Anno 10 - N. 28/ 2011
Le nozze mistiche di Santa Caterina di Paris Bordone
IL PERCORSO “DI ROUTINE”
DI UN DIPINTO SOTTOPOSTO A RESTAURO:
PROBLEMI, TECNICHE, SCELTE E INTERVENTI
Dipinto di alta qualità pittorica, realizzato verso la metà del 1500 da Paris Bordone. Di questo artista dà un sintetico ritratto il Lanzi: ”scolaro per poco tempo di Tiziano, di poi fervido ammiratore del Giorgione, finalmente pittore di una grazia, che a niuno somiglia fuor che a se stesso. Ridono veramente le sue immagini [...]
di Anna Rosa Nicola e Roberto Arosio
Dipinto apertura articolo
Le nozze mistiche di Santa Caterina (particolare)
di Paris Bordone
Le lunghe file in attesa di vedere opere d’arte restaurate, in particolare dipinti, sono conferma, seppure indiretta, del crescente interesse per questo settore della cultura artistica. Un apparato fotografico che documenta il confronto tra lo stato dell’opera, prima e dopo l’intervento, le indagini scientifiche che svelano i segreti nascosti dallo strato dipinto stimolano curiosità e ammirazione.
Probabilmente non sono molti a rendersi conto della complessità dei problemi tecnici e di scelta che il restauro di un dipinto comporta e talvolta delle incognite, dei rischi che l’intervento può implicare. Sono fondamentali una profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche e, naturalmente, il rispetto totale del testo figurativo che deve essere letto e compreso prima che si metta mano al restauro.
La conservazione e il recupero di un’opera rappresentano per il restauratore, e non solo, sempre e comunque un momento speciale di studio, di approfondimento, di conoscenza oltre che una sfida contro le insidie del tempo e dell’uomo.
Per questo abbiamo accettato volentieri l’invito di EOS ad illustrare il “il percorso di routine” di un dipinto sottoposto a restauro, offrendo ai lettori la possibilità di affacciarsi ad un laboratorio per osservare i problemi, le tecniche, le metodologie operative. Abbiamo scelto volutamente tra gli interventi uno che non richiedesse operazioni tali da suscitare meraviglia (e nella lunga esperienza non sarebbero mancati) ma problemi di conservazione non insoliti, ben conosciuti dagli esperti nel settore. Conservazione prima di tutto, perché il fine vero del restauro è questo, anche se poi i risultati della conservazione dei materiali portano a una restituzione delle immagini, che sono quelle che più colpiscono il pubblico.
Un restauro interessante, delicato ma consueto, è quello del dipinto raffigurante le “Nozze mistiche di S. Caterina”, di alta qualità pittorica, realizzato verso la metà del 1500 da Paris Bordone. Di questo artista dà un sintetico ritratto il Lanzi:(1) ”scolaro per poco tempo di Tiziano, di poi fervido ammiratore del Giorgione, finalmente pittore di una grazia, che a niuno somiglia fuor che a se stesso. Ridono veramente le sue immagini per un colorito, che non potendo essere più vero di quello di Tiziano, pare che volesse farlo più vario almeno e più vago, né vi manca finezza di disegno”. Di questo avremo conferma. In verità, il dipinto presentato in laboratorio non rispondeva al giudizio del Lanzi; un ingiallimento radicale dei protettivi e delle vernici destinate a rendere il “caldo” del colorismo veneziano conferiva all’opera un’impronta estetica di gusto ottocentesco attutendo la cromia, mortificando la vivacità dei colori e dei contrasti, nascondendo parzialmente una serie di ritocchi e rifacimenti - ragione non ultima delle verniciature - in parte ancora leggibili al di sotto di questo spesso strato. (Figg.1,2,3,4)
L’ esame a luce normale radente (rivelatore di tante magagne, esame che tutti possono fare) è il primo test dello stato di conservazione di un dipinto. L’osservazione ha messo in evidenza alterazioni, sollevamenti e varie deformazioni della pellicola pittorica e della tela originale; più numerose e gravi lungo la cucitura che unisce due teli che compongono il supporto (figg.3,4); diffuse le minute rotture della pellicola cromatica lungo l’impronta lasciata da un telaio preesistente (verosimilmente originario) originatasi in seguito all’afflosciamento della tela sugli spigoli vivi della crociera. (fig.3, schema fig. 5). Le cause di questi danni hanno trovato spiegazione osservando il retro del dipinto.
