Anno 7 - N. 20/ 2008
La bellezza e il suo valore simbolico nei ritratti dei grandi maestri
LA MODA FEMMINILE NELL’ARTE
Tra Rinascimento e Barocco l'abbigliamento femminile raggiunse il massimo della sua bellezza e del suo valore simbolico. dalle opere di Tiziano, Rubens e Velasquez splendide dame, austere o maliziose, si affacciano nei loro magnifici abiti ornati di gioielli preziosi per dare testimonianza, attraverso il tempo, della cultura, del gusto, della ricchezza e della potenza delle loro famiglie e del loro rango.
di Giuseppina Malfatti Angelantoni
Eleonora di Toledo
col figlio Giovanni
(dettaglio)
La moda, intesa come foggia dell'abbigliamento, è un fenomeno di natura estetica che, pur essendo nato dall'esigenza primaria dell'uomo di coprire un "corpo imperfetto", o indifeso, è diventato poi desiderio di distinguersi nel "gruppo", sottolineando il proprio ruolo o la propria dignità, con un aspetto seducente.
La moda è divenuta in anni recenti oggetto di studio da parte di una disciplina rigorosa quale la semiologia o semiotica che, per quanto riguarda la pittura può, attraverso lo studio dei "segni", aiutare lo storico dell'arte a leggere in profondità i testi figurativi.
I "segni"- cioè i dettagli e lo stile del vestire, le guarnizioni, le acconciature, i gioielli ed altro - si trasformano in "messaggi" e la ritrattistica, in particolare, può divenire allora importantissima documentazione storica dando informazioni sul gusto, il costume, la cultura e la condizione economica dei committenti e del loro ambiente, in un determinato luogo e in un determinato periodo storico.
La moda fu nelle antiche culture più appannaggio maschile che femminile, nascendo nei grandi centri di potere legati alle sfere del sacro e dell'autorità statale, notoriamente, salvo rarissime eccezioni, in mano agli uomini. Spesso nel corso della storia la moda fu soggetta ad attacchi da parte di fustigatori dei costumi quali Giovenale, i Padri della Chiesa o lo stesso Dante Alighieri: la moda veniva condannata per la sua connotazione di vanità e perché privilegiava nell'uomo più l'apparire che l'essere. Unica eccezione - moda da non condannare - erano gli abiti di Re e Imperatori oltre quelli rituali del Clero, in quanto simboli di regalità e divinità. Le ultime grandi condanne della moda furono, nel '500 e nel '600, le leggi suntuarie emanate da Re e Governanti (spesso dietro consiglio della Chiesa), per proibire l'eccesso di lusso nell'abbigliamento, onde evitare che famiglie o gruppi si rovinassero a causa di spese eccessive per abiti e accessori.
La moda, rimasta a volte immutata per lunghissimi periodi di tempo, a partire dalle origini, in quanto legata alla permanenza dei simboli, diventerà un fatto privato e un fenomeno molto mutevole solo col Rinascimento italiano quando i Signori delle molte Corti vollero emanciparsi dall' autorità antica dell'Impero e della Chiesa, intendendo creare un modello laico, profano e moderno, di Principe.
Da quest'epoca fu la moda femminile a primeggiare e ne furono creatrici le dame delle Corti signorili che dettarono legge in questo campo, imponendo modelli di abiti e di acconciature che venivano diffusi per mezzo di disegni, stampe o manichini. In questa attività di creazione e diffusione della moda furono particolarmente attive e apprezzate, fra la fine del '400 e gli inizi del '500, Isabella e Beatrice d'Este che proponevano i loro nuovi modelli per mezzo delle "pue", bambole vestite con piccoli abiti di loro creazione, molto richieste dalle dame di altre corti.
I pittori di ogni tempo, famosi o meno, ci hanno lasciato testimonianza della moda loro contemporanea e a volte, grazie a studi comparati sulla sua evoluzione, è stato possibile datare o attribuire una miniatura o un dipinto sulla base di dettagli negli abiti dei personaggi rappresentati, quali il taglio delle maniche, la linea delle scollature femminili o le acconciature dei capelli.
