Anno 9 - N. 27/ 2010
STORIA E ARTE
IL SALTERIO DI MELISENDA
Il magnifico codice della regina di Gerusalemme
Baldovino II ... assunta la legge borgognona che lo permetteva, nominò sua erede la figlia maggiore Melisenda, che associò al trono fin da giovane età.
di Maria Giuseppina Malfatti Angelantoni
Le Tre Marie al Sepolcro
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139 (1135 - 1144 ca.)
Londra, British Library
Londra British, Library
Col nome suggestivo di Outremer - che nell’800 sarà usato per alcuni territori coloniali francesi – veniva indicata la Terrasanta dopo la conquista crociata. Con la presa della Città Santa nel 1099, venne subito fondato il Regno di Gerusalemme, ma Goffredo di Buglione non volle, per umiltà, accettare il titolo di Re. Alla sua morte, nell’anno 1100, venne eletto primo sovrano di Gerusalemme il fratello Baldovino I di Fiandra, conte di Edessa, uomo dalle grandi doti diplomatiche militari, e dopo di lui, nel 1118, in mancanza di suoi eredi diretti, salì al trono il cugino Baldovino II di Le Bourg dal quale, anche per via femminile, discese tutta la dinastia franco-fiamminga dei sovrani di Gerusalemme.
Baldovino II fu una delle figure fondamentali nello sviluppo e nel rafforzamento del Regno di Outremer, fu anche il sovrano che insieme al patriarca di Gerusalemme Varmondo riconobbe l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo che, ottenendo da lui di risiedere in una parte della sua reggia nel sito del “Tempio” di Salomone, assunsero il nome di “Templari”. Già conte di Edessa, come il suo predecessore anch’egli aveva sposato una principessa armena, Morphia di Melitene, donna colta e coraggiosa, di stirpe reale, dalla quale ebbe solo figlie femmine. Per assicurare quindi la discendenza e la successione al trono per la sua dinastia abrogò la legge salica, che vietava l’ascesa al trono delle figlie femmine e, assunta la legge borgognona che lo permetteva, nominò sua erede la figlia maggiore Melisenda, che associò al trono fin da giovane età. Baldovino preparò la figlia all’esercizio del potere attraverso un’educazione ed una formazione culturale che al tempo era riservata solo ai maschi e la fece incoronare insieme a lui nel 1128, dovette però affiancarle uno sposo, e ciò era doveroso per gli impegni militari che spettavano ad un sovrano. Baldovino scelse per lei il valoroso e ricco Folco V d’Angiò, un nobile francese imparentato con le famiglie reali di Francia e Inghilterra. Nel 1131, alla morte di Baldovino II, Melisenda venne incoronata regina nella basilica del Santo Sepolcro insieme allo sposo che però non volle accettare il ruolo di “principe consorte”. Ne seguì una vera e propria guerra civile fra i coniugi aiutati dai rispettivi sostenitori, la Regina venne comunque sempre appoggiata dalla nobiltà e dal clero che le riconoscevano doti eccezionali di saggezza e capacità di governo. Tra i coniugi venne infine fatta la pace, ma Folco morì poco dopo per un incidente di caccia; Melisenda venne allora incoronata - e per lei era la terza volta - nel 1143 insieme al figlio Baldovino III del quale fu saggia reggente. Melisenda non riuscì però ad evitare che i capi della II Crociata, il re di Francia Luigi VII e l’Imperatore Corrado III, insieme a suo figlio, attaccassero l’Emirato di Damasco, l’unico potente Stato musulmano col quale Outremer avesse buoni rapporti. La conseguenza fu una disastrosa sconfitta e il fallimento della Crociata, oltre all’inasprimento dei rapporti fra Gerusalemme e Damasco. Raggiunta la maggiore età, Baldovino III volle regnare da solo e di nuovo scoppiò una guerra civile, il figlio contro la madre, che si concluse con la vittoria di Baldovino che, per allontanare la Regina dal centro del potere, le assegnò la signoria di Nablus con un ricco patrimonio terriero, evitandole l’umiliazione e la sofferenza di un ritiro forzato in monastero, anzi continuò a considerarla sua buona consigliera. Melisenda morì nel 1161, forse di ictus, e fu sepolta in un sacello suggestivo nella chiesa delle Regine, Nostra Signora di Giosafat, fuori Gerusalemme, accanto alla tomba della madre dalla quale aveva ricevuto cultura