Anno 7 - N. 20/ 2008
Oggi come Ieri
TUTTO GRASSO CHE COLA!
L’obesità si sta allargando a macchia d’olio nei paesi avanzati che hanno alte disponibilità economiche, ma sta estendendo le sue braccia nocive in tutto il mondo.
Se ne parla ovunque [...]
di Ambra Morelli
Foto di Pal Nils Nilsson
Tra i tanti mali che ci portiamo dal secolo precedente, e si preannuncia diventino molto più gravi in questo, c’è l’eccesso di peso corporeo, problema che riguarda un numero sempre maggiore di popolazione. Siamo solo agli inizi del secolo ma già le previsioni del dilagare di quella che viene definita epidemia, sono catastrofiche, con la prospettiva di una spesa sanitaria in esponenziale salita e le possibilità per risolvere o arginare la diffusione del sovrappeso praticamente irrisorie rispetto alla velocità con cui si presentano nuovi casi.
L’obesità si sta allargando a macchia d’olio nei paesi avanzati che hanno alte disponibilità economiche, ma sta estendendo le sue braccia nocive in tutto il mondo. Se ne parla ovunque, sia nell’ambiente scientifico, che cerca di capirne i meccanismi biochimici e comportamentali per individuare una soluzione, sia tra i profani di complessi intrecci metabolici che discutono alternative più o meno sensate, più o meno fantasiose.
Sicuramente alla base dell’aumento di peso, c’è la quantità eccessiva di cibo consumata rispetto al dispendio energetico giornaliero. Quindi oggi si mangia di più e ci si muove di meno rispetto al passato. Si mangia di più? è difficile crederci perché l’impressione media della gente è quella di mangiare poco, eppure è così: “mangio il primo o il secondo e mai tutto insieme”, “salto il pranzo”, “evito la prima colazione”, “rinuncio al pane”, “i dolci li faccio in casa”, “non uso più il burro”, ”mangio poco” ecc. Ma cosa vuol dire “mangio poco”, chi ha ben in mente quale sia la quantità consona, la giusta porzione di cibo? Se un tempo la “porzione” era tutto ciò che più si riusciva a mangiare in quella specifica occasione, visto che le occasioni non erano poi moltissime, oggi è invece necessario ragionarci su. Prima di parlare di porzione bisogna capire che i cibi apportano sostanze nutrizionali calcolabili in un alcune decine di elementi fondamentali, di importanza vitale e la scienza nutrizionale è oggi in grado di stabilire quali siano le quantità compatibili col mantenimento di un buon stato di salute: per la popolazione italiana, la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), ha fatto ricerca, ha studiato e stabilito i Livelli di Assunzione Raccomandati di Energia e Nutrienti (LARN) che periodicamente aggiorna. SINU ha anche proposto un’analisi delle porzioni degli alimenti più utilizzati, cosa quanto mai complicata perché non esistono dei contenitori definibili standard, dei veri riferimenti. Lo stesso cucchiaio da tavola, utilizzato spesso come metodo di misura nelle ricette di cucina, ha una variabilità notevole, basta farsi un giro in un negozio di stoviglie ed osservarne le varie tipologie. Allo stesso modo anche dare una definizione di porzione non è facile, tecnicamente viene spiegata come “l’unità pratica di misura della quantità di alimento consumata”, ma una porzione adeguata è anche un concetto più articolato perché, oltre a soddisfare le necessità nutrizionali deve anche tener conto della densità energetica, dell’aspetto edonistico e delle tradizioni alimentari di chi le consuma e aggiungerei, il senso di sazietà. Un esempio pratico di come il mondo scientifico consideri la porzione è l’espressione di quote di cibo nella cosiddetta Piramide Alimentare, dove la formulazione del numero di porzioni non è relativa alla quantità in grammi di alimento ma la proporzionalità di un gruppo alimentare rispetto agli altri. Ecco che allora sulla base della piramide compaiono i cereali, indicandone quindi una corrispondenza di maggior consumo nell’arco della giornata nei confronti di gruppi di alimenti che sono collocati all’apice della stessa come i dolci o i grassi. Per la gente comune però la porzione è esclusivamente “quanto ho nel piatto” e la quantità non è sempre solo riferita ai bisogni ma all’abitudine al consumo di un determinato alimento o all’importanza, anche solo gustativa, che gli si attribuisce. Per la gente comune la porzione, per esempio, è quella proposta dai produttori di cibi pronti che indicano sulla confezione quanti piatti si possono fare con il quantitativo contenuto in essa, in pratica in quanti ce lo dividiamo. Generalmente è il quantitativo per due o tre porzioni ma, talvolta, in considerazione che dopo quella busta di cibo pronto non si mangerà altro, questa verrà consumata da una persona sola. Sull’onda di questo esempio potremmo discutere anche di molti altri prodotti che, per esempio, vengono venduti in confezioni “convenienza”, cioè un gran numero di porzioni vendute in grosse scatole e pertanto considerate quasi una vendita all’ingrosso: convenienza economica? forse, convenienza nutrizionale? quasi mai. La grande disponibilità di cibo non ha mai frenato alcuno a consumarne con parsimonia! Tempo fa ci fu una campagna delle autorità sanitarie del nostro Paese perché anche i ristoranti riducessero le porzioni servite. Il problema però non è rappresentato dall’occasionalità di consumo ma il perpetuarsi di brutte abitudini che sono quelle che si praticano quotidianamente. E poi, tutto sommato in Italia siamo ancora ragionevoli su questo fronte. Andando oltreoceano il problema si moltiplica. Negli Stati Uniti le porzioni medie di cibo venduto sono, rispetto alle nostre abitudini, stratosferiche per non parlare poi di quando queste vengono proposte nella loro misura maxi: uno sproposito! Un banalissimo sandwich, tra quelli di più piccola dimensione, qualcosa che possa essere considerato uno spuntino, ha un’altezza di 12 cm, salse comprese, un american coffee circa mezzo litro, un succo di frutta più di mezzo litro, un muffin almeno 300 grammi, ecc. E, siccome, questi cibi non sono particolarmente sazianti anche se ricchi in calorie, non se ne mangia una “porzione” se ne mangiano due, o magari di più.
