Anno 9 - N. 25/ 2010


OGGI come IERI

I PECCATI DI GOLA: alcuni aspetti delle antiche regole dietetiche

Nei tempi antichi anche l’obesità infantile era fortemente condannata perché predisponeva alla sonnolenza favorendo l’accidia, altro peccato capitale …

di Ambra Morelli



Le tentazioni di una bulimica (Pennsylvania State Fair, 1972)

Foto di Ken Heymann


All’inizio non era così, si mangiava per nutrirsi e basta. Ma, soddisfatte le necessità vitali, al cibo si è riconosciuta via via importanza diversa: significati simbolici, proprietà magiche o medicamentose e riconosciuti anche valori etici e religiosi: “L’obesità impedisce la spiritualità”. Quando il cibo da oggetto di necessità diventa oggetto di desiderio infinito, è peccato di gola cioè uno dei sette vizi capitali e il bisogno di non eccedere per non cadere nel peccato, comportava la moderazione dei consumi. Nei tempi antichi anche l’obesità infantile era fortemente condannata perché predisponeva alla sonnolenza favorendo l’accidia, altro peccato capitale, per cui “…i bravi genitori non promuovono l’ozio e propongono cibi adatti e giuste quantità”. Ai pericoli dell’esagerato nutrimento si contrapponevano le eccessive, quanto esaltanti, rinunce del digiuno, l’astinenza dal cibo come grande atto sacrificale, mezzo per raggiungere la santità. Santa Caterina da Siena fin dall’età dei sedici anni si nutrì di solo pane, acqua e verdure crude, dopo alcuni anni rinunciò al pane cibandosi solo dell’eucarestia, di acqua fredda e frammenti di cibo che, peraltro, succhiava per poi sputarli o ingoiava e vomitava. Anche San Francesco, per sottrarsi ai piaceri della gola, aggiungeva della cenere a pane e acqua per evitare di gustare il cibo, anche se molto semplice.
Peraltro, San Tommaso affermava che “bramare troppo il cibo è peccaminoso ma anche desiderarlo troppo poco, è comunque peccaminoso” dando quindi valore al cibo, in tutti i suoi aspetti edonistici, quale dono di Dio.
I temi della gola e dell’obesità, dell’inappetenza o dell’astinenza e della moderazione, cioè della quantità e della qualità di cibo da consumare sono stati e sono, ieri come oggi, motivo di attenzione. Ippocrate, a proposito delle malattie che l’abbondante assunzione di cibo provoca, affermava che “Quando penetra più cibo rispetto a quello che naturalmente può entrare, ciò è fonte di malattia”. Sull’importanza della moderata refectio anche la Scuola Salernitana si esprimeva indicando: “Mente allegra, giusto riposo e cibo moderato” quali regole da mettere in atto quotidianamente.
Il concetto di cibo sano da consumare con moderazione per garantire il mantenimento di un buon stato di salute è un pensiero che attraversa i secoli. I “Regimena Sanitatis”, diffusi fin dall’antichità e che ebbero fortuna fino al XVIII secolo, dedicano molta parte della loro trattazione alla corretta assunzione di cibi e bevande. Antimo, medico del V secolo d.C., afferma che “la prima causa della salute umana sta nella congruità dell’alimentazione. Questo significa che se dei cibi si fa uso corretto, essi vengono proficuamente assimilati dal corpo”.
Negli antichi trattati di arte medica si individua l’eccesso alimentare come causa di gravi patologie che possono portare alla morte e vi si legge che “gli obesi soffocano a causa di difficoltà respiratorie”. Per arginare i problemi legati all’eccesso di peso, Galeno compone un trattato sulla dieta dimagrante. Nel “De attenuante victus ratione Liber Unus” afferma l’importanza della moderazione del cibo che, come positiva conseguenza, porta al dimagrimento e sostiene che la sobrietà nel consumo di cibo è, di per sé, cura così efficace da non richiedere supporto di ulteriori prassi terapeutiche. La terapia dietetica suggerita da Galeno prevede il consumo di verdura da condire solo eccezionalmente con l’olio in quanto alimento che non favorisce la perdita di peso. Consiglia diverse qualità di pesce e alcune carni indicando i volatili come più adatti mentre consiglia il consumo di parti grasse di animali soltanto se si praticherà del moto: ma non sono, in fondo, gli stessi principi divulgati oggi, nel 2000?
Ovviamente, i principi della moderazione non erano applicati alle classi povere che avevano invece la priorità di riuscire a mettere insieme almeno un pasto quotidianamente, né tantomeno ai malati.
Nella dietetica medioevale, le regole di alimentazione equilibrata si basavano sulla teoria dei quattro umori quali elementi che contribuivano a comporre l’essenzialità dell’uomo: sangue, bile gialla, bile nera e flegma. Al sangue si assegnava la caratteristica di “caldo e umido”, la collera, o bile gialla, era “calda e secca, si contrapponeva il flegma con caratteristiche “freddo e umido” e la melanconia, o bile nera, “fredda e secca”. Le diverse combinazioni possibili degli umori determinavano la variabilità tra gli individui definendo il temperamento di ogni soggetto il cui sbilanciamento era causa di qualsiasi malattia. I quattro elementi presenti in modo armonico invece creavano l’equilibrio. Secondo questi criteri si valutava una dieta per ogni temperamento e se ne teneva conto per ristabilire gli equilibri interni. A riacquistare la salute, si provvedeva quindi con un’attenta selezione degli alimenti.