e sensibilità religiosa, vicina al credo ortodosso. Morphia infatti, pur essendo di stirpe armena, non seguiva la religione cristiana monofisita del suo popolo, ma quella ortodossa di Bisanzio. Melisenda aveva dato al regno di Outremer, con la forza della sua intelligenza e della sua saggezza, potere e bellezza essendo stata anche committente nell’opera di rinnovamento edilizio ed artistico di Gerusalemme. In suo onore la sorella Hodierna, contessa di Tripoli, aveva dato il nome di Melisenda ad una figlia, la protagonista dell’amore poetico e tragico col trovatore Jaufré Rudel. Il tema dell’amore lontano, che si svilupperà nella poesia provenzale, era da secoli presente nella letteratura araba alla corte di Damasco, portato dai poeti del lontano Yemen, entrerà nel mondo occidentale al tempo delle Crociate e, seppure in modo indiretto, Melisenda, col suo nome, se ne troverà protagonista. Questa sovrana fu generosa protettrice della Chiesa latina, fondò la grande abbazia reale di San Lazzaro in Betania, fece donazioni alla basilica del Santo Sepolcro che fece restaurare, e fondò e protesse altre chiese, alcune ancora esistenti. Con lei la corte di Gerusalemme e il Regno Latino vissero il periodo del massimo splendore testimoniato da una grande opera d’arte: il codice miniato detto il “Salterio di Melisenda”, dono che molto probabilmente le era stato fatto dallo sposo al momento della riconciliazione dopo la violenta guerra civile fra loro.
Le vicende storiche di Melisenda e del suo regno sono documentate nelle cronache del tempo, la Regina è elogiata anche dal più grande degli storici di Outremer, Guglielmo di Tiro che, parlando di lei, afferma che fu grande sovrana, malgrado fosse una donna!
Il Regno Latino di Gerusalemme, o Regno d’Outremer, è stato spesso indicato come una realtà storica che, oltre che dalla precarietà militare, era connotato da deboli istituzioni giuridiche, economia critica e politica e vicende dinastiche turbolente, uno Stato in cui non poteva esserci posto per cultura ed arte considerata a lungo, quest’ultima in particolare, come importata dall’Europa o eseguita in loco da artisti europei. Studi più attenti, portati avanti negli ultimi anni, hanno completamente fatto cambiare questa opinione: il Regno di Outremer fu in verità il primo al mondo ad avere un Parlamento, la Haute Cour, quasi cento anni prima della concessione della Magna Charta in Inghilterra e, per quanto non vi fosse una situazione economica molto florida, vi fu produzione di opere d’arte che, essendo sintesi della cultura artistica in loco e di quella portata da europei ed armeni, furono di alta qualità e di grande originalità.
La Siria, la Palestina, e gli altri Paesi del Medioriente dove si svolse l’epopea crociata, erano luoghi dalla storia e dalla cultura antichissime e vi erano fiorite filosofia, teologia ed arte. Nell’XI secolo, all’arrivo dei Crociati, Gerusalemme aveva ancora alcuni splendidi monumenti paleocristiani, bizantini ed islamici, tra i quali la magnifica Cupola della Roccia, o Moschea di Omar, che si confrontava con la basilica del Santo Sepolcro, in quel momento in verità in parte fatiscente. La ricchezza dei monumenti di varie epoche esistenti in quei Paesi, con le soluzioni tecniche già adottate, come pure ogni altra forma espressiva d’arte, non potevano non influenzare la produzione di opere e manufatti artistici dell’età dei Crociati. In Outremer vi era inoltre una committenza potente: i Sovrani, la nobiltà e gli Ordini cavalleresco-monastici, primi fra tutti i Cavalieri di San Giovanni o Ospitalieri e i Cavalieri Templari, che disponevano di grandi ricchezze grazie all’afflusso di denaro dall’Europa. Non è quindi pensabile che per i due secoli della permanenza europea in Outremer non vi fosse stata produzione d’arte, in alcuni settori anzi, come quello dell’architettura militare, la Terrasanta fu all’avanguardia e la “esportò” in Europa, come dimostra il bel castello di Chateau Gaillard fatto costruire nelle sue terre francesi da Riccardo Cuor di Leone di ritorno dalla III Crociata. Senza dimenticare che il “gotico” fu il vero dono dell’Oriente all’Europa.