Fra Rinascimento e Barocco l'abbigliamento femminile raggiunse il massimo della sua bellezza e del suo valore simbolico: dalle opere di grandi maestri quali Tiziano, Rubens, Van Dyck, Velasquez e tanti altri, splendide dame, austere o maliziose, si affacciano nei loro magnifici abiti ornati di gioielli preziosi, per dare testimonianza, attraverso il tempo, della cultura, del gusto, della ricchezza e della potenza delle loro famiglie e del loro rango.
Molti sono i dipinti che illustrano la moda, spesso sono di immediata e innegabile bellezza e tra questi cercheremo di leggerne alcuni fra i più significativi non potendo, nel presente testo, esaminare e ammirare tutta l'affascinante galleria di ritratti che ci parlano, per mezzo della moda, dell'universo femminile nel passato.
Il veneto Tiziano Vecellio, il più famoso e il più potente fra i pittori del suo tempo, fu anche il più accreditato per ritrarre personaggi d'alto rango fra i quali le grandi donne che, per mecenatismo o impegno politico, furono protagoniste del nostro Rinascimento.
Nel suo "Ritratto di Isabella d'Este" egli fissa l'immagine ufficiale della marchesana Isabella, figlia del duca Ercole I di Ferrara e sposa non felice di Francesco II Gonzaga, signore di Mantova e valente condottiero.
Isabella fu una delle donne più famose del Cinquecento a livello europeo, protagonista della vita culturale ed artistica come committente e mecenate, conosciuta per il suo raffinato collezionismo dal quale nacque il famoso Studiolo nel palazzo Ducale di Mantova, ma fu anche una donna molto acuta e attiva in campo politico. Quando venne eseguito questo dipinto era già anziana, ma lei aveva chiesto a Tiziano di copiare un ritratto, inviatogli a tale scopo, che le era stato fatto circa 25 anni prima e dove già era stata ringiovanita. Questo è quindi un ritratto della memoria nel quale il grande pittore dà della dama un'immagine non realistica, bensì aulica, fissando sulla tela tutti gli elementi e i dettagli dell'abbigliamento che dovevano servire a sottolinearne la personalità e il ruolo e che erano, inevitabilmente, demodé. Si riferivano infatti ad un lontano momento di gloria per Isabella e perciò erano legati ancora ai canoni della moda italiana, senza gli aggiornamenti alla francese o alla spagnola. In questo dipinto, che doveva essere trasmesso ai posteri, l'abbigliamento un po' antiquato ne confermava l'icona della Signora di uno Stato sovrano, quale Isabella era stata durante le reggenze a Mantova sia in assenza del marito in guerra, sia in attesa della maggiore età del figlio Federico. Al tempo del ritratto di Tiziano invece Isabella non aveva più alcun potere.
La marchesana è dipinta in piedi, contro uno sfondo scuro nel quale appena si intuisce un tendaggio, indossa un pesante abito decisamente quattrocentesco, forse di velluto, dalle maniche azzurre, rigide e imbottite che sembrano impedirle ogni movimento, ricamate d'argento a intrecci vinciani. Sul corpetto, dal quale esce una camicia bianca ricamata, maliziosamente aperta, che si intravede anche dai polsini, tiene, quasi a tracolla, una stola di preziosa lince che forse assolve il compito poco elegante di "raccogli-pulci". Sul capo porta il "balzo", o "capigliara", un turbante di sua invenzione per il quale è famosa, fatto di nastri di seta intrecciati, ispirato alla moda turca. Sul davanti il turbante è arricchito da una spilla di grosse perle.
Isabella, creatrice di moda, era famosa anche per la produzione di cosmetici che le venivano richiesti da molte dame importanti tra le quali regine e principesse europee. In modo poco galante il perfido Aretino la descrive "disonestamente brutta" e "arcidisonestamente imbellettata" dando proprio la colpa del suo invecchiamento e della sua bruttezza all'uso dei cosmetici di sua creazione!
