Anno 1 - N. 2 / 2002


IL COLERA IN LOMBARDIA NEL 1836

Le prime disposizioni di Sanità Pubblica a Paterno Dugnano, Cassina Amata e Palazzolo

di Matteo Cornaggia



Filippo Pacini (1812 - 1883)


rattare del colera oggi può sembrare anacronistico: un argomento da storia della medicina se non vera e propria “archeologia sanitaria”.
E’ vero soltanto in parte, prima di tutto perchè, ancora oggi, la malattia colpisce migliaia di persone nei paesi in via di sviluppo ma, soprattutto, perchè la medicina, in ogni epoca, pur trovandosi di fronte ad agenti patogeni diffe-renti, deve fare i conti con le malattie infettive epidemiche affrontando, con mezzi nuovi, problematiche simili.

Il colera è una malattia infettiva intestinale ad andamento epidemico, con decorso grave e spesso mortale, causata da un batterio, il Vibrio cholerae o vibrione.
Il germe elabora una tossina che, danneggiando la mucosa intestinale, causa una diarrea profusa con disidratazione ed alterazioni dell’equili- brio elettrolitico che possono portare a shock mortali.
La malattia sembra originaria della regione del delta del Gange in India ma, a partire dal 1817, sono state osservate almeno sette pandemie, epidemie a diffusione mondiale.
In Europa la malattia comparve solo nel XIX secolo causando, tra il 1829 e il 1937, più di un milione di vittime in Russia, Germania, Gran Bretagna e Francia.
Il primo caso di colera in Lombardia si ma- nifestò a Bergamo in Borgo San Leonardo, il 23 settembre 1835. A Milano l’epidemia iniziò nell’aprile dell’anno successivo, propagandosì poi velocemente, sia nella città che in provincia con la comparsa dei primi caldi estivi: alla fine di settembre, nella sola città, i soggetti contagiati erano oltre 1500, di cui circa 1000 morirono.
In tutta la Lombardia nel 1836 i casi notificati furono 57.177 con 32.015 morti.
E’ interessante osservare come, fin dalla primavera del 1836, le Autorità emanassero di-sposizioni urgenti nel tentativo di arginare il diffondersi dell’epidemia. In una Regia Ordinanza, rivolta ai distretti VI e VIII, corrispondenti agli attuali comuni di Paderno, Dugnano, Incirano, Cassina Amata e Palazzolo, si trovano, infatti, disposizioni molto dettagliate e di particolare attualità, riguardanti differenti aspetti di “igiene pubblica”.
L’isolamento dei soggetti infetti:
“I malati di cholera si trasporteranno alle case di soccorso appositamente istituite ed agl’ospedali in luogo. Saranno eccettuati da questa misura coloro i quali fossero aggravati per modo che non potessero a giudizio del Medico essere trasferiti senza evidente pericolo della loro vita (...). I malati che rimarranno nelle loro abitazioni, come pure le persone della famiglia destinate ad assisterli saranno posti sotto sequestro. I sequestri si porranno con tutta la prudenza e quiete a cura delle Autorità comunali, e si avvertirà di non estenderli ai casi di semplice sospetto. Agli ammalati miserabili posti sotto sequestro dovranno somministrarsi gratuitamente il vitto per la loro assistenza. Nel caso che fosse a temersi che il sequestro non venisse a osservarsi, si porranno delle guardie di sanità per l’assicurazione del medesimo.”
Le visite di controllo:
“S’invigilerà attentamente dalle Congregazioni e Deputazioni comunali che ogni ammalato qualunque del Comune, durante la malattia contagiosa, sia visitato dal Medico malgrado che l’ammalato non lo ricercasse.”
La polizia mortuaria:
“I cadaveri degl’individui affetti da malattia contagiosa si porteranno direttamente dalla casa al cimitero”
La disinfezione di immobili, mobili e biancheria:
“Appena seguito il trasporto degli ammalati all’ospedale, si procederà all’espurgo dei loro effetti, non meno che dei luoghi in cui giacevano (...). Gli espurgo delle abitazioni particolari e di tutti gli altri locali in cui saranno state ricoverate le persone affette da malattia contagiosa si eseguiranno nel modo seguente: si chiuderà esattamente la stanza in ogni sua parte, sicchè non resti alcuna apertura, eccetto quella della porta d’ingresso. Si useranno i vapori di cloro svolti da una soluzione di cloruro nell’acqua entro vasi aperti da collocarsi in diverse parti del locale da spurgarsi. Questa operazione potrà essere eseguita da un commesso di sanità o da un infermiere a tale scopo istruito dal medico Casanova Giulio, di Paderno. La stanza si terrà chiusa per la spazio di 24 ore; in appresso, aperte porte, si pulirà la stessa, e le immondizie si bruceranno o si sotterreranno a discreta profondità, si laverà con forte panno il pavimento e si darà il bianco con latte di calce alle pareti, alla soffitta, alle porte, finestre ed a tutto quanto di stabile si troverà nella stanza. Le biancherie che avranno servito ai malati di cholera s’immergeranno per alcune ore in soluzione di cloruro di calce entro apposito tino prima di essere consegnate al bucato”.
Ma se le ordinanze danno un’idea di come opera la Sanità Pubblica dell’epoca, è soltanto l’esame di documenti più semplici, quali la corrispondenza fra Don Gatti, parroco di Cassina Amata, ed il Cardinale Gaisruk che consente di gettare uno sguardo sulla vita quotidiana del tempo.