New York si mobilita e il sindaco Bloomberg, nell’intento di promuovere uno stile di vita salutare, dopo aver vietato l’uso di alcuni tipi di grassi nei ristoranti della città ha anche indicato come obbligatorio, per tutte le catene di ristoranti, locali per il breakfast o comunque luoghi di ristoro della Grande Mela con più di 15 sedi nel Paese, cioè un terzo dei numerosissimi locali della città, di informare i propri clienti circa i contenuti calorici dei vari piatti proposti dai loro menù.
Così ognuno può decidere la miglior convenienza salutistica o il maggior intasamento delle proprie arterie: l’ignoranza delle informazioni nutrizionali non sarà, pertanto, una scusa per mangiare i piatti più energetici. Ma non tutti sono tesi al sacrificio nutrizionale per risparmiare calorie, per cui ecco che esistono in questi menù anche enormi panini da 1500 calorie (doppio hamburger e strati di formaggio) con un contenuto di grassi di centoundici grammi, pari a 2/3 delle calorie totali del “panino”, quantità di grassi che potrebbe essere considerata adeguata se consumata in tre giorni, pizze – le chiamano così - da 2300 calorie con contenuto di grassi di centosessantadue grammi: come mangiarsi un panetto da due etti di burro in un colpo solo! Per non parlare del contenuto di sodio, circa cinque grammi cioè la quantità considerata limite per il consumo giornaliero di tale sale minerale, o dell’apporto proteico sovrabbondante, e tutto in un’unica, singola porzione. Oppure un piatto di super-patatine ricoperte di salse e formaggio che raggiungono la stratosferica quantità calorica di 2900 calorie che sono più o meno le necessità caloriche giornaliere medie di un giovane uomo che svolga assidua attività sportiva. E tutte queste calorie
sono disponibili a pochi dollari!
In Italia la situazione è fortunatamente un po’ diversa anche se ci si sta avvicinando a questo. Le confezioni di prodotti alimentari, o le porzioni di essi, si stanno ingrandendo: il vasetto di yogurt può oggi contenere 25 grammi in più rispetto allo standard abituale, il formaggio cremoso dai 5 ai 10 grammi in più e un biscotto può arrivare a 15 grammi. Di questi pochi grammi di aumento nella confezione insistentemente consumati, non ci si accorge altro che dopo alcuni chili di peso guadagnati: la verità della bilancia la si scopre a distanza di qualche mese. Ci salva, per la verità, la nostra cultura alimentare, la nostra gastronomia e le nostre abitudini per cui è più radicata nella mentalità italiana l’abitudine ad orari stabiliti per il pasto e non mangiare a qualsiasi ora, l’abitudine a considerare la pasta come il piatto preferito, al mangiare verdura e frutta che non sono alimenti ad alta densità energetica e a considerare i super-sandwich statunitensi o le super patatine farcite di cheddar-cheese dei fast-food, o il dolce super-size o le mega-pizze che colano grasso come cibo spazzatura. Ma i gusti cambiano, o possono cambiare. Se si osservano le abitudini dei giovani o i loro gusti influenzati da mal addestrate papille gustative, si può pensare che secoli di tradizioni gastronomiche possano venir bruciati in pochi anni di orrende abitudini che andranno a moltiplicare il numero di possibili concorrenti per il concorso di Miss Cicciona o Mister Ciccione d’Italia. In una delle ultime edizioni di questo partecipato festival del grasso, la vincitrice del titolo ostentava un peso di 198 chili, e le altre concorrenti extra-large non scendevano comunque sotto i 130: non penso che questo sia l’obiettivo o il modello a cui riferirsi. L’educazione alimentare, che è una delle strategie per combattere l’obesità, può molto aiutare ma non solo facendo considerazioni sul cibo “vietato” o sul cibo “consentito”, oppure concentrandosi sulla diatriba se la pasta o il pane fa ingrassare ma soffermandosi sull’opportunità di spiegare il concetto semplice e nel contempo complicato, ma salva-vita, di “porzione” come intimo dettaglio che può fare la differenza e che spesso rimane informazione disponibile solo al mondo scientifico.
|