È interessante, avendo esaminato questo dipinto, sottolineare il rapporto difficile che Isabella ebbe con i suoi ritratti, in pittura o scultura, spesso opera dei più grandi maestri, da Leonardo a Tiziano, a Giulio Romano, al Francia. Isabella amava farsi ritrarre, ma non voleva stare in posa, e soprattutto non voleva accettare il suo invecchiamento, per questo continuò a far copiare e ricopiare i suoi ritratti di età giovanile. L'unico grande Maestro dal quale non volle mai farsi ritrarre, se non sotto forma allegorica, fu il Mantegna - che pure era al servizio dei Gonzaga - perché, secondo le sue risentite e violente affermazioni, le aveva abbozzato un ritratto nel quale l'aveva fatta brutta.
Affine a quest'opera è il "Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere", anch'esso di Tiziano.
Eleonora è figlia di Isabella d'Este e sposa di Francesco Maria della Rovere, signore di Urbino e Pesaro avendo questo condottiero ereditato, col favore dello zio Giulio II, i due ducati alla morte degli ultimi eredi legittimi.
Eleonora è seduta, - e tale posizione in un ritratto del '500 connotava la donna di cultura - indossa un abito scuro ingentilito da un carré di lino arricciato e dalla presenza di fiocchi dorati che sembrano avere un significato araldico; le maniche sono ancora importanti ma ammorbidite da increspature. Porta sul capo una sorta di cuffia ricamata, forse di lana; l'insieme del suo abbigliamento suggerisce una tenuta invernale. A differenza della madre, Eleonora sfoggia molti gioielli in particolare una pesante catena d'oro finemente lavorata con grosse pietre preziose e un pendente con perle che richiamano quelle degli orecchini. Tiene con la mano destra la martora dalla testa-gioiello d'oro con pietre preziose dalla funzione ambigua di scaldamani o di raccogli-pulci; alle dita porta anelli semplici e raffinati. A fianco, su un mobile, un cagnolino, simbolo di fedeltà, è accovacciato con il capo abbandonato in atteggiamento triste, dietro di lui c'è un orologio, sorta di "memento mori" che ricorda anche la passione di collezionista di orologi del marito che se li faceva inviare dalla Germania. Questi due particolari, insieme alla struttura della composizione - Eleonora è seduta presso una finestra aperta dalla quale si intravede un paesaggio, quello delle sue terre fra le Marche e la Romagna - fanno pensare alla recente vedovanza della dama e all'eredità dello Stato che aveva ricevuto unitamente al figlio. Il suo è il ritratto di una sposa che ricorda il marito appena scomparso e insieme quello di una donna regnante su un piccolo Stato: il ducato di Urbino, al quale Eleonora dette il contributo della sua cultura mantenendo una corte ingentilita da un'eletta cerchia di intellettuali.
In questi due interessanti ritratti Tiziano sembra dare poca importanza ai caratteri fisiognomici ed ai "moti dell'animo" delle due dame che appaiono impassibili, quasi segnate da atarassia alla maniera greca: di loro il pittore sottolinea le doti spirituali ed intellettuali, la cultura, la dignità e la sapienza politica. Gli abiti, col loro simbolismo fatto di linee e colori, diventano più importanti dei loro corpi: sono gli scrigni regali di due icone, di due donne che rivestono cariche al vertice della gerarchia signorile. Ma non manca, anche in queste due opere, pur nella fissità delle pose ufficiali, la vita che Tiziano suscita con le sue pennellate cariche di colore e di materia che tessono carnagioni diafane e trasfondono calore ai tessuti e luce ai gioielli.
Questo genere di ritratto femminile trovò molto favore soprattutto in area veneta e lombarda dove anche Lorenzo Lotto ritrasse dame importanti, creando opere di assoluta bellezza e di forte valenza simbolica.
