Anno 7 - N. 20/ 2008


DIVAGAZIONI DI UN MALACOLOGO

ll complesso mondo delle conchiglie

Ricercatore di rara esperienza nel campo della malacologia, l’Autore, studioso di biologia e di medicina, presenta una sintesi del suo pensiero in un campo di studio che consente di sviluppare temi non solo scientifici ma anche psicologici e filosofici: un argomento affascinante e in genere poco noto a chi non si avventuri su queste spiagge…

di Sergio Angeletti



Nautilus


COME TI SFORNO
LA CONCHIGLIA RARA

I mercanti di conchiglie (da secoli maestri i Filippini) non hanno dovuto aspettare l’ingegneria genetica per realizzare in laboratorio delle specie nuove, inesistenti in natura e quindi rarissime, ovvero costosissime.
Loro le specie ‘transgeniche’ le assemblano e le sfornano da secoli: magari mettendo letteralmente le conchiglie al forno, o le ‘assemblano’ trapiantando le chiocciole da una conchiglia all’altra.
Crisi di personalità. Una chiocciola che ‘nel mezzo del cammin della sua vita’ non ha cambiato sesso (sono già ermafrodite), ma ha cambiato specie. Come un felino la cui metà anteriore sia da leone, fulvo e con criniera, e quella posteriore da tigre, gialla a strisce nere. Un ibrido (tipo mulo da asino e cavalla) sarebbe un misto, non due parti così diverse unite assieme.
Come facevano, visto che il trucco di queste conchiglie eccezionali risale già a un secolo e mezzo fa? Semplice: il falsario prende, ad esempio, una giovane chiocciola ‘vignaiola’ (Helix pomatia), le spacca (delicatamente) la conchiglia che ha addosso tenendo pronta una conchiglia vuota di chiocciola ‘giardiniera’ (Helix aspersa) di adatta misura, in cui introduce (delicatamente) il corpo denudato della prima. Se il falsario è bravo, la percentuale di attecchimenti è buona, le povere chiocciole sopravvivono proseguendo ad accrescere come propria, coi colori e i disegni della propria specie, la conchiglia della specie ‘donatrice’, conferendole così la ‘doppia personalità’.
Questo vien fatto (anche recentissimamente se ne stan vedendo esempi) pure con specie marine: così il (laborioso, quanto innaturale e fasullo) innesto di due conchiglie del valore di 5 € l’una sulle bancarelle di souvenir da spiaggia, diventa un ‘pezzo da collezione eccezionale’ pagabile dai 400 € a 500 € e più.
Sfornare rarità. Le conchiglie messe al forno cambiano colore. ‘Virano’ come le foto elaborate al computer. I colori chiari svaniscono del tutto: si ottengono così rarissime ‘varietà albine’, quelle marroncine diventano di un bel giallo dorato (varietà ‘golden’ !?!), quelle nerastre arrivano al rosso aranciato. E i prezzi passano da 25 + 150 € prima della (truffaldina) cottura a magari 1000-5000 € dopo.
Impreziosimenti dentistici. Le cure dentistiche sono costose: applicate alle conchiglie ne accrescono favolosamente il prezzo. Le strumentazioni con cui vengono (delicatamente) scolpiti i nostri denti vengono usate per intagliare nelle conchiglie strutture inusitate, far apparire strati di colore sottostanti (i cammei sono fatti così), e con la pasta da calchi si modellano bordure, frondosità e spine fuori della norma, e anormalmente alti diventano anche i prezzi, rispetto agli esemplari non mistificati.
In conclusione: le conchiglie possono dare tanta gioia e svago, ma tranne che per i mercanti professionisti, non sono un buon tranquillo investimento.