L’osservare un dipinto sul retro potrebbe sembrare di secondaria importanza; è invece fonte di una serie di elementi che ne raccontano le vicende. È veramente raro trovare un telaio originale in un dipinto cinquecentesco e la sostituzione del telaio è quasi sempre accompagnata dalla foderatura, cioè il rinforzo della tela originale con l’applicazione di un’altra tela. La foggia del telaio e dei chiodi, il tipo di tela di rifodero, la natura dei collanti utilizzati aiutano a riconoscere almeno il “quando” dei restauri subiti. Per questo si documentano tutti i particolari, segni, scritte, sigle, tipi di incastro, ampiezza dei teli, cuciture, elementi importanti per lo storico dell’arte nel seguire la storia dell’opera. Anche nel caso del dipinto di Bordone l’osservazione del retro ha dato interessanti indizi per ricostruirne le vicende. Il telaio, infatti, per la tecnica di costruzione, la possibilità di modificare la tensione con la presenza di zeppe riporta il vecchio intervento alla fine dell’Ottocento o ai primi del Novecento; ne sono conferma i chiodi usati per la chiodatura perimetrale (varelline già di produzione industriale). (fig.7)
Come si è detto, la sostituzione del telaio è molto spesso accompagnata dalla foderatura del dipinto. La tela di rifodero, in questo caso, era di lino, a tessitura diagonale, piuttosto fitta e robusta, ma parzialmente staccata dalla tela originale. La ridotta adesione quindi vanificava la sua funzione di rinforzo. Nella parte centrale, in corrispondenza della cucitura che unisce i due teli che compongono la tela originale, della larghezza di novantasette centimetri(2), erano ben evidenti alcuni segni di schiacciamento provocati da una pesante stiratura a caldo, eseguita per ottenere una maggiore planarità proprio nella zona della cucitura, stiratura che aveva però causato fragilità e micro rotture della pellicola cromatica.
In accordo con i funzionari della Soprintendenza che hanno seguito e diretto tutte le fasi del restauro(3), dopo aver protetto la superficie dipinta con una velinatura che impedisse ogni possibilità di distacco di squame di colore e schiodato perimetralmente il dipinto dal telaio, è stata delicatamente rimossa la vecchia tela di foderatura, applicata con un adesivo a base di colla pasta(4), e ripulito accuratamente il retro della tela. Sono riemersi evidenti i vari segni delle vicende e degli interventi subiti, dati che sono stati registrati attraverso fotografie e annotazioni grafiche. (fig. 5) É riemersa la scritta in nero “C. D”, riferibile alla collezione storica dell’opera(5); l’impronta lasciata dai regoli piuttosto stretti (circa 4 centimetri) del telaio originale lungo i lati verticali e in corrispondenza della crociera. (fig.5-B) Intriganti, a circa una quarantina di centimetri dal margine superiore, i segni di una ripiegatura (fig.5 - C) e di chiodature (fig.5-D) che fanno pensare ad una riduzione transitoria dell’altezza del dipinto; l’inserimento di aggiunte di tela lungo il perimetro sono invece prove certe di una modifica delle dimensioni; intervento non propriamente definibile “restauro”, ma purtroppo non raro.
Fin dal cinquecento si ha notizia di intereventi su dipinti, anche di artisti di grande fama, con variazioni delle dimensioni mediante aggiunte o tagli. Ne parla alla fine del settecento il Lanzi(6) “… ed è osservazione di alcuni che han veduti quadri antichi (come a scapito del buon gusto oggidì si costuma) tagliati e accorciati per adattargli a quella parete o sopra quell’uscio; che tale operazione spesso in quadri di altre scuole riesce tollerabilmente; ove in quegli de’ veneti è difficilissimo: tanto ogni parte è commessa coll’altra e armonizzata al suo tutto”.
Anche a Versailles il dipinto di Paolo Veronese “Rebecca ed Eleazaro” viene raddoppiato in altezza per adattarlo alla cornice sopra un caminetto(7).
Nel caso del nostro dipinto, l’ampliamento è stato realizzato con tre tipi diversi di tela, uguali la tela nelle due aggiunte cucite alla tela originale, lievemente diversa quella dell’aggiunta sul lato sinistro guardando il retro; diversa ancora a tessitura rada invece la piccola striscia di tela apposta sul lato inferiore (Fig.5). I dati rilevati non ci hanno permesso di capire se tutte le aggiunte siano state eseguite in una stessa fase, quella in cui la tela originale, a tessitura diagonale, è stata rifilata lungo il perimetro privandola del risvolto con la chiodatura lungo il perimetro per essere poi sottoposta a foderatura; certamente risale a questo intervento l’inserimento della giunta sul lato sinistro, dal momento che tutti i fori di chiodatura coincidono con quelli della foderatura. Questi dati fanno pensare a due interventi diversi.
Terminata la fase di studio e documentazione, si è proceduto all’intervento conservativo del supporto: si sono suturati fori e lacerazioni e il retro del dipinto è stato supportato con una nuova tela di foderatura in lino a tutta altezza applicata con la “classica” colla pasta. Il collante fatto penetrare attraverso la tela di foderatura e l’originale ha permesso di consolidare lo strato pittorico ristabilendo l’adesione tra foderatura, tela originale, preparazione e colore.