Lo splendido dipinto del Bronzino agli Uffizi "Eleonora di Toledo col figlio Giovanni" ci fa conoscere un'altra grande protagonista della storia, del costume e della moda del nostro Rinascimento: Eleonora, figlia secondogenita del vicere di Napoli don Pedro de Alvarez, dal 1539 sposa felice e amata del duca Cosimo I de' Medici. In questa tavola, capolavoro della ritrattistica manieristica fiorentina, dall'azzurra superficie levigata e brillante, Eleonora appare come una Vergine in trono col Bambino, in tutto lo splendore della sua bellezza, ma con i grandi occhi mediterranei velati di malinconia.
La duchessa indossa un magnifico abito di raso di seta con un disegno forte a racemi e melograni stilizzati; il taglio è rigoroso e semplice con il corpetto stretto, le maniche staccabili, con tagli e sbuffi che permettono il movimento delle braccia e lo scollo pudico è coperto da una reticella dorata. Al collo porta due fili di grosse perle con un pendente, e di perle sono ornate sia l'acconciatura leggera dei biondi capelli, che la reticella dello scollo che la grossa nappa della cintura.
Tutto in questo ritratto parla di dignità regale, ricchezza, eleganza e raffinatezza, mentre col volto dolce e forte e le mani dalle lunghe dita, una abbandonata sulle ginocchia, l'altra posta amorevolmente sulle spalle del suo bambino, Eleonora sembra comunicarci i suoi sentimenti di madre e l'ansia per il ruolo della sua famiglia in un momento storico tanto travagliato. Da questo dipinto inoltre, attraverso la bellezza dell'abito, parte un messaggio politico che è anche un auspicio della coppia ducale. Il melograno era simbolo araldico per eccellenza significando grande nobiltà e regalità: in quegli anni Cosimo de'Medici, che andava assoggettando sotto di sé tutta la Toscana, aspirava al titolo di Re d'Etruria da parte di Carlo V. L'Imperatore non volle però concedergli mai tale dignità tanto ambita per cui, a parziale risarcimento della mancata nomina, il papa Pio V nel 1569 lo nominò Granduca di Toscana, inventando per lui tale titolo.
Anche Eleonora fu creatrice di moda per la quale si ispirava alla corte spagnola, all'Oriente e alla moda maschile.
Con il suo patrimonio personale poteva permettersi di far tessere per lei a Firenze i tessuti più preziosi con i quali sarti e ricamatori le confezionavano abiti splendidi, ma anche pratici e innovativi come i "calzoni" al ginocchio e le mantelle impermeabili che usava indossare per andare a caccia a cavallo. Eleonora cercò, al suo arrivo a Firenze, di non offendere con eccessiva ostentazione i fiorentini, ancora dominati dalla cultura pauperistica savonaroliana, ma i suoi sudditi non l'amarono mai. Il loro giudizio negativo sulla principessa spagnola fu ingiusto poiché Eleonora, donna pia e religiosa ma nello stesso tempo amante della mondanità, portò dalla vivace corte napoletana un soffio di novità e di cosmopolitismo, spingendo il marito, e contribuendo anche col suo denaro, a trasformare e ad abbellire Firenze facendone, grazie ad uno stuolo di grandi artisti guidati dal Vasari, una capitale sofisticata e moderna di livello europeo, modello alla stessa corte francese.
Eleonora morì ancora giovane per la malaria contratta in Maremma durante una visita alle opere di bonifica promosse dai Medici; insieme a lei morirono due dei suoi undici figli, uno dei quali, Giovanni, è il bambino paffutello e pensieroso che appare con lei nel dipinto, protetto dal suo abbraccio affettuoso.
Dei molti abiti, dei gioielli e degli accessori della duchessa Eleonora, che per l'abbigliamento suo e della corte, aveva dato sviluppo e incremento ad ogni impresa suntuaria a Firenze e in Toscana, è rimasta testimonianza negli inventari della Guardaroba Medicea, attualmente oggetto di studio in parallelo con gli studi anatomo-patologici delle sue ossa e di altri componenti la famiglia de' Medici, sepolti in San Lorenzo a Firenze, studio quest'ultimo che ha già potuto smentire le "leggende nere" sulla morte di alcuni dei suoi figli.