CONCHIGLIE E ALIMENTAZIONE

Fa bene alla mente, e fa bene anche al corpo: le carni contenute nelle conchiglie di Molluschi Conchiferi sono in sé e per sé un alimento sano, di elevate caratteristiche nutrizionali: un nonnulla di grassi – fra cui gli omega 3 ‘anticolesterolo’ – e molte sostanze proteiche e minerali (c’è più ferro qui che in qualsiasi altro animale mangereccio, per dirne una).
Salvo ben pochi casi, circoscritti e precisi, se mangiando Molluschi dopo si sta male, la colpa è dell’uomo: o del singolo che ne ha fatto, per sua ingordigia, indigestione, o di chi non ha avuto scrupolo a distribuirne di avariati, o di quella specifica attività umana che è l’inquinamento. Da questo ultimo punto di vista in particolare, i Molluschi non danno se non quello che hanno ricevuto, per cui lasciarli vivere in ambiente sano, secondo natura, significa trarne un cibo appetitosamente sano, mentre farli vivere nel luridume significa inevitabilmente trasformarli in un concentrato di tossicità: anche se sicuramente, in certi momenti, sono attribuite loro più colpe (comunque indirette) di quante non siano concretamente in grado di averne.
Anzi: studi stimolati in parte da questo tipo di accuse e sospetti hanno messo in luce, a partire dagli anni Sessanta che la mercenina, principio attivo estratto dalla grossa “fasolara” delle coste atlantiche nordamericane, e poi anche europee, la Mercenaria mercenaria, ha proprietà antitumorali; laddove il paolin, estratto da orecchie di mare (gen. Haliotis), è molto efficace contro ceppi batterici pennicillo-resistenti come Staphylococcus aureus (vari processi infettivi), Streptococcus pyogenes (scarlattina e angina, febbri reumatiche), Salmonella typhi (tifo) e i bacilli paratifoidei A e B, mentre in via sperimentale si dimostrano capacità addirittura antivirali insite nelle ostriche.
Venerupina, callistina, murexina, conotossina, saxitossina, “mitilitossina” sono altrettanti prodotti farmacologici che si ricavano da corrispondenti Conchiferi, cioè rispettivamente Venerupis (vongola), Callista (fasolara), Murex (murice), Conus (cono), Saxidomus (“fasolara”californiana), Mytilus (cozza), e hanno proprietà antielmintiche, antibiotiche, neurobiologiche, vitaminiche, proprio nell’ambito del cui studio il Nobel per la medicina Charles Richet pervenne alla scoperta dei fenomeni anafilattici. Né va dimenticata la Geukensia demissa, cozza striata delle coste atlantiche nordamericane, vero concentrato di provitamina D, sulla cui estrazione, allevandola, la Du Pont de Nemours ha accresciuto ancor più le proprie fortune.
Anche i secreti delle comune chiocciole e lumache (Helix, Cepaea, Arion) hanno proprietà di neutralizzazione, agglutinandoli, di ceppi batterici legati alla pertosse e a certe forme di asma bronchiale, o possono servire per rapidi test da campo per la distinzione dei gruppi sanguigni umani.
I Molluschi Conchiferi possono dunque dare molto sia sul piano culturale sia su quello gastronomico sia su quello medico scientifico: dipende solo dall’ Homo sapiens Superstar lasciar che tutto questo ben della natura continui a dar frutto.

NUOVE SOSTANZE DAL MARE

Oggi, sul filone della tetrodotossina, 160.000 volte più potente del curaro, i neurofarmacologi e i neurofisiologi usano la conotossina, il veleno prodotto dalla specie tropicali più grosse del genere Conus. Dal 1844, quando si è cominciato a tenerne un registro ufficiale, sono una quindicina le persone uccise dai Conus, trafitte dai dentini-freccette che sputano dalle loro proboscidi-cerbottana. è una morte atroce perché si tratta di un veleno “algesiogeno” capace cioè di scatenare puro dolore di intensità assoluta. L’omega-conotossina interviene in questi casi a livello dei centri cerebrali preposti alla rilevazione della sofferenza, provocandone un picco tanto elevato da indurre l’organismo a liberarsene disinserendo i propri circuiti: così il decesso avviene per sincope cardio-respiratoria.
Questa tossina è di fatto un peptide che agisce “strozzando” le cellule nervose ossia occludendo nelle loro membrane gli specifici canali ionici per il necessario afflusso-ricambio di calcio biochimicamente attivo. Per entrare più in dettaglio, blocca selettivamente i canali VOC (voltage operatine channels, canali che operano in base alla differenza di potenziale) di tipo N (ossia neuronali, perché presenti esclusivamente nei neuroni), i quali per attivarsi richiedono normalmente forti correnti bioelettriche di depolarizzazione, che però il veleno di Conus interrompe. La disponibilità della conotossina sta permettendo di analizzare, mirare e dosare meglio le terapie neurologiche e cardioneurologiche con i farmaci calcio-antagonisti già in uso, ad esempio, per l’ipertensione arteriosa e le cefalee.
Usando questa tossina a dosi infinitesime (milionesimi di grammo) per bloccare questo o quel neurone o gruppo di neuroni per frazioni istantanee è possibile studiare le connessioni nervose agendo come un elettricista che, ignorando lo schema di un impianto, ne interrompa alternativamente i vari contatti constatando via via quali collegamenti restino esclusi, ricostruendo in tal modo il loro reticolo funzionale.
Uscendo dalla farmacologia marina, ma rimanendo nel campo dei molluschi, dalle chiocciole terrestri è possibile ricavare sostanze utili per campionare il sangue trasfusionale determinandone rapidamente, ma con estrema precisione, il gruppo. Infatti in diverse specie sono state identificate particolari proteine , le agglutinine, studiate dal farmacologo giapponese Hideo Sawada (con la collaborazione di chi scrive) che reagiscono selettivamente con il sangue umano dei diversi gruppi.

