Anno 7 - N. 21/ 2008
“In verità nulla nasce e nulla muore, perché ciò che è, è da sempre e per sempre”
PARMENIDE DI ELÉA
“medico”
“L’essere è, il nulla non è”
di Euro Ponte
Da sinistra: Pitagora, Ipazia, Parmenide ed Eraclito
Parmenide visse ad Eléa, la romana Velia, tra il VI e V secolo a.C. Eléa, colonia di Focea, all'epoca faceva parte della Lucania, ora della Campania. Molteplici documenti attestano una tradizione locale nei secoli inerente l'arte medica. Si parla infatti di Scuola medica eleatica e la città stessa viene riconosciuta come sede di una Scuola dedicata a Apollo Ulios, divinità già valorizzata dai Pitagorici.
All'epoca, i Pitagorici si erano diffusi da Crotone e avevano raggiunto le varie città della Magna Grecia.
A maggior documentazione, è verosimile che, ad Eléa, ci sia stato anche un Asclepieo, riconoscibile in resti ritenuti, anni fa, appartenenti all'agorà. Un'epigrafe riporta "Parmenide figlio di Pireto, dedito al culto di Apollo Ulios" ovviamente senza una necessaria identificazione con il nostro Parmenide, il filosofo. Anche in epoca romana rimase alla regione la fama di una buon esercizio della medicina e non è del tutto escludibile che la Scuola Medica Salernitana, molto più tardi, possa aver trovato terreno fertile per il suo sviluppo in una cultura già da sempre recettiva alla medicina.
Parmenide scrisse "Sulla Natura", tematica comune ad altri filosofi, in qualche modo definiti dagli storici della filosofia come "presocratici", identificando esplicitamente la physis all'essere, che è contrapposto al non essere, che non esiste. Ma Parmenide viene anche chiamato "medico". Verrà attribuito a Parmenide infatti il titolo di "physicós" termine che, da Aristotele in poi, indicherà i filosofi, che avevano ricercato intorno alla physis. Una fonte del primo secolo a.C. afferma che, in Italia, tale titolo caratterizzava anche i medici.
Ma che rapporto lega questo pensatore alla medicina? Nulla ci è stato tramandato, infatti, di una sua professionalità "medica" quale noi la intendiamo, anche se non possiamo escluderla, certo le fonti sono in tal senso mute.
Come si situa Parmenide, e con lui i filosofi che scrivono "sulla Natura" nell'ambito della storia del pensiero in medicina?
Dobbiamo scorrere, a grosse linee, diversi modi della conoscenza dell'arte medica. In Grecia, l'approccio iniziale alle malattie ed ai malati è simile del tutto a quello delle grandi civiltà viciniori e contemporanee. Le grandi civiltà mesopotamiche, quella del Nilo, hanno una visione prevalentemente magica e religiosa che non si modificherà sino all'estinguersi delle civiltà stesse. Anzi il tempo che passa produrrà un arricchimento dei miti più che delle conoscenze pratiche, in un intricato mondo di dèi, di maghi, di sacerdoti, ove sembra che la razionalità si perda ed ove è difficile districare ed identificare ciò che noi chiamiamo medicina da ciò che è fatto religioso, da ciò che viene e risale a dio o agli dèi.
Anche in Grecia quello che viene considerato sapere medico si pone tra religione e mito, attraverso costruzioni, peraltro non univoche, nel trascorrere degli anni che oscillano tra momenti di chiarezza e momenti caratterizzati dall'irrompere di nuovi miti e di nuove tradizioni. Vi è sicuramente una componente prettamente religiosa che si identifica in divinità ben caratterizzate, Apollo in primis, dio della bellezza, della musica, della salute, ma anche dispensatore cieco di morte, o entità diverse come il centauro Chirone, esperto di farmaci.
La conoscenza della prima fase storica della medicina greca deriva fondamentalmente dalla tradizione omerica, dell'Iliade prima e dell'Odissea dopo. In ambedue i poemi sono identificabili i due aspetti della medicina antica, quello concreto e quello spirituale. Nei poemi vengono, con molta precisione descritte lesioni ben caratterizzate che interessano spesso la traumatologia di guerra, ferite da spada, da lancia, da freccia e da sasso, ecc. sulle quali si interviene in modo altrettanto concreto (bendaggi, applicazioni di lenitivi) o malattie che vengono dall'esterno, inspiegate ed inspiegabili, dalle divinità, e che quindi richiedono un approccio di tipo religioso (pentimenti, implorazioni, sacrifici, ecc.).
Con il passare dei secoli, con il maturare della civiltà e con lo sfuocarsi dei miti, si impone una medicina "istituzionalizzata" e correttamente canalizzata nell'ambito religioso attraverso la figura di Asclepio, il simbolismo ctonio del bastone e del serpente, il riconoscimento di una progenie di Asclepio stesso, peraltro già presente nella descrizione omerica (Macaone e Podalirio, Igea e Panacea) attraverso un ben codificato rituale, un contenitore-teatro (l'Asclepieo), personaggi, di varia gerarchia, deputati alla terapia. L'approccio al problema "malattia", in tal modo, ha un successo enorme nel mondo greco e poi, nel mondo ellenistico, per scomparire, molto in là, solamente davanti al preponderare, talora violento, del cristianesimo.
