Anno 9 - N. 25/ 2010
CAFFÈ DELLE MUSE
Sabine Messeg
di Francesco Piscitello
Sabine Messeg
Ho conosciuto Sabine Messeg al festival internazionale “Traghetti di poesia” di Cagliari dello scorso aprile e, ascoltata la sua lettura, ho deciso subito di chiederle il testo per farlo conoscere in Italia, inizialmente attraverso EOS che lo pubblica per prima. Approfitto anche dell’occasione per ringraziare la Provincia di Cagliari per il privilegio che mi ha voluto riservare invitandomi a parteciparvi e per l’ospitalità accogliente e generosa, che conferma la meritata fama di quella bella isola.
Sabine è una poetessa assai nota nel suo paese e moglie di uno dei principali pittori israeliani. Quando si sono sposati non disponevano di una casa: perciò hanno piantato una tenda - proprio così - sulla sponda del lago di Tiberiade e sono andati a viverci. Adesso, ma sono passati decenni, hanno una casa vera, figli (uno di loro è soldato, come si vedrà) e, intatte, le inquietudini di un tempo.
Poco prima di venire a Cagliari Sabine ha partecipato ad un altro festival in Israele, dove quelle inquietudini si sono incrociate, integrate, amalgamate, confrontate con quelle di numerosi altri poeti israeliti e palestinesi.
Realtà composita e variegata, quella di quei luoghi, che noi siamo abituati a guardare col binocolo alla rovescia e a distinguervi soltanto i due contendenti che ingaggiano una lotta decisa, aspra, senza sfumature. Non è così o non è solo così. Non ho titolo né competenza, e d’altra parte non sarebbe questa la sede, per una riflessione approfondita su questo tema. Preferisco affidare il compito ai versi di Sabine che, come spesso accade con la poesia ed è anzi il suo specifico, con sintetica ed emozionata eloquenza riesce a disegnare la drammatica contraddizione della guerra quando dai campi di battaglia si sposta nelle profondità dell’anima dove innesca un diverso ma non meno crudo conflitto.
SOLDATO
Adesso mio figlio cammina nel buio lungo il paese:
si esercita per il peggio.
Il mio buon figlio, il mio tenero
[figlio,
principe protetto dal mondo volgare
dentro una cassaforte che naviga
in un diluvio senza tregua,
mio figlio,
al quale non ho raccontato la fiaba [di Cappuccetto Rosso
per non spaventarlo
con un ventre squarciato,
[con i cacciatori,
ora avanza nella selva
con tutta la forza della sua anima.
Impara ad essere
lupo.
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