CONCHIGLIE E PSICHIATRIA

Anche fra i conchigliologi c’è un modo di dire: “Per diventare collezionisti di conchiglie non è necessario essere pazzi, ma certamente aiuta”. Gli psichiatri, che trattano più spesso con i sani che con i malati di mente, trovano – in particolare quelli statunitensi di scuola bostoniana – che il collezionare conchiglie sia una psicoterapia ideale per coloro che soffrono di affaticamento mentale, di ‘esaurimento nervoso’ o di forme lievi di psiconevrosi, dove sostituisce benissimo, e meglio, gli psicofarmaci, i tranquillanti.
“Questo passatempo – affermano – risulta specialmente efficace nel caso di persone che conducono una vita ritirata, o senza un’occupazione stimolante o vittime di complessi frustranti.”
“La raccolta di conchiglie è anche apprezzabile in quanto può essere un’attività collettiva, cui possono partecipare vari membri della famiglia, una “terapia di gruppo” che realizza una migliore intesa”.
La prima messa a fuoco da parte degli psichiatri è partita negli USA da Boston, da esperienze (su basi di fondo freudiano) condotte con reduci del Vietnam, mentalmente esausti per i combattimenti bellici e interiori vissuti.
La relazione apparve anche in una serie di articoli su “American Imago”a partire dagli anni ’70. Grazie a ciò la “conchigliopsicoterapia” è progressivamente entrata a far parte dei procedimenti familiari alla maggior parte degli psichiatri di scuola bostoniana più osservante.
I malacologi però, lo sapevano fin dall’inizio: il primo libro dedicato esclusivamente alle conchiglie fu pubblicato a Roma (Parigi) nel 1681 col titolo Ricreatione dell’occhio e della mente nell’Osservation’ delle Chiocciole.