Si è dato quindi inizio al secondo momento del restauro con l’intervento sulla superficie dipinta, preceduto e indirizzato dalle analisi strumentali eseguite all’arrivo dell’opera in laboratorio. Le radiazioni dell’ultravioletto dotate di energia maggiore rispetto al campo del visibile, eccitano fluorescenze differenziali legate alla natura dei pigmenti e delle vernici oltre che all’età del dipinto. Le fluorescenze, diverse per colore e tonalità, rendono possibile risolvere con buona approssimazione i dubbi sulla presenza di ritocchi, ridipinture, rifacimenti ripetuti nel tempo, a volte anche sullo stesso colore; per questo i passaggi più importanti della pulitura, condotta per fasi con l’assottigliamento progressivo dei protettivi con soluzioni solventi polari, sono stati eseguiti sotto il controllo dell’ultravioletto (figg.11,14). L’asporto graduale dei depositi di sudicio e delle riverniciature applicate nei passati restauri e ormai molto ingiallite hanno permesso di riscoprire la vivacità smaltata dei toni originari, le trasparenze delle caratteristiche lacche, i contrasti. (figg. 8,9,10). Alcune radiografie eseguite in aree campione a verifica delle condizioni conservative dello strato pittorico e per lo studio della tecnica pittorica, (figg. 21-24) hanno messo in risalto una straordinaria compattezza della stesura cromatica originaria con impasti di colore ricchi di bianco di piombo (biacca) che modellano i volti, una tecnica appresa nell’apprendistato con Tiziano e testimoniata da Palma il giovane(8) .
La grande qualità pittorica e la sostanziale integrità della cromia hanno portato alla decisione, presa in accordo con la Proprietà e la Direzione Lavori della Soprintendenza(9), di asportare integralmente anche gli interventi pittorici dei vecchi restauri che, per uniformare gli ampliamenti, si estendevano ampiamente e a spessore sulla cromia originale, soprattutto sul cielo, ma riprendevano talvolta anche alcune ombreggiature sul paesaggio, i capelli della Vergine e alcuni panneggi. (figg.12,13,14) L’intervento è stato condotto quasi interamente a bisturi con l’aiuto del videomicroscopio a fibre ottiche, previo ammorbidimento dello strato da asportare.
La scienza viene incontro al restauratore con un altro strumento, oggi di routine, che utilizza le radiazioni infrarosse riflesse dal dipinto, registrate da rivelatori fotoelettrici e convertite in immagini in bianco e nero su uno schermo sul quale si può leggere quanto c’è sotto il colore. Questa indagine I.R. (Riflettografia in Infrarosso), permette inoltre di vedere, qualora presente, anche il disegno dell’artista, i “pentimenti”, cioè le modifiche da lui apportate durante l’esecuzione distinguendole dagli interventi di ripresa. L’esame permette di vedere il momento vero della nascita dell’opera, quando l’artista traduce l’idea, la sua concezione nel disegno che poi il colore riempirà. Il paesaggio è qui impostato in piani degradanti e appena definito è l’ingombro delle figure con poche linee tracciate a pennello, un semplice cerchio, per esempio, per la testa di San Giovannino (figg. 15-16). L’intero abbozzo è stato poi variato, corretto, completato con tratti più definiti e talvolta con chiaroscuro.
Appare evidente come siano “di getto” sia l’impostazione che l’esecuzione dell’opera, verosimilmente non preceduta da bozzetti o guidata da cartoni preparatori. Numerosissime sono infatti le varianti esecutive e i pentimenti relativi a piccoli spostamenti in corrispondenza delle figure e dei panneggi, ad esempio il braccio sinistro di Santa Caterina, le dita del piede destro e l’andamento del manto della Madonna, o il pentimento che interessa le gambe del San Giovannino (figg.17,18). Fatta eccezione per il volto della Madonna, e quello di San Giovannino che, una volta abbozzati, sembrerebbero dipinti direttamente col colore, tutti gli altri volti mostrano un abbozzo preparatorio con consistenti variazioni di posizione; il volto del vecchio (San Giuseppe?) era ruotato e quello di Gesù Bambino era impostato più in alto; la figura di Santa Caterina, è stata variata di posizione due volte: prima abbozzata con un semplice tratto ben più in alto sullo sfondo con il paesaggio e quindi nuovamente imbastita più in basso, ma con il volto più inclinato e verosimilmente con un velo sul capo che scendeva in ombra a dar risalto al profilo. Particolarmente interessante la lettura dell’immagine riflettografica nella zona centrale del dipinto, nel paesaggio di sfondo. Confrontandola con quella a luce normale emergono evidenti le modifiche in corrispondenza del gregge (preannuncio della missione di pastore del Bambino): manca nella stesura finale la pecora in primo piano, mentre viene aggiunta la figura del pastore seduto sotto l’albero con accanto il cane, particolari non previsti nel disegno preparatorio; più a destra, appena sopra al volto di Santa Caterina, si vede chiaramente il disegno del cardellino appoggiato su un ramo (evocazione della Passione), poi cancellato dalla stesura del prato dipinto (figg. 19-20).