Un terzo modo di approccio si ha nel V secolo a.C. all'acme della cultura greca. è il momento di Ippocrate (nato nel 460 a.C.) e della separazione della medicina dalla filosofia (per dirla con Celso). Questo evento, forse meno chiaro ai contemporanei di quanto lo sia a noi, caratterizzerà per sempre la cosiddetta medicina "occidentale" quella cioé che ci è propria, derivante dal pensiero di Ippocrate, o comunque della Scuola che a lui si ispira. Fatto condizionante la salute e la malattia è come l'uomo si interfaccia con la Natura, con ciò che lo circonda, con l'aria, con l'alimentazione, con il suo modo di essere, di comportarsi. La sacralità è ininfluente mentre un valido regime di vita servirà alla prevenzione ed alla cura delle malattie. L'interpretazione data da Ippocrate alla malattia è rivoluzionaria e non ha corrispettivi in altre civiltà dell'epoca.
Tra queste diverse visioni, in parte cronologicamente successive, ma più spesso parallele, vi è uno hiatus non solo temporale ma vi è un nuovo tipo di ragionamento, anch'esso rivoluzionario, di cui sono protagonisti i filosofi cosiddetti presocratici. In fondo la Scuola Ippocratica fa propri i concetti di Anassimandro e di Anassimene, in particolare per quanto riguarda la teoria degli opposti e l'importanza dell'aria. Nascono la speculazione medico-naturalistica e i vari contributi di pensiero sulla Natura.
Merito di Parmenide è di aver valorizzato la realtà di ciò che è: egli afferma infatti che il mondo visibile e molteplice è un mondo innegabile e reale. Non è certamente un mondo nel quale sia facile orientarsi. Gli dei o il destino hanno consegnato agli uomini un mondo necessariamente da interpretare, le cose che sono nascono, crescono, mutano, si dissolvono, trascorrono nel tempo. Questo accade nell'ordine della Natura. In verità nulla nasce e nulla muore, perché ciò che è, è da sempre e per sempre. Ma come ciò è compatibile con un sapere medico che mette ogni giorno davanti al divenire ed al mutare?
Tra l'ottavo secolo e il sesto a.C. vi sono in Grecia personaggi, in qualche modo diversi dai pensatori colti dei paesi vicini. Questo gruppo di persone indaga attorno alla Natura, e l'indagine si svolge con il logos. Nasce, quindi, qualcosa che non ha più bisogno del mito, o, se il mito viene mantenuto, è solo per semplificazione esplicativa. Nasce, e questo è il punto fondamentale, l'elaborazione su basi naturali di principi razionali: nasce la percezione, l'osservazione, l'esperimento, tutte cose che ci devono orientare tra la moltitudine ingannevole delle sensazioni. Va tenuto conto, ovviamente che il mondo greco, se aveva intrapreso il difficile cammino di questa metodologia mancava ancora del tutto di una concreta possibilità di passare dalla soggettività all'obiettività. Appena con la nascita della Scienza ciò sarà possibile.
Parmenide si presenta, nell'ambito della physis come un radicale innovatore e un pensatore rivoluzionario. Era in corso, nell'approccio medico, una mutazione positiva, essendo il pensiero naturalistico-medico una disciplina religioso-sapienzale, fondantesi sulla dottrina pitagorica dei numeri e sulla teoria degli opposti, sostenuta dai filosofi della pyhsis. Non sarà infatti del tutto aliena alla medicina la dottrina di Pitagora che ricerca, con qualche rigidità, la purezza dei corpi e la diligenza nell'assunzione di cibo. Nasce con questa filosofia il concetto di regime (ricordiamo, nelle stesse terre, il molto più tardivo "Regimen Sanitatis" della Scuola Medica Salernitana) come equilibrio armonico tra corpo, anima e cosmo. Parmenide afferma che una deduzione dai fenomeni è possibile, partendo dalla coppia di opposti, opposti ambedue esistenti. La morte, in tal senso, non è un ritorno al non essere, che non esiste, ma è un diverso modo di essere. Delle cose invisibili hanno conoscenza solo gli dèi, noi, mortali, possiamo solo fare congetture, per cui è necessario distinguere la sensazione dal pensiero. La conoscenza sensibile è illusoria e può trarre in errore, porta alla via delle opinioni, l'intelletto porta a conoscere, come prima sicurezza, che l'essere è e il non essere non è, la realtà è continua e una, l'archetipo è la sfera e solo il logos concede di seguire una via rigorosa. Ciò ha anche dei risvolti pratici: si tramanda che il discepolo di Parmenide, Empedocle, liberasse Selinunte da una pestilenza, raccomandando la bonifica del terreno e Agrigento, per lo stesso motivo, prescrivendo fumigazioni.
Infine, più tardi, la tradizionale competizione fra filosofia e medicina nella conoscenza della Natura, trova in Aristotele la costruzione di un poderoso edificio che conduce, per i successivi secoli, la medicina all'interno della filosofia della Natura.
Ed è per questo che sino alla rivoluzione scientifica, e, nella didattica, sino alla fine Settecento, la medicina sarà legata alla filosofia, spesso in un unico corso di studi, legame che, alla fine, verrà visto non più come elemento di progresso ma di ottusità e freno alle novità. In sintesi finale, essendo proprio degli dèi il possesso, certo e totale, del vero, i filosofi, amanti della sofia, dovevano essere per ciò stesso medici, avendo consapevolezza delle scienza della Natura. Solo il filosofo della Natura poteva passare tra la dottrina degli elementi primari, le qualità fondamentali della materia, e il concetto di eucrasia o discrasia, legato alla stato naturale del corpo, sano o malato che fosse.
La filosofia è, quindi, necessaria per comprendere l'interezza della realtà e dell'essere, il metodo è l'uso della razionalità nella logica. Il che appare lontano dall'esasperato tecnicismo di oggi.
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