LA MIRABILE CHIOCCIOLA
DI NEW YORK

Certo la diffusione, grazie a roulottes e campers, del gusto di ‘viaggiare con la casa’ ha reso meno peculiare l’immagine della ‘chiocciolina che ha sempre con sé la sua casetta’, da cui indurla a uscire con appropriate filastrocche.
Ma nel frattempo, a sua volta la casa delle chiocciole, la loro conchiglia, ha viaggiato per la Scienza e la Tecnica rilasciando interviste intime sempre più approfondite, suggerendo proposte sempre più mirabili.
E proprio una mirabile conchiglia - che si chiama proprio così: Thatcheria mirabilis - potrebbe vantarsi di aver ispirato una delle meraviglie di New York e del Mondo intero: il Guggenheim Museum, che raccoglie tanti tesori della pittura moderna esposti lungo una galleria costituita di un’unica rampa spirale che si svolge per tutti i suoi piani.
L’architetto di fama cui la costruzione è dovuta, Frank Lloyd Wright, si giustificò di aver copiato da una conchiglia affermando che “è abitazione di un ordine inferiore di vita, ma è un’abitazione che possiede esattamente quello che a noi manca: una forma ispirata”.
Che Wright, nel suo stile tendente al molto semplice, si rifacesse a influssi giapponesi lo dicono perfino le enciclopedie.
E lo dice altrettanto la Thatcheria mirabilis, il cui pedigree è solidamente radicato nel Sol Levante.
Lì si rinvennero i primi (inizialmente rarissimi) esemplari, lì era già, per la sua forma, fra i frutti più preziosi, più amati e rispettati del veneratissimo mare nipponico: nella sua tanto stagliata struttura i giapponesi identificavano un non incidentale simbolo perfetto di erto sentiero in ascesa dalle estese profondità subacquee in cui la loro isola è radicata, fin su alle coste e di lì sino al culmine della vetta del sacro Fujiyama, alla maestà del Trono Imperiale ovvero al Sole.
Ma al di là di questa smagliante bellezza, in che modo la conchiglia ha fatto sospettare e confermato a ingegneri e architetti l’efficacia tecnologica della propria struttura?
Usiamo un po’ di parole più familiari per chi dalle considerazioni estetiche vuol passare alle caratteristiche tecniche che se ne possano ricavare: ‘bellezza’ e ‘tecnica’ non sono affatto in contrapposizione fra loro.
Le conchiglie ne sono una dimostrazione vivente: le loro curvature si sviluppano in complessi modularmente opposti, sì da bilanciare le forze di trazione e compressione cui vengano sottoposte. Ovvero: le curve di espansione del loro accrescimento si collocano in piani perpendicolari a quello della spirale di accrescimento, il che ha l’effetto di rinforzarne le proprietà statiche.
Nelle conchiglie, insomma, abbiamo dei precisi modelli di forme ‘autostabili’: la cui resistenza dipende dalla forma stessa. Grazie a ciò, esattamente come nei gusci d’uovo (d’uccelli) è possibile uno spessore anche molto ridotto.
Analogamente le conchiglie sono strutture isotrope: le loro modalità di crescita garantiscono le stesse proprietà di resistenza in ogni punto e indipendentemente dalle dimensioni.
La Thatcheria mirabilis, in particolare, prima di ispirare architetti, e far riflettere ingegneri, aveva sin dal proprio arrivo in Occidente meravigliato (!) i naturalisti.
Infatti il primo esemplare di Thatcheria mirabilis noto alla scienza fu descritto nel 1877 ai membri della Società Zoologica di Londra da George French Angas, con tali parole: “Questa conchiglia assai rimarchevole, praticamente diversa da qualsiasi altra cosa incontrata sinora, è stata recentemente portata dal Giappone dal Signor Charles Thatcher”.
La struttura peculiarissima della Thatcheria mirabilis, di cui non si conobbero in Occidente altri esemplari per una cinquantina d’anni, sino agli inizia dei ‘Trenta’, (quando anche in Giappone si intraprese l’uso delle reti a strascico di profondità per la pesca di aragoste e canestrelli), aveva anche fatto supporre che quel primo unico soggetto, solitario dunque per ben mezzo secolo, fosse null’altro che un’anomalia: “Che questa conchiglia sia una mostruosità scalariforme (quando i giri conchigliari sono anormalmente allungati e svolti in fuori), è fuor di dubbio, ma quale possa essere la sua forma normale non è ancora accertato.
“Ho visto l’unico esemplare a Londra, nel 1887, e sono immediatamente rimasto convinto che la forma conica, l’appiattimento superiore degli anfratti e l’incisura del labbro fossero tutti dovuti ad un accrescimento distorto”, scriveva nel suo incompiuto Manual of Conchology: Structural and Systematic il malacologo americano George W. Tryon, dell’Accademia di Scienze Naturali di Filadelfia.
Nel nostro secolo, la rarità della Thatcheria mirabilis aveva comunque ancora ‘tenuto’ dagli anni Trenta ai Cinquanta, poi sono iniziati i ritrovamenti anche non più nipponici, a Formosa e Filippine. Vive, ormai né rara né comunissima, sui fondali circalitorali finemente sabbiosi e fanghigliosi, fra i 55 ed i 400 metri di profondità: il suo fascino è rimasto giusto nell’aspetto.