Altri grandi esponenti del Manierismo cinquecentesco testimoniano ed esaltano la moda femminile nei loro dipinti, tra questi il Parmigianino con i due ritratti: "La Schiava Turca" (1532?), alla Galleria Nazionale di Parma, e "Antea” (1530?), al Museo di Capodimonte. In queste due opere le dame, la cui identità è rimasta misteriosa, indossano abiti certamente alla moda, di seta, con dettagli ricchi quali il "balzo" della "Schiava Turca" e la grossa martora con catenella d'oro di "Antea" - che fra l'altro porta un guanto da falconiere, maschile e inquietante -, ma questi abiti sono interpretati con caratteri di originalità, difficili da decifrare.
Il Parmigianino non smentisce la sua fama di artista permeato di esoterismo, tutto intento in percorsi iniziatici.
Nel '600, il secolo del Barocco, si assiste ad un vero trionfo della moda femminile nei grandi ritratti da parata, ambiti dalla ricca committenza aristocratica e mercantile. Anche in questa ritrattistica i pittori fiamminghi, grazie alla loro particolare sensibilità e capacità nella resa materica dei tessuti e degli oggetti, riuscirono ad imporsi su altri nel rendere alla perfezione le magnifiche toilettes e le acconciature delle grandi dame che li scelsero per i loro ritratti ufficiali. Capolavoro assoluto di questo genere è il "Ritratto di Brigida Spinola Doria" di Pieter Paul Rubens, dipinto dall'artista fiammingo durante il suo lungo e fecondo soggiorno in Italia.
Il dipinto è firmato e datato e venne eseguito come celebrazione delle nozze di Brigida Spinola col cugino Giacomo Doria, avvenute un anno prima, nel 1605; entrambi gli sposi appartenevano a potenti famiglie dell'aristocrazia "vecchia" genovese che, come altre in Liguria, furono importanti committenti di Rubens.
La dama, bella e giovane, dal lieve sorriso ammiccante al di sopra di una grande "lattuga" di lino finissimo, ricamata e inamidata, indossa il magnifico abito da sposa di luminoso raso bianco che sembra sostenerla e imprigionarla. L'abito ha maniche strette e rigide, intessute di fili d'oro, con polsi di merletto che escono dalle maniche aperte della sopravveste, trattenute da bottoni-gioiello che, numerosi, chiudono le faldette, cioè la gonna, e lo stretto corpetto che mortifica il corpo della giovane. L'abbigliamento è completato da una grossa e lunga catena d'oro e pietre preziose, pezzo straordinario dell'arte orafa genovese; Brigida non esibisce anelli, ma mostra all'orecchio sinistro una magnifica perla. L'acconciatura dei ricciuti capelli castani è completata da un piccolo berretto con piuma, sul quale è appuntata una grande spilla d'oro, smalto e perle che sembra tremolare, dando, insieme al ventaglio nella mano destra, l'impressione di un movimento, come se la giovane dama stesse per staccarsi dalla tela per andare verso il riguardante, con grazia, dignità, ma anche con una punta di malizia.
Tutto l'abbigliamento da sposa di Brigida, raffinato e costoso, pagato dal suocero secondo la consuetudine genovese, è ispirato alla moda spagnola che, per quasi un secolo, a partire dal tempo di Carlo V e Filippo II, dominerà l'Europa sostituendosi alla moda italiana e a quella francese.
Rimasta vedova dieci anni circa dopo le nozze, Brigida si vide togliere dalla famiglia questo ammiratissimo quadro che fu assegnato in usufrutto al cognato Giovanni Carlo Doria, uno dei più grandi intenditori e collezionisti d'arte del tempo. Alla sua morte, nel 1625, Brigida, risposata col nobile Vincenzo Imperiale, poté finalmente rientrare in possesso del suo magnifico ritratto che poi, per eredità e cessioni, fu portato prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
La tela del ritratto, a causa dei vari passaggi di proprietà e di sistemazione in ambienti diversi, risulta ridotta rispetto alle dimensioni originali, andando perduto così il particolare del giardino che, insieme allo sfondo architettonico superstite, inaugurava la nuova scenografia della ritrattistica ufficiale: il ritratto "en-plein-air". Rubens realizza questo dipinto mostrando una forte partecipazione emotiva che viene trasmessa anche al riguardante attraverso la bellezza immediata della composizione, fatta di vibrazioni cromatiche, di contrasti forti e di resa materica eccezionale.
