Anno 9 - N. 26/ 2010


I biondi capelli di Lucrezia Borgia terziaria francescana

Qui noi vogliamo presentare brevemente la sua religiosità e particolarmente la sua appartenenza all’Ordine Francescano Secolare o Terz’Ordine Francescano.

di Anacleto Mosconi



Teca di Lucrezia Borgia (Secolo XX, oro e pietre dure)

Alfredo Ravasco

Milano, Biblioteca Ambrosiana

Chi entra nelle luminose ed austere sale della Pinacoteca Ambrosiana certamente volge gli occhi e l’attenzione ai dipinti di grande valore artistico e storico che vi sono esposti e – solitamente – non bada ad un piccolo e prezioso piedistallo a forma di candelabro sul quale una teca rettangolare di cristallo contiene e conserva una ciocca di splendidi capelli biondi.
Ma ci sono pure persone che vi prestano attenzione e si domandano come sono entrati lì e di chi sono, quale donna ha meritato che i suoi capelli fossero collocati fra tanti capolavori della pittura.
La scritta che si legge alla base della teca ci dice che appartengono a Lucrezia Borgia:

THECA.QUAM.A.MDCCCCXVIII.
ALFR.RAVASCUS.CONFECIT.
OPERIBUS.ORNAVIT.
LUCRETIAE.BORGIAE.
ARAGONIAE.CAPILLOS.RETINET.
O.INANES.CUM.INANI.SPE.O.PAENE.
EXSTINCTAE.
RERUM.IMAGINES.ET.FOEMINAE.