L’ASSAGGIATORE MANGIA
LA FOGLIA

Lo si è visto in decine di (vecchi) film: un misero tapino trascinato su dalle segrete e tremebondo è costretto ad assaggiare i cibi imbanditi per il Signore (margravio, barone etc.), inghiotte, e dopo qualche istante stramazza.
Il Potente è salvo, la realtà storica molto meno.
Perché quella degli Assaggiatori anti-avvelenatori era una professione ben precisa e di alta specializzazione, dati i Borgia e affini che giravano per le corti medieval-rinascimentali.
Gente che aveva già ben messo a punto dei veleni che oggi definiremmo ‘retard’, ovvero “mangi oggi e sballi dopodomani” o pure fra una settimana: come insegna la ‘sindrome orellanica’, dall’ingestione dei Cortinärius all’exitus renale conseguente ne possono passare anche 15 di giorni.
Questi erano i tossici che gli avvelenatori seri usavano, e la cui presenza gli Assaggiatori veri dovevano poter scoprire nonostante il mascheramento di ben scelte spezie.
Ci sta in pieno il paragone con chi si studia di ingannare gli spettrometri anti-doping con sostanze che ne ricoprano di picchi innocenti i tracciati.
E prendendo un altro esempio dall’attuale mondo dello sport, gli Assaggiatori erano dunque tutt’altro che dei poveracci, bensì dei tecnici ricercatissimi, che i Potenti si ‘rubavano’ l’un l’altro a suon di ‘ingaggi’ favolosi, come oggi i Presidenti del calcio fanno con gli allenatori di successo...
Ed era gente allenata gli Assaggiatori: chi non sapeva far bene il proprio lavoro, mantenendosi sempre aggiornato sulle sempre più raffinate tecniche attossicatorie, prima che il licenziamento dalla corte rischiava il licenziamento della propria vita.
L’aggiornamento era non meno biologico che culturale: occorreva mantenere valida la propria mitridatizzazione, ampliandola verso gli ultimi ritrovati degli avvelenatori, e corrispondentemente evolvere il proprio strumentario professionale di contravveleni.
E qui si capisce perché “mangiare la foglia” è sinonimo di ‘capire che c’è sotto un inganno’: gli Assaggiatori si tenevano accanto, durante il lavoro, dei mazzetti di erbe antidotarie, e quando gli pareva che nei cibi che avevano assaggiato potesse esservi qualcosa di sospetto, innanzitutto mangiavano le erbette più opportune per neutralizzare al massimo il rischio che correvano personalmente.
Così già prima di qualunque altro responso formale, questo loro gesto di ‘mangiare le foglie’ antidoto era segnale sufficiente perché il Signore affidasse pro tempore la propria fame a alimenti di origine ancor più controllata.