A Cassina Amata, infatti, i casi di colera sono soltanto una decina ma creano grossi problemi logistici, poichè, come spiega Don Gatti in una lettera:
“L’Imperial Regio Commissario (...) venne Egli stesso per vedere se si poteva finalmente trovare questo luogo sufficiente e sano per il necessario stabilito Ospedale Comunale” .
Nessuno, tuttavia, sembra disposto a cedere dei locali per ospitare i malati:
“Nè per quanto vi siano diffatti in questo Comune locali che forse sarebbero atti a questo scopo i padroni dei detti locali chi per timore, chi per un motivo chi per l’altro tutti si scusarono coll’Imperial Regio Commissario di concedere qualche parte di questi loro palazzi e case per ricoverare i miseri cholerosi”.
Ed è lo stesso Don Gatti ad offrirsi di accogliere i malati:
“Allora il sottoscritto parroco che per rispetto alle superiori autorità locali si trovava presente a questi diverbi, almeno, disse, potessi io ricoverare questi infelici cholerosi nella mia casa parrocchiale che ben volentieri lo farei”.
La proposta suscita l’immediato entusiasmo dei presenti:
“Ma pure la sua proposta fu appena pronunciata che tosto dall’Imperial Regio Commissario, dai Signori Deputati convenuti e dal Signor Dottore di condotta fu accettata con trasporto di gioia”.
Non tutti i cittadini sono, tuttavia, della stessa opinione:
“Alcuni parrocchiani sì di Cassina Amata che di Cassina Nuova (...) si lamentarono perchè essendo la casa parrocchiale nella quale si dovrebbe fare l’Ospitale de cholerosi vicino alla chiesa parrocchiale, temono di prendervi detto male più facilmente. Un bottegaio poi al di là della piazza e di contro detta casa parrocchiale avente molte famiglie si protestò dei danni che egli soffrirebbe col perdere gli avventori per timore del vicino Ospitale de Cholerosi”.
Il parroco, allora, divenuto incerto e temendo “uno zelo imprudente” si rivolge al Cardinale Gaetano Gaisruk che, in termini assolutamente perentori, si oppone all’iniziativa:
“Tocca alla Comune di pensare ad un locale per uso d’ospedale. Il Parroco non può e non deve cedere a questo fine la casa parrocchiale, particolarmente quando è vicina alla chiesa pel più pronto servizio, e quando sono altre case vuote, di abusare poi della sua bontà non conviene, ed il Governo non lo permetterà.” (1)

Il quadro delinato appare di singolare attualità: le epidemie, infatti, si combattono non soltanto con le misure di Sanità Pubblica, ma facendo i conti con le diffidenze, le inquietudini e la ge- nerosità degli uomini, oggi come allora.


Filippo Pacini (1812 - 1883) nel 1835, ancora studente, presso la Scuola medico-chirurgica pistoiese, presentò una relazione illustrata sulla scoperta dei corpu-scoli dei nervi digitali che oggi porta il suo nome. Studiò l’istologia e fece ricerche sulla patolo-
gia del colera: vide e disegnò per primo il vibrione che fu poi descritto, nel 1884, da Koch come agente patogeno del colera. Gli scritti autografi del medico pistoiese si trovano nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.