La figura di Brigida risulta affascinante per la plasticità del volto giovane, acceso dal rosso delle guance e delle labbra, dominato dai grandi occhi intelligenti, interrogativi e ammiccanti e per l'abito dalla superficie serica fatta di colpi di luce. Con quest'opera, in cui Rubens mostra l'eccellenza della sua arte, nasce il modello del ritratto aulico, da parata, segnato da grande dignità e bellezza formale, di tre quarti, con una prospettiva che il pittore fiammingo aveva mutuato dalla grande pittura veneziana del '500, leggermente dal basso verso l'alto. Questo modello venne ripreso in particolare dall'altro grande pittore fiammingo attivo a Genova, Anton Van Dyck, soprattutto per i suoi ritratti ai grandi aristocratici e ai Re.
Genova, città strettamente legata alla Spagna per fedeltà politica e imprese finanziarie e commerciali, ebbe al tempo della grande espansione e potenza spagnole fra '500 e '600, un periodo di splendore e ricchezza di cui beneficiò non tanto la Repubblica quanto la classe aristocratica, sia "vecchia" che "nuova", che investì i cospicui guadagni, legati soprattutto all'attività finanziaria, in arte costruendo i bellissimi palazzi di famiglia e realizzando ricchissime gallerie di dipinti per i quali furono chiamati i più grandi pittori del tempo.
Accorsero a Genova i lombardi e i fiamminghi, questi ultimi già conosciuti e apprezzati da secoli in Liguria per gli stretti legami commerciali con le Fiandre.
I pittori accorrevano attratti, oltre che dalla ricchezza della committenza, anche dal fascino di questa aristocrazia riservata e raffinata della quale abbiamo conoscenza dai molti ritratti di Rubens e Van Dyck. Il giovane pittore d' Anversa aveva seguito le orme del suo famoso concittadino e maestro: era sceso in Italia, a cavallo - questo era stato un dono del padre - e nel suo tour nel nostro Paese si fermò a lungo a Genova dove lavorò molto per le grandi famiglie locali, realizzando magnifici ritratti quali il "Ritratto della Marchesa Balbi" ora alla National Gallery di Washington.
Il fascino di quest'opera è grandissimo, basato sulla negazione della figura della giovane aristocratica, assisa in modo regale su un grande scranno posto su un tappeto prezioso, contro un tendaggio tutto mosso. Di lei si vedono solo il volto freschissimo e le mani che emergono dalla pesante e magnifica veste di velluto scuro ricamato d'oro che la ammanta di mistero. La giovane del ritratto non è stata identificata con certezza, ma potrebbe essere Battina, figlia di Gerolamo Balbi, nobile genovese dell'aristocrazia "nuova", con interessi ad Anversa dove certamente aveva già conosciuto Van Dyck. Depone per questa identificazione anche il fatto che il grande ritratto fosse rimasto presso la famiglia Balbi fino al 1819 circa prima di passare in collezioni inglesi e quindi nel museo americano.
Da questo dipinto, eseguito 15 anni circa dopo quello di Rubens a Brigida Spinola Doria, si possono vedere le differenze avvenute nel campo della moda: solo una lenta evoluzione in verità, essendo la moda, dettata dalla corte spagnola, legata a canoni non solo estetici e funzionali, ma anche etici, controriformistici e di estremo rigore per cui l'abito continuava ad essere una sorta di contenitore a difesa del pudore femminile. Le differenze però si vedono sia nelle maniche, ancora doppie ma più comode e con polsini sempre più importanti, sia nei colletti che possono essere ancora a "lattuga", ma ridotti, o a collo alto sul retro, o "colletto piatto". La gonna è diventata sempre più ornata con passamaneria costosissima di galloni di filo d'oro. Questi abiti raggiungevano cifre che potevano essere anche tre volte il costo di un ritratto di Van Dyck o il costo di un veliero di medio tonnellaggio e questo spiega il perché di tanti richiami alla moderazione da parte dei Governanti.