Questa donna – nata a Roma nel 1480 – è nota come sorella del famigerato Valentino e più ancora come figlia di colui che più tardi diverrà papa Alessandro VI. Purtroppo tale nascita fu alla origine di tutta una letteratura romanzesca e libellistica che ne ha fatto una donna fatale, considerata la “Messalina del Rinascimento”.
Inoltre la sua decantata bellezza, tale da far scrivere al poeta Ercole Strozzi che chi la guardava “Fit primo intuito caecus et inde lapis”(2) , contribuì a tramandarne nella leggenda popolare una figura intrigante e immorale, che perdura ingiustamente anche ai giorni nostri.
Qui noi vogliamo presentare brevemente la sua religiosità e particolarmente la sua appartenenza all’Ordine Francescano Secolare o Terz’Ordine Francescano. E ciò secondo dati non fantasiosi ma storici, come risultano da una sicura documentazione.
Veniamo così a sapere che Lucrezia fu iscritta al Terz’Ordine di San Francesco “soror de penitentia ordinis sancti Francisci”. E vi fu ammessa dal padre Ludovico della Torre, Vicario Generale degli Osservanti Cismontani, francescano ben noto a papa Alessandro VI, dal quale si sa che ebbe diversi favori spirituali inerenti al suo ufficio e che venne a morte il 3 aprile dell’anno 1502(3).
Dunque l’iscrizione non solo non si può negare, ma è anche possibile precisare che non si può andare oltre quella data, e allora Lucrezia aveva circa 21-22 anni.
Il fatto è sorprendente per la giovanissima e insolita età dell’ammissione alla detta Congregazione, e fa pensare ad una vera e sentita religiosità e non ad un semplice impulso devozionale. E che così dovesse essere ne sarà prova il seguito della sua vita, specialmente nel periodo estense.
Ma già un’importante testimonianza l’abbiamo da una missiva del segretario particolare di Ercole d’Este che dopo un incontro con Lucrezia e “un lungo ragionamento di diverse cose” scrive: “ha ottima grazia in ogni cosa con modestia venusta e onesta; non meno è cattolica, mostra temere Dio, e domani si confessa con l’intenzione di comunicarsi il dì della Natività del Signore”(4).
Il 2 febbraio 1502, dopo l’insuccesso di due matrimoni, Lucrezia a 23 anni entra a Ferrara, sposa del Duca Alfonso d’Este, ammirata e corteggiata nello splendore della sua bellezza. Qui, dopo un inizio di vita brillante, fa succedere allo sfarzo e al lusso una vita “nuova” dedita alle pratiche religiose e con frequenti ritiri nel monastero delle monache Clarisse. E ciò pur adempiendo tutti i suoi doveri e le sue incombenze di moglie e di duchessa, partecipe del governo.
Ne è un bell’esempio un suo personale interessamento in difesa degli Ebrei con l’editto del 28 maggio 1506: “In assenza del nostro Illustrissimo Consorte, abbiamo visto quanto gli scrivete – dice alle guardie che erano intervenute in loro difesa – e vi diciamo che dovete procedere, condannare e punire qualunque faccia ingiuria ad alcun ebreo per quel medesimo modo e forma che fareste contro i cristiani”(5).
La decisa svolta spirituale della sua vita avviene allorché giunge a Ferrara per la predicazione quaresimale nel 1507 un celebre oratore francescano P. Raffaele Griffi da Varese. Qui gli storici fanno subito notare che, fra l’altro a corte, le donne ferraresi si mostrano meno imbellettate del solito, e il Prosperi nel darne notizia alla cognata Isabella scrive: “il pare che madona [Lucrezia] voglia essere la prima che di exemplo a altre”. Lei stessa ne fa cenno in una sua lettera dell’11 marzo attribuendone il merito esplicitamente a “lo nostro frate Raffaele con le sue bone prediche”(6).
Al medesimo frate toccò l’incarico difficile e doloroso di recarle la notizia della morte del fratello Cesare, il famoso Valentino. Leggiamo in una lettera del 23 aprile 1507: “Questa nova fu data alla Signora per frate Raffaele, lo qual talmente seppe dire che tolerò assai bene la gran pena. La resposta che fece la Signora al frate per la nova fo questa: quanto più cercho conformarme con Dio, tanto più me visita de affanni. Rengracio Sua Maestà, sono contenta de quel che li piace”(7).
Seguono anni difficili e minacciosi per il Ducato di Ferrara, specialmente nel 1512 per le imprese guerresche e conquistatrici del giovane generale francese Gaston de Foix e del terribile papa Giulio II.
Inoltre nell’agosto gli giunse la notizia che è morto a Roma il figlio Rodrigo Duca di Bisceglie, che le ricorda la tragica morte del secondo marito.
Si raccomanda alle preghiere di tante persone religiose, tra le quali quell’ispirata e venerata consigliera di tante anime, specialmente tra la nobiltà, la terziaria agostiniana Laura Mignani del convento bresciano di S. Croce. Ecco un brano della lettera che le scrive in data 4 dicembre 1512:
“Reverenda in Christo Madre nostra carissima
Sono stata sin qui ad aspettare tempo di più quiete, acciocché potessimo più compiamente scrivervi, e fare quell’officio che neanche per adesso mi è concesso fare per trovarmi ancora nei travaglij…”. Ricorda di aver ricevuta una sua lettera “piena di ricordi prudenti e santi ed ora saressimo sommamente desiderosi che volesse continuare in quel modo l’inspirasse Nostro Signore Iddio, in quella s’aspetta alla salute nostra e di questo Stato… e la preghiamo voglia raccomandare all’Orationi di quelle Venerande Madri e Sorelle. State sane nel Signore. La Vostra Duchessa di Ferrara.
Di Ferrara, li 4 Decembre 1512”(8).
Frattanto incontriamo a corte diversi predicatori e religiosi tra i quali nel 1513 l’agostiniano fra Antonio Meli da Crema (1449-1528) che dopo le esortazioni ascetiche del francescano le proporrà le vie più alte della mistica.
Ascoltandone le prediche tanto se ne infervora che lo sceglie come suo confessore non solo, ma lo prega che stenda sulla carta le sue pie meditazioni. Il Meli comporrà un’opera dove, nella epistola proemiale dell’introduzione afferma che la duchessa si è “più volte dignata richiedere chio compliasse un libro d’alcuna forma d’exercitio spirituale alla vita contemplativa pertinente per la quale vostra devota sublimià, insieme con le generose e modestissime donzelle, quasi per una spirituale scala, facesse foelice assenso al paradiso…”.