Già nel ‘300 venivano prescritte diete personalizzate che si formalizzavano in trattati culinari comprendenti indicazioni sulla natura dei cibi, modalità di preparazione e assunzione. Le teorie mediche sostenevano, nei capitoli relativi alla dietetica dei loro trattati, che si dovevano cucinare cibi sicuri per il corpo umano preparati con una precisa scelta e combinazione di alimenti. Al cuoco era chiesto, a questo scopo, di correggere con ingredienti specifici il grado di freddezza o secchezza, calore o umidità a seconda del temperamento della persona che lo avrebbe mangiato. Per ogni cibo si stabilivano i vari gradi umorali così, per esempio, lo zucchero aveva una natura calda umida e il miele caldo e secco.
Uno tra i piatti di perfetta combinazione era il biancomangiare, stimato dai dottori come medicina e pertanto spesso destinato ai malati. I componenti della ricetta rispecchiavano perfettamente il carattere moderato richiesto per l’equilibrio corporeo: la carne di pollo, considerata più vicina alla persona sana, umore caldo-umido, le mandorle pestate, umore caldo-secco, il riso bollito, umore secco e caldo, a volte l’aggiunta della zucchero, chiudeva il cerchio dell’equilibrio: umore caldo e umido. Il biancomangiare è tra le ricette più diffuse e, per genere di ingredienti, variegate, fermo restando i citati ingredienti principali.
Sancita l’importanza dei principi dietetici per la salute umana, i medici prescrivevano diete personalizzate quale modello determinante la salute. Le diete davano indicazioni sulla natura dei cibi, sulla loro assunzione e sulle modalità di preparazione. Nei primi ricettari gastronomici della storia si potevano trovare ricette che, per ingredienti e modalità di preparazione, si potevano considerare “dietetici”. Anzi è ipotizzabile che i primi ricettari di cucina fossero nati proprio per elencare una serie di preparazioni con proprietà curative.
I diversi suggerimenti sui metodi di cottura e le modalità di assunzione regolamentata degli alimenti che si leggevano in questi Regimena Sanitatis, sono stati tramandati nei tempi, e ancor oggi si trovano fissati nelle nostre usanze, o credenze, e tardano a spegnersi.
In un periodo storico, quello medioevale, in cui si paragonava lo stomaco ad una pentola ove cuocevano i cibi ingeriti grazie alla fonte di calore fornita dal sottostante fegato, i medici consigliavano di alimentarsi con cibi facilmente assimilabili e ricchi di proprietà depurative, di mangiare cibi ben cotti, scoraggiando il consumo di verdure crude in quanto, si pensava, potessero creare inconvenienti anche gravi al processo digestivo. Anche l’acqua, elemento non considerato molto salutare perché proveniva da fonti spesso inquinate, si pensava potesse provocare disturbi allo stomaco, e si consigliava di berla a piccoli sorsi. Il vino, ritenuto asettico, non poneva grossi problemi.
Le zuppe calde avevano il compito di “aprire” lo stomaco (ancor oggi si fa e si dice così) mentre le preparazioni più sostanziose avrebbero “chiuso” lo stomaco come una sorta di coperchio sulla pentola e consentito la digestione in ambiente “sigillato”.
In epoche più recenti del medioevo, si applicavano anche “cure” mediche alternative alla dieta per salvaguardare la salute di personaggi poco propensi alla moderazione a tavola. Tra i tanti, Luigi XIV di Francia, grande mangiatore, al quale i medici provvedevano ad eliminare la sovrabbondanza alimentare quotidiana, facendogli liberare, con il vomito e con i clisteri, il canale gastroenterico. Per bilanciare la grande quantità di cibo “riscaldante” i medici del Re Sole suggerivano di contrapporre cibi “refrigeranti” quindi sorbetti all’italiana, cocomeri, meloni ghiacciati, e champagne di Reims freddo da bere in abbondanza.
Durante il ‘700 la medicina inizia ad avere nuovi orizzonti grazie alle nuove scoperte scientifiche ed un’interpretazione meno empirica delle cognizioni mediche: si inizia a comprendere il funzionamento del corpo umano e poco alla volta si lasciano i concetti della medicina umorale per accedere considerazioni mediche scientificamente verificabili e questo vale anche per la dietetica anche se i concetti che, come abbiamo visto arrivano da un lontanissimo passato, faticano ancora oggi a lasciare il campo alla verità delle cose, tra questi: la dieta in bianco, il brodo di pollo per i malati, il non bere acqua durante il pasto, e via dicendo.
Ancor oggi persistono, nella mente di molti, valori indistruttibili quali simboli di alimentazione salutare, opinioni stereotipate, comportamenti cliché, e pregiudizi dietetici legati al cibo che, quasi fossero impressi nel materiale genetico umano, ci si porta dietro fin dall’antichità.