Anno 7 - N. 19/ 2008


La “vecchia” bottega artigianale

IL RESTAURO D’ARTE

La tecnologia offre il prezioso aiuto di mezzi, per indagini e analisi, alla preesistente preparazione del restauratore, il quale li valorizza in una pratica fatta di passione e di un’altissima abilità artigianale, frutto di anni di preparazione: la bottega.

di  Roberto Arosio




Quel paese del Monferrato, con le poche case allineate sulla collina, dal nome poco augurale di Aramengo(1), che non ha neppure un bar, ospita uno dei più moderni laboratori privati di restauro, nato come un frutto della guerra; una storia interessante.
L’antiquario restauratore Giovanni Borri vi trasferisce, da Genova e Torino bombardate, quanto ha di più caro, i quadri, la moglie e la figlia. Quadri e figlia affascinano un giovane soldato di leva tornato al paese, tra i partigiani, nell’ultimo anno della guerra: Guido Nicola. Si interessa ai dipinti, offre i servizi all’antiquario e le attenzioni alla figlia. Ricambiate. Sposati giovanissimi, a guerra finita, lei di sedici anni, sanno che non bastano l’amore per i quadri, l’aiuto del padre restauratore , il violino suonato nelle sagre e i saltuari lavori nel piccolo paese e si trasferiscono a Torino dove Guido apre un negozio di barbiere.
Il suocero lo incoraggia a coltivare la sua passione per i dipinti, mettendolo in contatto con i due più importanti e validi restauratori di Torino: il pittore restauratore Abossetti e il restauratore Patrito collaboratore apprezzato della locale Soprintendenza.
Guido ne frequenta i laboratori, la sera, dopo il lavoro in un apprendistato prezioso. Impara i piccoli e importanti “segreti di bottega”; il restauro allora era eminentemente artigianato. I due “maestri”, non legati da una particolare simpatia, non sapevano della duplice frequentazione del Nicola, il quale, però, favorendo un vicendevole scambio di materiali e di cortesie tra i due, rese possibile, a loro, di riallacciare i rapporti, a sé di frequentarne apertamente i laboratori. Le personalità così diverse dei due Maestri sono state per lui preziose. La pratica e le alte qualità tecniche di Abossetti e la mentalità e preparazione scientifica del Patrito, formata negli studi universitari, gli sono state particolarmente arricchenti. Il restauro, dopo la parentesi bellica, in Italia si andava sempre più indirizzando su basi scientifiche; basta pensare all’opera di Cesare Brandi, alla carta del restauro del 1939, alla fondazione dell’Istituto Centrale del Restauro.
Alla fine degli anni cinquanta Guido, finalmente soltanto restauratore, apre il “suo” Laboratorio con la moglie Maria Rosa che vi porta, insieme all’esperienza del padre, la sua straordinaria abilità nel restauro delle carte, delle sete e dei tessuti. I suoi numerosi interventi di restauro su drappi e bandiere avranno ampio riconoscimento in occasione del IV Congresso Internazionale di Vessillologia che si terrà, proprio nel Laboratorio di Aramengo nel 1971.

Crescono i riconoscimenti e le commesse da parte di privati ed enti pubblici. Diventano indispensabili i collaboratori. Guido Nicola prende con sé apprendisti: in famiglia, prima che in Laboratorio. Vivono tutti nella stessa casa dove dormono e mangiano alla stessa tavola, e apprendono dalla gavetta il mestiere del restauro. La vecchia bottega artigiana.
Consuetudini di vita, scambi di idee ed esperienza creano una equipe di lavoro con risultati apprezzati dai responsabili della tutela delle opere d’arte. Molti di quei giovani, divenuti negli anni esperti collaboratori sono rimasti al suo fianco fino alla pensione.