Il manoscritto, dopo la morte di Lucrezia, giunse nelle mani di Giovanna Orsini, moglie di Federico Gonzaga di Bozzolo, duca di Sabbioneta, che lo passò poi alla Badessa di S.Giulia in Brescia, Donna Adeodata Martinengo, perché “se digna farlo stampare”. Nella lettera accompagnatoria la Orsini scrive di aver conosciuto “l’illustrissima e religiosissima Signora Donna Lucrezia Borgia Estense Duchessa di Ferrara” la quale convertita “dal supercilio dell’humana boria… di tanto fervor e zelo di Dio s’accese… e del divino verbo tanto sitibunda era che non solo, non contenta d’un dotto predicatore, duoi predicatori udir voleva: uno la mattina, l’altro doppo il pranso, ma ancor induceva quelli a recar in scripto multe divote dutrine, da quelli udite”.
Il libro uscirà poi stampato a Brescia il 28 giugno 1527 col titolo “Libro di vita contemplativa: Lectione: Meditatione: Oratione: Contemplatione: Scala di Paradiso”, decorato da numerose e interessantissime xilografie. La prima mostra la terra congiunta al cielo dalla scala di un palazzo signorile mentre una donna ne sta salendo i gradini rappresentati appunto dalla lectio, dalla meditatio, dall’oratio, fino alla contemplatio, ossia alla visione beatifica di Dio(9). È la splendida e significativa raffigurazione dell’iter spirituale di questa donna, e l’opera contiene una profonda dottrina teologica, non scritta certo per delle bambole...
È tale ormai la sua condotta veramente cristiana ed esemplare che perfino gli ambasciatori della Serenissima scrivono in un loro dispaccio che intorno a lei “se viveva non solamente cristianamente, ma etiam religiosamente”(10).
Ma a questo punto accenniamo pure a quelle due ombre morali, che le vengono rimproverate dai cronisti e sulle quali si fermano volentieri i suoi biografi, e cioè le sue amicizie col Bembo e col Gonzaga.
Si sa di incontri e scambi di lettere col poeta Pietro Bembo, ed è proprio a lui che lasciò quella ciocca dei suoi biondi capelli che si possono vedere nella preziosa teca di cristallo alla Pinacoteca Ambrosiana. Fu un amore “poetico” che il Bembo dimenticò ben presto allorquando a Roma s’innamorò della bella Morosina Faustina della Torre, dalla quale avrà tre figli. E si sa pure di incontri e di una corrispondenza epistolare cifrata col cognato e marito della celebre sorella Isabella d’Este, Francesco Gonzaga. Come lei, anch’egli era Terziario francescano e troviamo che in una sua lettera gli scrive, preoccupandosi del bene spirituale della sua anima: “Desidero quanto la salute mia propria sentire che la V.S. sia rennovata tutta da qui inanti nel timor di Dio a servitio suo e come buon figliolo de San Francesco, benché indegna come faccio io”(11).
In altra missiva gli scrive: “Desidero vivamente che vi mettiate al servizio di Dio e di San Francesco come faccio io. Riderete di me e delle mie prediche, la colpa è di suor Laura che vorrebbe, a dispetto del mondo, vedermi diventare predicatore e martire… Le espressioni troppo umane che usate nella vostra cavalleresca devozione nei miei riguardi, mi addolorano, perché non mi sembrano convenire alla condizione di fraternità in cui ci troviamo reciprocamente”(12).
Forse nell’uno e nell’altro caso, si trattava di allusioni ed espressioni di una schermaglia amorosa e cavalleresca secondo la moda del tempo, come leggiamo nel famoso “Cortegiano” del contemporaneo Baldassare Castiglione, ben noto a Lucrezia.
Questa donna straordinaria terminerà la sua vita nel dolore di un travagliato parto, che la portò alla morte ancor giovane e bella a soli 39 anni, il 24 giugno 1519.
E scopriamo allora altre sorprendenti e significative testimonianze della religiosità di Lucrezia.
Giovanni Gonzaga, in una lettera inviata da Ferrara il 28 giugno allo zio Federico Gonzaga, scrive: “Qui si dicono cose grandi della vita sua et che da forse dieci anni in qua La portava el silicio et circa due anni che ogni giorno La se confessava, et comunicavasi da tre a quattro volte al mese”(13).
Scorrendo gli inventari della sua biblioteca e quello “delle gioie e delle robbe” troviamo “uno libro de pistole et evangelij vulgari a stampa”, un “Ufiziolo” con testo francescano, diversi ufficioli della Madonna, due breviari, uno dei quali “adopera la Signora”, “uno libro de la lezenda de santi vulgare” , alcune medaglie della Madonna, di S. Francesco e altri Santi, corone del Rosario, una delle quali con la precisazione “corona di aloe signata di pater nostri di oro; al presente adopera la Signora”(14).
Infine tra i suoi libri vanno segnalate due opere di particolare importanza: una monumentale “Vita Christi”, e “uno libro chiamato el dodexe del cristiano, in lingua valentianna, squadernato in tavole, con i suoi fornimenti de hotone, lo tien el Ducha”(15).
Sono state composte, dallo stesso autore, valenzano e francescano spagnolo, vissuto dal 1330 al 1409, di nome Francesco Eiximenis, grande scrittore e teologo, autore di una delle grandi summe medievali, poco conosciuto anche ai giorni nostri.
Il “Dotzé del Cresta” è il dodicesimo libro di quella Summa e porta il titolo “El Regiment de la cosa publica”, perché tratta del governo dello Stato e presenta la figura di un Principe ideale.
Fatta questa premessa si può comprendere la simpatia di Lucrezia per uno scrittore che è della sua stessa terra, parla il suo stesso dialetto di Valencia e fa parte dell’Ordine di S. Francesco.
Inoltre il fatto che nell’inventario si specifichi che “lo tiene el Ducha” fa pensare che proprio lei glielo abbia donato significativamente.
Nell’inventario vengono segnalati pure alcuni cordoni, di uno dei quali è scritto: “cordone di seta berrettina [colore del saio portato allora dai frati Osservanti] grosso cum quattro gruppi [nodi] di oro battuto schietti: facti a cordone de San Francesco”. Non v’è dubbio che si tratta del cordone che lei portava come terziaria francescana.
Inoltre è probabile che il sopra citato “cilicio” del quale scrive Giovanni Gonzaga sia proprio questo da lui confuso e scambiato per tale.
Pertanto pensiamo che quella ciocca di biondi capelli – che hanno ormai quasi mezzo millennio – debba richiamare la figura di una Lucrezia Borgia più grande e vera, certamente meritevole di un buon ricordo.