In scultura c’è testimonianza della sua alta qualità nei suggestivi, inquietanti, capitelli destinati alla basilica dell’Annunciazione di Nazareth, riscoperti alla fine degli anni ‘50, scolpiti in loco ed arrivati a noi pressoché integri poiché furono seppelliti, prima ancora di poter essere messi in opera, all’avvicinarsi dell’esercito di Saladino. Anche nel campo della pittura ci sono arrivate testimonianze significative; di buon livello artistico sono i dipinti murali “firmati”, della basilica della Natività di Betlemme e i notevoli codici miniati - fra i quali il nostro elegante “Salterio di Melisenda” e la “Bibbia” per il re Luigi IX - eseguiti negli scriptoria di Gerusalemme e di San Giovanni d’Acri. Di grande bellezza e di alta qualità era inoltre la produzione suntuaria dai tessuti agli oggetti in fusione che adornavano le case signorili dove si viveva nel lusso “all’orientale”. Fra queste dimore primeggiava, oltre il Palazzo Reale, la magnifica residenza degli Ibelin a Beirut di cui, come di altri edifici, è rimasta solo la memoria e la descrizione, a causa delle distruzioni seguite alla caduta del Regno crociato. I motivi della poca conoscenza e del mancato apprezzamento dell’arte di Outremer sono stati da una parte la distruzione materiale o la trasformazione di chiese, palazzi e castelli per volontà dei conquistatori musulmani, o per terremoti, e dall’altra la dispersione in Europa degli oggetti che poterono essere portati via come immagini sacre, in pittura e scultura, reliquiari, candelabri e codici che in Occidente, spesso finiti in collezioni private, furono dimenticati o finirono per essere considerati di produzione europea.
Il bellissimo codice Ms. Egerton 1139, chiamato “Salterio di Melisenda”, è conservato nella British Library di Londra, dove è conservato dal 1845 dopo l’acquisto in Francia, presso la Grande Chartreuse. Lo si è ritenuto a lungo opera inglese, sia per lo stile di alcune miniature, che per la somiglianza di una sua parte, quella del “Calendario” con Santi della tradizione inglese, con un codice di Winchester.
L’attento studio comparato con opere nate in Outremer, sulla base di affinità stilistiche e calligrafiche, ha dato però la certezza che questo prezioso manoscritto fosse stato realizzato nello scriptorium annesso alla Basilica del Santo Sepolcro che cominciò la sua alta produzione proprio al tempo di Melisenda.
Per “Salterio” - che trae il nome dall’antichissimo strumento musicale di origine orientale che accompagnava le preghiere - si intende un libro di devozione per uso sia liturgico che personale, come è il caso del “Salterio di Melisenda” il cui uso privato è confermato dalle dimensioni ridotte (cm 21,6 x 14). Il Salterio era come il Breviario e i 150 Salmi del Vecchio Testamento vi erano distribuiti nel tempo liturgico a seconda delle ore del giorno, era la “Liturgia delle Ore”, da cui deriverà il nome più consueto del piccolo “Libro d’Ore”, spesso presente come oggetto simbolico e prezioso nella ritrattistica aulica e devozionale del ‘400 in Fiandra e in Italia.