I SOMMERGIBILI: TECNOLOGIA VECCHIA DI 370 MILIONI DI ANNI

Sembra il particolare d’una eccentrica turbina, invece è quello dell’organo idrostatico d’un animale sottomarino: il Nautilus.
Che funziona come un attuale sommergibile, ma grazie ad una tecnologia messa a punto almeno 370 milioni di anni fa.
L’interno delle conchiglie dei Nautilus è infatti suddiviso in 35-40 (a seconda delle specie) concamerazioni (paragonabili a camere stagne) di cui le parti carnose dell’animale, simile ad una seppia ancestrale con 60-90 tentacoli collosi, occupano solo quella maggiore, l’ultima cresciuta e terminale, che sbocca infatti all’esterno. Tutte le altre contengono invece una quantità di gas (prevalentemente azoto) variando volontariamente la cui pressione fin di un centinaio di atmosfere attraverso un’apposita tubatura (sifuncolo), questi animali riescono a variare così la densità complessiva del proprio peso specifico. Realizzano in tal modo rispetto all’acqua che li circonda un preciso organo idrostatico: che gli permette la navigazione subacquea verticale senza dover nuotare, quindi con un ridottissimo dispendio energetico.
Quando si cerca di spiegare ciò, la gente subito deduce che i Nautilus siano stati chiamati così per la forte somiglianza che essi hanno col sottomarino ‘profetizzato’ da Jules Verne. Invece la denominazione ‘Nautilus’ risale già ad Aristotele (382-322 a.C.) e la sua determinazione zoologica ufficiale a Linneo nel 1758, mentre il funzionamento idrostatico (comunque non così assoluto come lo si dice) della loro conchiglia era già stato segnalato dal gesuita Filippo Buonanni nell’anno 1681. Per primo, nel suo Ricreatione dell’Occhio e della Mente nell’Osservation delle Chiocciole, afferma: “...descrivendo le sopraddette Concamerazioni, ... pur ho trovato essersi ciò tralasciato da tutti. Io per ora mi do a credere, che ad altro non servano, fuorché per aiutare nel moto l’animale, e far che possa equilibrarsi su l’acqua...”.
Si dirà allora che Verne, essendogli divenute note queste capacità naturali tipiche dei Nautilus, immaginò e chiamò da essi il sottomarino di Nemo, perché da essi l’aveva brillantemente intuito. Al contrario: la fantasia di Verne va in questo, come in tanti altri casi, ampiamente ridimensionata. Infatti già nel 1801 un vero inventore, l’americano Robert Fulton aveva battezzato ‘Nautilus’ il suo ‘battello sommergibile’ siluriforme monoposto, che aveva anche proposto a Napoleone per l’invasione subacquea a sorpresa dell’Inghilterra attraverso la Manica.
Il ‘Nautilus’ di Fulton si immergeva imbarcando, in appositi recipienti isolati, l’acqua che, successivamente, veniva pompata fuori quando si voleva riemergere.
Ma la cultura di Verne probabilmente non si spingeva tanto particolareggiatamente indietro, altrimenti avrebbe sfruttato lo spunto prima. Invece a lui occorse che nel 1866 venisse presentato da Campbell ed Ash un secondo ‘battello per immersione’ nuovamente denominato ‘Nautilus’, nel quale la sommersione ed il controllo della profondità avvenivano per mezzo di vere e proprie ‘camere di allagamento’ comandate da grandi stantuffi, che servivano a risucchiare tanta acqua quanta bastava per far scendere al livello desiderato lo scafo e mantenerne poi l’assetto. Per risalire l’acqua veniva rispinta fuori.
Il libro “Ventimila leghe sotto i mari” venne pubblicato nel 1870, cioè 4 anni dopo la presentazione del secondo sottomarino ‘Nautilus’ e 69 dopo il primo: Verne aveva visto o sentito dire, non previsto.
Ma in un Nautilus dimezzato c’è molta più scienza e tecnologia oltre quelle che siano servite per adombrare i sommergibili: c’è una spirale logaritmica (o equiangolare), anticamente detta spira mirabilis, perché possiede l’importante proprietà di ridiventare sistematicamente se stessa mediante un gruppo continuo di similitudini: come simbolo di vita oltre la morte, James Bernoulli (sì, quello della legge...) diede ordine di scolpire sulla sua pietra tombale nel duomo di Basilea un spira degna d’un Nautilus circondata dalle parole “Eadem mutata resurgo”, ovvero ‘pur trasformata, rinasco sempre simile a me stessa’.
Ricordiamo che la retta e la circonferenza sono tecnicamente casi limite della spira mirabilis. La simmetria dei Nautilus ne offre un esempio meravigliosamente perfetto: non solo vi si può vedere la spirale logaritmica nella sua continuità, ma la sequenza potenzialmente altrettanto infinita delle concamerazioni configura anche intuitivamente l’evolversi dalla circonferenza alla retta.
E dello spazio nel tempo: a spirale, come le galassie...
Di una bestia tanto peculiare piace alla gente pensare che sia anche a) rara e sopravviva b) negli abissi più profondi dalla notte dei tempi. Non è proprio così del tutto.
Vediamo.
La specie più comune, il Nautilus pompilius, è tanto a) comune che i pescivendoli filippini ne smerciano annualmente migliaia di tonnellate a scopo alimentare, ed altrettanto avviene nel mondo papuasiano; b) questo genere d’animali vive in tutto fra i 50 e i 650 metri di profondità, e le più antiche forme di Molluschi Cefalopodi nautiloidi note risalgono a 370 milioni di anni a.C. (per i dinosauri occorrono altri 160 milioni di anni), ma i diretti antenati dei Nautilus attuali sono di appena 180 milioni di anni fa, mentre l’animale in sé campa una decina d’anni.
Solo tre sono le specie del genere Nautilus che risultino attualmente sopravvissute, La più comune è certamente in Nautilus pompilius, diffuso dalle Ryukyu (Giappone) alle Filippine e Micronesia e sino alle Figi, da adulto senza ombelicature sulla conchiglia.
Molto meno comune il Nautilus macromphalus, tipico dei mari della Nuova Caledonia ed Isole Loyalty, caratterizzato da un ombelico declive e non pervio/perforato.
Nelle acque della Nuova Guinea orientale, l’arcipelago Bismarck e fino alle Salomone vive il Nautilus scrobiculatus, raro nelle collezioni e caratterizzato da ombelico pervio e digradante come a scalini.
La diffusione dei Nautilus, specialmente del pompilius, va comunque valutata restrittivamente, poiché quando muoiono smettono di comportarsi come sottomarini e le loro conchiglie non precipitano a fondo, anzi proprio a causa del gas contenuto nelle concamerazioni salgono invece a fluttuare a mezz’acqua, preda così di correnti che le trasportano anche molto lontano dai luoghi di vita effettivi, ad esempio nel Mar Arabico e fin in Somalia.
Come loro posto nella Natura, i Nautilus conducono vita collegata ai fondali, nutrendosi preferibilmente di crostacei e di pesci morti oppure morenti.
Con le conchiglie, molate fino allo strato madreperlaceo, gli orafi barocchi fecero coppe sontuosissime.