bonaparte per discutere l’assetto politico della Confederazione elvetica, non solo occupata dai Francesi ma anche lacerata da dissidi interni. È l’inizio di una viscerale antipatia reciproca tra i due personaggi che durerà, in misura forse eccessiva, per tutta la vita. Allontanata da Parigi per ordine del Primo Console, dopo un soggiorno nella proprietà di Saint-Ouen, M.me de Staël si ritira nel castello di Coppet presso Nyon, che il padre ha scelto come residenza: qui inizia la stesura del romanzo Delphine che vedrà la luce anni dopo. Ora anche Coppet diventa un salotto letterario al pari di quello parigino, ove si incontrano ammiratori e uomini di cultura francesi, svizzeri, tedeschi. Da Coppet M.me de Staël inizia una serie di viaggi che la porteranno in Italia, in Germania, in Inghilterra fino in Russia. Fa conoscenze interessanti, da Goethe a Schiller, dai fratelli Schlegel a von Bonstetten, da Monti a Foscolo per citare solo alcuni tra i personaggi con i quali ha avuto contatti culturali e di amicizia. Grande successo e straordinaria diffusione hanno numerose sue opere, tra le quali le Lettere sugli scritti e sul carattere di J.-J. Rousseau (1788), Dell’influenza delle passioni sulla felicità degli individui e delle nazioni (1796), Della letteratura considerata nei suoi rapporti con la istituzioni sociali (1800), Delfina (1802), Corinna o l’Italia (1807), La Germania (1810), fonte quest’ultima di grandi polemiche tra i fautori del classicismo e quelli del nascente romanticismo tedesco: compare postumo nel 1821 Dieci anni di esilio. Tutte le sue opere ebbero innumerevoli traduzioni in varie lingue facendone una delle scrittrici più celebri della sua epoca.
Dopo l’ultimo viaggio in Italia, con un lungo soggiorno a Pisa, M.me de Staël malgrado la salute declinante, riprende i contatti con i vecchi amici, riaprendo il suo salotto parigino. Il 14 luglio 1817 muore nella sua casa di rue Neuve-des-Mathurins: il giorno precedente aveva fatto dono a ciascuno dei suoi amici di una rosa del suo giardino.

GIOACHINO ROSSINI

Il Viaggio a Reims ossia
l’Albergo del Giglio d’oro

Libretto di Luigi Balocchi
Prima rappresentazione a Parigi,
Théâtre Royal Italien, Salle Louvois
19 giugno 1825

I PERSONAGGI

Corinna, celebre improvvisatrice romana.
La Marchesa Melibea, dama polacca, vedova di un generale italiano, ucciso il giorno medesimo delle nozze, in una sorpresa dell’inimico.
La Contessa di Folleville, giovine vedova, piena di grazia e brio, pazza per le mode.
Madama Cortese, donna spiritosa ed amabile, nata nel Tirolo, moglie di un negoziante francese, che viaggia, e padrona della casa de’ bagni.
Il Cavaliere Belfiore, giovane ufficiale francese, gaio ed elegante, che fa la corte a tutte le signore e particolarmente alla Contessa di Folleville, e si diletta di pittura.
Il Conte di Libenskof, generale russo, dal carattere impetuoso, innamoratissimo della Marchesa Melibea, ed estremamente geloso.
Lord Sidney, colonnello inglese, innamorato segretamente di Corinna.
Don Profondo, letterato, amico di Corinna, membro di varie accademie, fanatico per le antichità.
Il Barone di Trombonok, maggiore tedesco, fanatico per la musica.
Don Alvaro, grande di Spagna, uffizial generale di marina, innamorato di Melibea.
Don Prudenzio, medico della casa de’ bagni.
Don Luigino, cugino della Contessa di Folleville.
Delia, giovine orfana greca protetta da Corinna, e sua compagna di viaggio.
Maddalena, nativa di Caux, in Normandia, governante della casa de’ bagni.
Modestina, ragazza astratta, timida e lenta, cameriera della Contessa di Folleville.
Zefirino, corriere.
Antonio, mastro di casa.
Gelsomino, cameriere.
Quattro virtuosi ambulanti - cori di contadini e contadine – giardinieri e giardiniere servi – ballerini e ballerine – servitori de’ viaggiatori dell’albergo.



Hanno scritto, 1992 >2010, sulla Rivista Amadeus tema Il Viaggio a Reims: Philip Gossett, Rubens Tedeschi, Marco Vallora, Claudio Tempo, Emanuele Garofalo (1 / 2), Francesco Saponaro, Giampiero Cane.

DISCOGRAFIA
Gioachino Rossini. Il Viaggio a Reims. Direttore Claudio Abbado. Fonit Cetra / Amadeus 1985.
Gioachino Rossini. Il Viaggio a Reims. Direttore Ottavio D’Antone. Musicom srl Milano / Intesa San Paolo 2009. Edizione f.c.