Il “Salterio di Melisenda” è un codice membranaceo (cioè in pergamena), formato da 211 fogli scritti o decorati con miniature, per la cui composizione si sono potute individuare otto “mani” diverse: quattro miniaturisti e quattro amanuensi. Il “Salterio di Melisenda”, scritto in latino, è diviso in quattro parti:
Parte prima
- Scene dal Nuovo Testamento (fogli 1-12), sono 24, dipinte a piena pagina, e costituiscono la parte più ricca dal punto di vista artistico del codice, rappresentano gli episodi più salienti della “Historia Salutis”: Annunciazione, Visitazione, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio, Battesimo di Gesù, Tentazioni di Cristo, Trasfigurazione, Resurrezione di Lazzaro, Ingresso a Gerusalemme, Ultima Cena, Lavanda dei Piedi, Agonia al Getsemani, Tradimento di Giuda, Crocifissione, Deposizione, Compianto, Discesa agli Inferi, Le Tre Marie alla Tomba e la Deesis. Questa sequenza di immagini è posta all’inizio del Salterio, secondo la tradizione occidentale, ma l’iconografia delle stesse segue la liturgia orientale ortodossa con una scelta diversa da quella consueta in ambito romano. In particolare, è rappresentato il Compianto sul Cristo Morto (in Occidente questa iconografia apparirà un secolo dopo) e invece della Resurrezione è illustrata la Discesa di Cristo agli Inferi, l’Anàstasis. Queste miniature su fondo dorato, dal quale emerge il bolo rosso della preparazione, hanno una cornice di elementi vegetali e geometrici che le presentano quasi come un piccolo “tappeto”, all’interno le figure, molto allungate, si evidenziano per ieraticità ed eleganza alla maniera bizantina, mentre le composizioni sembrano ancora dipendenti dall’iconografia tardo-romana di cui conservano un accenno di prospettiva e di dinamismo. Una delle più belle miniature è quella dell’Anàstasis in cui un Cristo-Eroe, con una croce patriarcale in mano simile ad una lancia, trascina con mossa energica Adamo fuori del Limbo, mentre i grandi Re del Vecchio Testamento, David e Salomone, attendono seguiti da grandi personaggi disposti come in una scena di corte. La figura di un Cristo vittorioso sopra le porte infrante degli Inferi, presentate in una sorta di caverna-globo, rimanda alle rappresentazioni di Orfeo che trascina Euridice fuori dall’Ade. I colori dominanti in questa miniatura, come nelle altre, sono il rosso della porpora armena e il blu di lapislazzuli. Nell’ultima pagina miniata è rappresentata la scena della “Deesis”, ovvero “La Preghiera”, in cui Cristo è assiso in trono fra la Vergine e San Giovanni Battista in atteggiamento di oranti che Lo impetrano per l’Umanità. Qui si trova la firma dell’autore: Basilius me fecit, lo stesso nome dell’autore dei coevi dipinti nella basilica della Natività a Betlemme. Forse potrebbe essere la stessa persona, ma questo nome greco era molto diffuso in Outremer anche perché adottato dagli europei; non dovrebbe comunque essere un pittore bizantino, perché sappiamo che artisti bizantini furono inviati in Outremer dal basileus Manuele I Commeno solo dopo il 1170. Si può ipotizzare quindi che l’autore di queste miniature fosse un artista di Outremer, di origine europea, formato sia su modelli bizantini che latini, come i rimandi alla classicità farebbero pensare. Nella tendenza al verticalismo degli edifici di fondo in alcune miniature - come nella surreale entrata di Cristo in Gerusalemme dove l’asino sembra volare fra le ali di folla - si potrebbero riconoscere le alte moli delle antichissime chiese armene in particolare di Santa Hripsimè a Echmiadzin (ved. EOS n°26). L’attenzione al mondo armeno e l’influenza culturale degli Stati armeni confinanti con il Regno di Gerusalemme furono particolarmente forti per la presenza di regine di stirpe armena sul trono crociato, prime fra tutte Morphia e la figlia Melisenda, e per i matrimoni di nobili armene con grandi feudatari, quali gli Ibelin di Tripoli, o i principi normanni di Antiochia.
Sorprende ritrovare citazione di queste immagini miniate, a distanza di più di 150 anni, nella pittura del senese Duccio di Buoninsegna: alcune delle sue tavolette della Maestà, esposta all’Opera del Duomo di Siena, hanno una forte impronta bizantina, anche Duccio dipinge l’Anàstasis invece della Resurrezione e nell’Andata al Sepolcro delle Tre Marie, il suo Angelo è indubbiamente in debito con quello della corrispondente miniatura del “Salterio di Melisenda”. Non si conosce in verità quale percorso questo prezioso codice avesse fatto dopo la caduta di Gerusalemme (a. 1187) in mano a Saladino, e la caduta di san Govanni d’Acri (a.1291) in mano ai Mamelucchi. Fu certamente portato in Europa da personaggi importanti e potenti e non si può escludere che, nel viaggio ipotetico di rientro in Francia lungo la Via Francigena - che era la grande arteria che metteva in contatto attraverso l’Italia l’Oriente con la Francia e il centro Europa - questo famoso e magnifico Salterio non avesse fatto sosta a Siena, importantissima tappa della Francigena, prima di arrivare in Francia dove venne ritrovato solo nella prima metà dell’800. E a Siena avrebbe potuto essere visto e copiato.
