Anno 1 - N. 2 / 2002
UOMINI & PAROLE
La fine di Esculapio
di Roberto Zacco
Tutti i medici sanno che Esculapio era il Dio della Medicina ma pochi, credo, conoscono la sua vera fine così come la si apprende dalla mitologia greca.
Figlio di Apollo e quindi nipote di Zeus, imparò l’arte medica dal centauro Chitone ed in essa divenne così bravo da superare il maestro giacchè giunse addirittura a risu- scitare i morti.
Si poteva immaginare una vittoria più grande per un medico?
Gli uomini lo veneravano per questo, ed i suoi beneficiati gli riservarono naturalmente immensa gratitudine e divini trionfi e probabilmente lui si aspettava un’analoga benevolenza anche dal nonno.
Zeus invece quando seppe di ciò si adirò moltissimo, lo accusò di voler rompere l’equilibrio del mondo ed allora gli scagliò addosso un fulmine e lo uccise.
La mitologia è sempre ricca di suggestioni ma in questo caso ci invita ad una riflessione davvero interessante.
Sebbene la Scienza Medica non sia ancora arrivata a risuscitare i morti, è riuscita però, con una sequela di gloriose vittorie, a più che raddoppiare la vita media dell’uomo e quindi a quintuplicare in un secolo la popolazione del pianeta. Non è stato, per caso, un rompere quell’equilibrio del mondo così caro a Zeus?
È dunque davvero giusto e utile ciò che sembra tale?
Perseguire senza sosta e senza controllo tutti gli obiettivi che la scienza si pone è davvero cosa saggia?
Gli antichi non la pensavano così. Loro che erano tanto digiuni di conoscenza scientifica mostravano tuttavia una saggezza che è a noi sconosciuta. Avevano un sentimento della natura che istintivamente li poneva in guardia dal violarne i misteri ed i confini.
Ben si accorda alla severa sentenza di Zeus nei riguardi dell’abilissimo ed intraprendente nipote una poesia egizia dell’epoca ramesside, in cui è detto:
Non essere curioso;
non guardare un posto che devi ignorare,
non interrogare Dio
Dio non ama l’uomo che si avvicina troppo a lui,
essendo uno che vede la sua condotta.
Guardati dall’alzar la voce nella sua casa:
Dio ama la tranquillità.
Non allungar le mani sul grano del suo granaio:
i suoi diritti sono davanti a lui.
Non essere avido di alcuna sua cosa.
Questa poesia nella letteratura egizia spicca per l’insolito uso della parola “Dio” giacchè la sostituisce a quelle imposte dal rigoroso politeismo del tempo che avrebbe reso più logico il termine di “Un Dio” o di “Dei”.
Ma va anche ricordato che la parola egizia “Dio” non accompagnata da alcun identificativo (in geroglifico che si translittera in “ntr” e si pronuncia “neter”) secondo qualche studioso sarebbe alla base della parola Natura.
La discendenza etimologica potrebbe essere la conferma di quella specie di originale sincretismo ideologico e sentimentale tra il concetto di Dio e quello di Natura che certamente ha coinvolto Egizi, Greci e Romani ma che, col passare dei secoli, nel mondo cristiano è andato indebolendosi parallelamente alla crescita della conoscenza fino ad estinguersi del tutto nella nostra epoca.
E per chi ama ritrovare ogni verità nella Bibbia vale ricordare che proprio in essa riecheggia la raccomandazione della suddetta poesia egizia in termini ancor più perentori:
“ Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio” (Deuteronomio 29, 28).
Viene da chiederci allora che cosa sia più importante per l’uomo tra la conoscenza e la saggezza.
L’età moderna sembra non aver dubbi in proposito, ha scelto solo la conoscenza.
Ma Zeus non si arrabbierà?
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