Anno 9 - N. 27/ 2010
OGGI come IERI
MELE
Il frutto della conoscenza
La mela è tra i frutti, forse il più antico: resti fossili di spicchi di mela sono stati trovati in insediamenti di palafitte attorno ai laghi svizzeri e del nord Italia
di Ambra Morelli
Già simbolicamente presente nel giardino dell’Eden, accattivante perché Eva la cogliesse e accattivante, fonte di piacevoli aromi e carica significati fascinosi, la mela è giunta fino a noi in una storia lunga 7000 anni. Dalla Bibbia a Paride, da Guglielmo Tell a Isaac Newton, dalla mela di Biancaneve al surrealismo di Magritte, fino alla “Grande Mela” che identifica New York, questo frutto ha passato i secoli con continue suggestioni. Frutto dai mille volti emblematici, la mela entra nella storia delle arti come simbolo positivo di femminilità, bellezza, prosperità, di conoscenza e saggezza e, come tale, raffigurata pittoricamente in molti episodi mitologici, nell’iconografia mariana e in molte nature morte.
Ma è anche emblema negativo quando rappresenta l’”origine della colpa”, il peccato originale commesso da Adamo ed Eva nel paradiso terrestre.
Per la famigliarità con cui la consideriamo, favorita dalla disponibilità al consumo lungo tutto il periodo dell’anno, non ci si fa molto caso, ma la mela è un frutto bellissimo nelle sue perfette forme tondeggianti. La sua polpa è succosa, finissima e croccante, è dolce e fresca al palato, il suo gusto delicato va dall’acidulo all’intensamente zuccherino, i suoi profumi e i colori variegati spaziano in una gamma cospicua.
È tra i frutti, forse il più antico: resti fossili di spicchi di mela sono stati trovati in insediamenti di palafitte attorno ai laghi svizzeri e del nord Italia.
Si sa, anche, che le mele erano tra le qualità di frutta più gradite alle dinastie dell’antico Egitto, così come si conosce la considerazione che i pomi godevano tra i Persiani che li annoveravano anche nel corredo funerario delle sepolture reali.
Il melo, famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia Pomoideae, genere Malus, costituito da una trentina di specie primarie, è originario della zona a cavallo tra l’Europa e l’Asia. Più precisamente la sede primordiale è stata individuata nel Kazakistan, proprio dove gli storici situano il giardino dell’Eden e dove ancor oggi, tra boschetti di meli selvatici, si trova l’ex capitale kazaka Almaty, nome, il cui significato è proprio “posto dei meli”. La propagazione del melo verso l’Europa risalirebbe al Neolitico, circa 6000 anni fa, zona in cui, peraltro, avrebbe trovato una diffusione spontanea e facilitata grazie ai suoi climi temperati/freddi.
I frutti del melo coltivato erano inizialmente di piccola dimensione, di gusto asprigno e poco profumati, ma i romani seppero innestarli ed incrociarli fino ad ottenere vari cultivar migliorativi: all’epoca, le varietà erano già una trentina con caratteristiche organolettiche molto differenti tra loro, alcuni frutti anche di gusto dolcissimo come la melimela o la grossa pulmonea come anche la mela orcula, più conosciuta ai giorni nostri come annurca.
Mentre le mele selvatiche erano frequentemente motivo di decorazione delle case dei Greci e dei Romani, ne sono testimonianza le pitture murali presenti, ad esempio, nelle residenze abitative di Pompei, le mele coltivate si consumavano a fine pasto fresche o secche ma si utilizzavano anche per produrre vino o aceto. In quel periodo, e nel seguente medioevo, non esisteva una coltivazione specializzata vera e propria così come noi oggi la intendiamo. Gli alberi da frutto crescevano sparsi nella vigna o nei campi di frumento, negli orti dei ricchi o nei conventi, luogo privilegiato, quest’ultimo, in cui si selezionarono molte varietà di mele. In un capitolo del Capitulare de Villis, ordinanza emanata intorno all’anno 800 dall’Imperatore Carlo Magno in cui si danno disposizioni sulla riorganizzazione delle fattorie riguardo le attività agricole e pastorali, si testimonia, e si promuove, una frutticoltura ricca.
Tra gli alberi che si dovevano coltivare si annoverano meli di diversa specie “Vogliamo che nell’orto sia coltivata ogni possibile pianta… Quanto agli alberi, vogliamo ci siano frutteti di vario genere: meli cotogni, noccioli, mandorli, gelsi, […] mele di lunga durata e quelle da consumare subito e le primaticce.”.