Parte Seconda
- Il Calendario (fogli 13 - 21), è molto simile a quello del Salterio della cattedrale di Winchester, vi sono elencati i Santi del giorno secondo la tradizione inglese, e questo aveva fatto ipotizzare una compilazione del “Salterio di Melisenda” in Inghilterra. In verità, come ci insegna il famoso “Vercelli Book*”, che dal XII secolo si trova nella città piemontese, altra importante stazione della Via Francigena, i codici potevano “viaggiare”, portati in particolare da grandi prelati, e forse il Salterio di Winchester poteva essere stato, e forse copiato, a Gerusalemme. I rapporti poi fra l’Inghilterra e Outremer erano allora molto stretti poiché il re Folco d’Angiò, sposo di Melisenda, era nonno del re inglese Enrico II d’Angiò, detto il Plantageneto. Nel Calendario è messo in evidenza il giorno di San Martino, scritto in oro, per sottolineare il grande culto di cui godeva questo Santo sia in ambito latino, che ortodosso e armeno. Sono anche indicate tre date legate al regno d’Outremer: 15 luglio, conquista di Gerusalemme da parte dei Crociati e, significativamente, ma senza l’indicazione dell’anno, 21 agosto e 1° ottobre, giorno della morte rispettivamente del re Baldovino II e della moglie Morphia, genitori di Melisenda. Ad ogni mese corrisponde anche il relativo segno zodiacale, realizzato in stile romanico con forti influenze islamiche.
Parte terza
- Il Salterio (fogli 22 - 196), è il cuore del codice poiché vi sono contenuti i Salmi, scritti con caratteri antichi francesi, con lettere iniziali di ciascun Salmo a tutta pagina in oro su fondo porpora. Queste grandi iniziali mostrano l’influenza dell’arte del Sud Italia dove era forte la componente artistica araba. In questo Salterio, realizzato in Outremer, sembra giungere un riflesso della cultura siciliana, fatta di elementi normanni (inglesi e francesi del Nord) e arabi, vi è lo spunto per una ricerca nella triangolazione Outremer, Francia, Sicilia già avviata da chi scrive per l’affascinante e misteriosa statua della Madonna Nera di Tindari.
Parte quarta
- Preghiere (fogli 197 - 211), sembrano composte per una dama, o una monaca, indubbiamente per un personaggio femminile. Sono rivolte a nove Santi rappresentati in miniatura in stile romanico, sono: la Beata Vergine, San Michele, San Giovanni Battista, San Pietro, San Giovanni Evangelista, Santo Stefano, San Nicola, Santa Maria Maddalena e Sant’Agnese. Tra questi ci sono alcuni Santi (San Michele, i due San Giovanni e Santa Maria Maddalena) che godevano di un culto particolare nell’ambito della devozione crociata e templare.
Il “Salterio di Melisenda” era racchiuso in una preziosa copertina eburnea a due valve riccamente scolpite a forte rilievo, adorne di turchesi e altre pietre preziose, dalla quale è stato staccato. Le due valve, che hanno la bellezza e la raffinatezza di un merletto, forse furono eseguite da due artisti diversi. La costa è di seta ricamata con filo d’argento, opera di un ricamatore crociato su seta bizantina.
Sulla valva frontale, entro medaglioni, sono rappresentate sei scene della vita del re Davide, contornate da episodi della “Psychomachia” di Prudenzio “La lotta dei Vizi e delle Virtù”: un programma iconografico di sprone al Sovrano per un buon governo. Sulla valva posteriore è rappresentato un Re, vestito come un Basileus bizantino, sopra di lui è intagliato un falcone la cui denominazione in francese antico è “fouque”, nome che suona anche come “Folco”.