I ritratti di Van Dyck, come questo esaminato, vengono realizzati quasi contemporaneamente a quelli degli altri grandi pittori barocchi fiamminghi Rubens e Joardaens, ma da questi si distinguono per la loro straordinaria delicatezza e raffinatezza sia nelle espressioni che nelle posture, sia nella materia stessa della pittura, fatta per stesure leggere che sembrano espressione del suo animo sensibile e tormentato.
La testimonianza più diretta e completa della moda femminile della corte spagnola ci arriva infine dai dipinti del grande Diego Velasquez, Pittore del Re, con una serie di ritratti di Infante, delle quali ammiriamo ancora, se non proprio l'avvenenza, la grande dignità e la raffinatezza nel vestire. Molti dei ritratti dei giovani della famiglia reale spagnola si trovano a Vienna, al Kunshistorisches Museum, poiché questi ritratti venivano inviati alla corte imperiale per combinare matrimoni sia fra gli Asburgo di Spagna e d'Austria, sia con gli altri sovrani europei che si rivolgevano alla famiglia imperiale.
Il "Ritratto dell'Infanta Maria Teresa" è particolarmente interessante e significativo perché ci dà la rappresentazione più chiara dell'abito di corte del tempo, malgrado i danni subiti dalla tela per restauri imperfetti che ne hanno causato anche la riduzione.
Maria Teresa, che al momento del ritratto aveva 14 anni, indossa un abito di seta dall'acceso color rosa, reso ancor più prezioso da applicazioni di lino, nastri e coccarde. La gonna è diventata ancora più rigida e strutturata, mantenuta allargata a tenda dal "guardinfante", una sorta di lungo cuscino arrotolato intorno alla vita, che può essere considerato il precursore della crinolina.
L'Infanta sfoggia gioielli regali quali i fili di perle appoggiati sul petto, bracciali e due sorprendenti orologi di porcellana e oro legati alla vita con nastri di seta. L'acconciatura dei forti capelli chiari e ricci è straordinaria grazie all'impiego di nastri, boucles d'oro, coccarde e piume che danno ai capelli una curiosa forma geometrizzante, quasi da parrucca egizia.
Nel bel ritratto, la giovane principessa è contro una grande tenda drappeggiata scura che accentua il contrasto con la sua figura chiara e illuminata sulla quale il pittore gioca con tocchi leggeri e velature tese a rendere con attenzione ogni dato reale, dal tessuto, ai gioielli, all'incarnato, mostrando quanto avesse accolto la lezione fiamminga.
Di questo ritratto esiste una replica al Louvre essendo stato inviato alla corte francese in vista del matrimonio di Maria Teresa col Re Sole, matrimonio voluto dal Mazarino per motivi politici.
Le nozze avvennero nel 1660 e l'Infanta divenne la sposa innamorata, ma trascurata, del Re Sole del quale era cugina prima sia da parte di padre che di madre. Questa estrema consanguineità forse fu la causa della morte prematura dei cinque figli della coppia reale che non ebbe eredi diretti.
È interessante anche ricordare che l'Infanta Maria Teresa per sposare il Re Sole aveva dovuto rinunciare al diritto di successione al trono spagnolo in cambio di una dote cospicua, questa dote però non fu mai pagata e ciò fu l'ennesima causa di guerra fra Francia e Spagna oltre che di scarso amore del Re verso la sua sposa.
Nei loro ritratti Isabella, le due Eleonore, Brigida, Battina, Maria Teresa, ci appaiono ancora viventi e suscitano in noi profonde emozioni; sono le emozioni che si provano nel trovarci con loro nel momento in cui nelle loro stanze, con le loro cameriste, quasi ritualmente, queste dame si accingono alla vestizione con gli abiti che dovevano far conoscere ai posteri il loro mondo, e i loro volti che a noi fanno conoscere qualche cosa della loro anima.
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