Nel medioevo le mele godevano buona fama tra i medici che ne suggerivano il consumo in base alle loro caratteristiche digestive distinguendole in qualità adatte all’inizio del pasto o alla fine del pasto, in questo ultimo caso però dovevano essere consumate cotte e speziate.
Le mele “producono un nutrimento freddo e sottile e sangue flemmatico e si addicono ai temperamenti flemmatici e biliari. Giovano nelle sincopi, ma nuocciono alle articolazioni e ai nervi, le si sospetta, inoltre di contribuire alla perdita della memoria. Con quelle d’autunno, cotte sotto la cenere e mescolate con succo di liquirizia, amido e zucchero si produce uno sciroppo utile per il mal di petto”.
Benché la frutta non fosse per la gente comune un alimento di uso quotidiano, la sua disponibilità era infatti consequenziale alla raccolta nei boschi, era invece più abituale tra le categorie abbienti della società: é da qui che inizia a svilupparsi la frutticoltura. è già di quel periodo la riconosciuta capacità degli altoatesini, quali selezionatori e coltivatori di numerose qualità di questo frutto. Le mele venivano utilizzate in cucina per accompagnare i piatti di carne perché donavano un aroma agrodolce secondo il gusto dell’epoca medioevale.
L’abitudine proseguì nei secoli seguenti: una vera delizia deve essere stata, ad esempio, una ricetta firmata da Bartolomeo Scappi, cuoco rinascimentale al servizio privato di ben sei papi, che ideò una minestra di mela condita con zucchero e finocchietto, come anche la salsa, sempre firmata dalla Scappi, composta da mele mescolate con cipolle cotte sotto la brace e pestate nel mortaio, tuorli d’uovo, mollica bagnata nell’aceto e nel vino rosso, il tutto veniva cotto con succo d’arancia amara, agresto, mosto cotto e zucchero con tocco finale di spolverata di zucchero e cannella.
Attualmente è uno dei frutti più coltivati al mondo (si calcolano circa 60 milioni di tonnellate annue prodotte) grazie alla sua capacità di adattamento ad ogni contesto climatico che le consente di crescere nei luoghi più disparati, ne esistono oltre 5000 cultivar, originate da disseminazione naturale.
Nonostante il patrimonio varietale imponente, la produzione mondiale di mele è concentrata su poche scelte, le vecchie varietà di pomi coltivati in Italia tra il XVI e XVII secolo sono andate perdute in favore di qualità più commerciali, basta andare al supermercato per vedere che le qualità di mele offerte alla vendita sono poche: “Golden”, “Red Delicious”, “Gala” e poche altre, le mele antiche sono quasi sconosciute e, pertanto, hanno poco mercato.
A salvaguardare però un tale patrimonio, si impegnano gli intenditori pomologi. Sorgono associazioni in difesa delle varietà di questo frutto così, per altro, come di altri frutti di ampia gamma varietale ma che si rischia di perdere. Questi appassionati promuovono la loro coltivazione anche se di pochi esemplari, di uso famigliare. Tra queste la mela Carla, già presente nei meleti dei secoli scorsi, la Carpandù una delle svariate renette, la mela panaia, la mela cul di somaro, la mela bianchina, la mela al rosmarino bianco, e tante altre.
Diverse sono anche le iniziative a livello istituzionale a salvaguardia della biodiversità degli organismi viventi del pianeta. Recentemente è stata costruita a Svalbard, tra i ghiacci della Norvegia, la “banca del germoplasma”, dove ad oggi vi sono conservati oltre 400.000 campioni di semi, principalmente di specie coltivate, provenienti da 25 nazioni, senza contare che, più specificamente presso la stazione inglese EMR East Malling Research, situata nella regione del Kent, sono conservate oltre 3500 diverse varietà di melo.
Il 2010 è stato proclamato dall’ONU l’anno internazionale della biodiversità, cioè la diversità delle forme vitali in tutte le sue espressioni quale patrimonio di ricchezza inestimabile da difendere e la mela entra a tutto diritto tra queste: “frutto della conoscenza” a salvaguardia di un patrimonio biologico di specie, di tradizione aromatica nonché eredità storica e culturale.
IMMAGINI A COMMENTO
Albero di mele golden
(1903)
Gustav Klimt
(Baumgarten,1862 –
Neubau, 1918)
Fiori di melo
(1635)
Balthasar van der Ast
(Middelburg,1593-94 –
Delft, 657)
Berlino, Staatliche Museen
Mele
Annurca
Selvatica
Renetta
Carla
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