La presenza di questo falcone può essere la conferma della committenza reale dello sposo di Melisenda. Sotto il falcone c’è la scritta “herodius” che in latino significa girifalco. Il Sovrano è rappresentato mentre compie le sei Opere di Misericordia, secondo la sequenza nel Vangelo di Matteo, e anche questo appare come un invito ad operare nel bene. Ciò che è di eccezionale valore per la storia dell’arte è vedere che tale iconografia appare qui per la prima volta, e a questa sembra ispirarsi l’Antelami nella decorazione dello stipite sinistro del portale principale, o del Redentore, del Battistero di Parma. Questo architetto e scultore aveva avuto contatti con l’arte del Sud della Francia - Provenza e Angiò, dove il Salterio sarebbe potuto arrivare - ma non è da trascurare il fatto che anche Parma fosse strettamente collegata alla grande arteria della Via Francigena. Il Battistero di Parma venne iniziato dall’Antelami a partire dal 1196, nove anni dopo la caduta di Gerusalemme in mano a Saladino e il presumibile arrivo in Europa delle opere d’arte che là si trovavano; la certezza delle date e il ruolo delle vie di comunicazione potrebbero permettere l’ipotesi di una presa di visione diretta del “Salterio di Melisenda” anche da parte del grande artista lombardo. Questo incontro straordinario sarebbe un elemento in più per apprezzare l’arte di Outremer!
Se è, con grande probabilità, identificabile il committente di questa opera “regale”, può con altrettanta sicurezza essere identificata la destinataria: la regina Melisenda.
Nel Calendario sono infatti indicate le date di morte dei sovrani Baldovino II e Morphia, genitori di Melisenda, poi il Salterio è indubbiamente destinato ad un personaggio femminile (si era ipotizzato che potesse anche essere la sorella Yvette, badessa di San Lazzaro di Betania) ma infine, soprattutto, se è così ben identificato il committente nel re Folco, questi non avrebbe potuto destinare la preziosa opera se non alla sua nobilissima consorte, la regina di Gerusalemme.
Quanto alla datazione per la composizione del codice, si possono ipotizzare gli anni dal 1135 al 1144 (e oltre) a partire cioè dall’anno della rappacificazione fra la regina Melisenda e lo sposo Folco, in poi, considerando un giusto periodo di tempo necessario per portare a termine un lavoro tanto impegnativo con un’esecuzione tanto accurata e ricca.
La fusione di elementi stilistici e iconografici provenienti dalla cultura occidentale, da quella bizantina, armena e islamica, che si legge in tutta l’opera, e in sintesi nella straordinaria copertina, rende questo capolavoro affascinante testimonianza di una koinè spirituale ed artistica che nel regno d’Outremer nacque per l’incontro di popoli portatori ciascuno di un’enorme eredità culturale.
Il “Salterio di Melisenda”, se letto e analizzato nelle sue componenti storiche, artistiche ed estetiche, può aiutarci a capire il pensiero, il gusto e la capacità creativa di uomini lontani da noi nel tempo e nello spazio ma vicini nella ricerca di contatti nel nome dell’arte e della fede.
* Vercelli Book, o Il Libro di Vercelli
Ms. CXVII della Biblioteca Capitolare di Vercelli. Questo prezioso codice, scritto alla fine del X secolo, è uno dei più antichi testi in lingua inglese. Contiene in versi e in prosa scritti di carattere religioso e si trova a Vercelli dagli inizi del XII secolo. Forse era stato portato da un pellegrino, probabilmente un alto prelato, in transito per Roma, lungo la Via Francigena, di cui Vercelli era una delle stazioni più importanti.
COMMENTO IMMAGINI
Trasfigurazione
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139
(1135 – 1144 ca)
Londra British, Library
Cristo entra in Gerusalemme
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139 (1135 - 1144 ca)
Londra, British Library
Le Tre Marie al Sepolcro
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139 (1135 - 1144 ca)
Londra, British Library
Le Tre Marie al Sepolcro
(1308 - 1311)
Duccio di Buoninsegna
(Siena, 1255 ca – 1318 o 1319)
Siena, Museo dell’Opera del Duomo
Anàstasi
(La Discesa di Cristo agli Inferi)
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139
(1135 – 1144 ca)
Londra British, Library
Deesis
Salterio di Melisenda
Ms. Egerton 1139
(1135 – 1144 ca.)
Londra British, Library
Le Opere di Misericordia
(Portale del Redentore 1196, particolare)
Benedetto Antelami
(Val d'Intelvi, 1150 ca. -1230 ca)
Battistero di Parma
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