DIDASCALIE IMMAGINI

Lucrezia Borgia, (1861 ca)
Dante Gabriel Rossetti (Londra, 1828 – Birchington,1882)
Londra, Tate Gallery

Lucrezia Borgia
Bartolomeo Veneziano (1502 – 1555)
Francoforte, Städtische Galerie

Ritratto di Alfonso d’Este (secolo XVI)
Anonimo
Ferrara, Palazzina Marfisa

Ferrara
Xilografia di Michael Wolgemuth
Dal Liber Chronicarum di Hartmann Schedel (Norimberga 1493)

Cartone per un ritratto di Isabella d'Este
Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519)
Parigi, Museo del Louvre, Departement des Arts Grafiques

Ritratto di Cesare Borgia - il Valentino
Altobello Melone
(1490-1543 ca)
Bergamo, Accademia Carrara

Pietro Bembo (1504)
Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 - Roma, 1520)
Budapest, Museo Nazionale

Francesco Gonzaga (1496, particolare
“Madonna della Vittoria”)
Andrea Mantegna
(Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506)
Parigi, Museo del Louvre


BIBLIOGRAFIA
1) Per gentile concessione Civiltà Ambrosiana 17, 432-37, 2000.

2) Biblioteca Nazionale di Firenze, Codice Palatino, 147, 34, Archivium Franciscanum Historicum, IX (1916), p. 446-XXII (1929), p. 547.

3) J. Burckhardt. La civiltà del Rinascimento in Italia. Firenze, Sansoni, 1955, p. 318, n.1.

4) Lettera del 23 dicembre 1501, all’ora sesta del mattino, Archivio Estense, Modena.

5) Editto di Lucrezia a favore degli Ebrei, 28 maggio 1506, Archivio Estense, Modena.

6) A Luzio. Isabella d’Este e i Borgia, in Archivio Storico Lombardo, 42 (1914-15) p. 161.

7) Ibidem, p.152.

8) A. Cistellini. Figure delle Riforma pretridentina. Morcelliana, Brescia 1948. p. 241.

9) P. Guerrini. Il libro delle meditazioni di Lucrezia Borgia e un ignoto tipografo di Gandino. In Memorie storiche della diocesi di Brescia, XXI (1954), pp. 232-233.

10) Ibidem. p. 234.

11) A. Cistellini. op.cit. p. 58, n. 7.

12) P. Torelli. La corrispondenza familiare dei Gonzaga. Roma 1914. p. 22.

13) Archivio di Stato di Mantova. Autografi. cart IV, ff 1262-1272.

14) M. Bellonci. Lucrezia Borgia. La sua vita e i suoi tempi. Milano, Mondadori, 1960. pp. 555-578. Si veda inoltre A. Samaritani. Contributo documentario per un profilo spirituale religioso di Lucrezia Borgia nella Ferrara degli anni 1502-1519. In Analecta tertii ordinis regularis S. Francisci. XIV (1981), fasc. 134, pp. 957-1007 – G. Chastanet. Lucrezia Borgia. La perfida innocente. Mondadori, Milano, 1996.

15) G. Bertoni. La biblioteca estense e la coltura ferrarese ai tempi del Duca Ercole I. Torino, Löscher, 1903. pp. 92-93.