Le generali buone condizioni conservative della pellicola pittorica hanno fortunatamente richiesto poche reintegrazioni in corrispondenza di cadute di preparazione e cromia, non estese e localizzate in aree non particolarmente importanti, se si eccettua l’articolata lacerazione in corrispondenza delle gambe di San Giovannino (figg.17,18). Vecchie puliture eseguite in passato con alcali avevano provocato alcune abrasioni specialmente sui bruni e su alcune velature a lacca. I danni sono stati minuziosamente ricuciti con colori a vernice per restauro, facilmente reversibili, sempre nel totale rispetto di ogni più piccolo frammento di originale. Era necessario a questo punto decidere come intervenire sugli ampliamenti eseguiti in passato. La pulitura aveva messo in netta evidenza le diversità materiche, tecniche e di conduzione tra originale e rifacimento (fig.12). Molto diversa risultava anche la tonalità cromatica, ben più scura e sorda nel rifacimento, non solo a causa dell’alterazione, ma anche perché al momento dell’ampliamento il dipinto era già piuttosto sporco. Dal punto di vista compositivo le fasce di rifacimento mortificavano l’opera.
Si è pertanto deciso di conservare gli ampliamenti in quanto testimonianza storicizzata delle vicende del dipinto, ripiegandoli tuttavia sul retro e fissandoli ad un listello fermato a sua volta alla fascia del nuovo telaio, costruito sulle misure originarie dell’opera e provvisto di sistema micrometrico per il tensionamento agli angoli e in corrispondenza della doppia crociera .
Il restauro di oggi ha quindi cercato di restituire all’opera la sua vera pelle, se non con la freschezza di quando è uscita dalle mani dell’artista, perché patinata dal tempo, almeno libera dal maquillage di cerone e ciprie che per tanto tempo è stato il restauro (fig. 26).
1) LANZI L., Storia pittorica della Italia: dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII se. dell’Ab. Luigi Lanzi . Pisa 1816 III, pag.90.
2) altezza della tela caratteristica dei telai dell’epoca a Venezia.
3) L’intervento è stato condotto sotto la direzione del Dott. Franco Boggero e della Dott.sa De Cupis della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria.
4) Si tratta di un adesivo a base di farina di grano e di semi di lino, colla animale, melassa, trementina veneta, utilizzato già in antico per la foderatura e oggi ancora in uso con varianti.
5) Collezione Doria, Genova.
6) (nota 2 idem III p.73)
Nel corso degli anni ci è capitato spesso di dover affrontare le problematiche derivanti da ampliamenti eseguiti in restauri più o meno antichi, modifiche talvolta anche invasive e alteranti, ma da conservare in quanto ormai storicizzate, magari adeguandone i toni per consentire una più armonica lettura dell’opera. Per citare solo alcuni esempi rimanendo in ambito veneto: quattro dipinti di Sebastiano Ricci, giunti da Venezia per il Palazzo Reale di Torino erano stati ampliati e adattati alle sovrapporte del palazzo dal pittore cuneese Alessandro Trono negli anni trenta del Settecento; settecentesco, ad opera del pittore Francesco Beaumont, anche l’ampliamento, sul lato superiore del grande telero del Veronese raffigurante Mosè salvato dalle acque conservato presso la Galleria Sabauda di Torino. Più tarda, verosimilmente ottocentesca invece, l’aggiunta sulla grande tela con la Battaglia di San Quintino (1557) di Palma il Giovane conservata nel Palazzo Reale di Torino. Risale al 1818, l’intervento di modifica subito da due grandi teleri di Sebastiano Ricci e Angelo Trevisani oggi nel presbiterio della chiesa parrocchiale di Somaglia Lodigiana, come testimoniato dalle scritte sulle pareti retrostanti. I due dipinti, realizzati per la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca di Venezia, erano stati adattati al nuovo ambiente uniformandone la forma e le misure: sul lato sinistro, era stata tagliata una striscia di tela dipinta di circa una trentina di centimetri dal dipinto del Ricci, utilizzata come innesto e inserita sul lato inferiore del dipinto di Trevisani, originariamente sagomato in basso perché originariamente collocato su una porta.
8) Boschini M. Ricche miniere della pittura veneziana Venezia 1674.
9 che si ringraziano.
Si ringrazia la proprietà per l’autorizzazione alla pubblicazione del dipinto.
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