Al Laboratorio, che andava ingrandendosi, sono affidati dipinti con particolari problemi di conservazione e dimensioni eccezionali che richiedono attrezzature adeguate. Al lavoro dei grandi teleri, che non può essere interrotto, partecipa tutta l’equipe, se necessario fino a notte inoltrata; alla fine, pane salame e un bicchiere di barbera delle vigne di Aramengo dove Guido è tornato creando il primo nucleo dell’attuale Laboratorio.
Era cresciuta anche la famiglia con Gian Luigi e Anna Rosa.

Gian Luigi dopo il liceo artistico e la frequenza all’Accademia Albertina, dove attualmente ha la cattedra per il restauro di materiale archeologico ed etnografico, si specializza nel restauro dei reperti egizi, nel suo reparto all’interno del Laboratorio di Aramengo e, in Egitto, nelle missioni archeologiche dell’Università di Roma con Sergio Donadoni e di Pisa con Edda Bresciani, e successivamente per il governo egiziano.

Sua moglie Gianna, entrata giovanissima nel Laboratorio come apprendista, acquisisce particolare competenza nei problemi del restauro conservativo e sfrutta la lunga esperienza nella direzione di questo reparto.
Anna Rosa, dopo il liceo artistico e la severa gavetta nella “bottega”, acquisita al Centro di Fotoriproduzione e Legatoria di Roma l’abilitazione al restauro di carte e pergamene, porta il contributo di una eccezionale sensibilità al restauro integrativo e alla restituzione cromatica nel reparto ora affidato alla sua direzione, insieme al coordinamento generale del Laboratorio validamente affiancata da Nicola Pisano, suo compagno di liceo prima e poi di vita.
L’attività di restauro, nei primi anni limitata al restauro conservativo, ora è arrivata ad abbracciarne tutta la gamma.
Siamo alla fine degli anni settanta. Il Pisano, che ha in mano tutto il settore delle analisi strumentali non distruttive e della pulitura, non ha segreti nell’uso della strumentazione scientifica. Gli è servita la mia esperienza e competenza nel campo della biologia e della chimica. Da cliente di Guido gli sono diventato amico, per decenni ho avuto la responsabilità nel Laboratorio per i problemi connessi alla parte scientifica del restauro. A mia volta, ho imparato dalla competenza professionale di Guido e nelle innumerevoli scorribande in tutto il Piemonte per constatare, su indicazione e richiesta della Soprintendenza, Enti pubblici, ecclesiastici, musei e privati, lo stato di conservazione di affreschi e dipinti in vista del loro restauro.



Molti gli esperti nei vari campi scientifici, radiologi, fisici, che,venuti a contatto con Guido Nicola come clienti, colpiti dalla sua cordialità e disponibilità, sono stati ricchi di consigli facilitando contatti con Università, centri e grandi esperti del restauro: Baldini, Rotondi, Procacci e critici come Federico Zeri ripetutamente ospite del Laboratorio e della cucina di Gianna. Particolarmente preziosi i consigli e l’incoraggiamento di Franco Mazzini, soprintendente, allora, alle Gallerie del Piemonte.
Così è potuto nascere l’attuale Laboratorio di Aramengo con i cinquanta restauratori qualificati, con una esperienza ormai pluridecennale maturata all’interno dell’azienda e con le sofisticate attrezzature. Ha tuttavia conservato, e lo si respira frequentandolo, il primitivo spirito di bottega.
L’assoluto rispetto per l’opera d’arte, qualunque sia, capolavoro o no, è alla base dell’attuale struttura e dà ragione delle sofisticate attrezzature.
Per un corretto intervento di restauro è indispensabile la conoscenza della singola opera, dipinto, statua, documento cartaceo, nella sua specifica composizione, stato di conservazione, danni e cause che ne rendono necessario il restauro.
Una serie di analisi è pertanto indispensabile e previa ad ogni intervento.
Può essere esemplare l’iter di restauro di un dipinto su tela o tavola.
Si documenta lo stato di conservazione dell’opera con una serie di fotografie sia della superficie dipinta che del supporto, eseguite a luce visibile incidente e radente, rivelatrice questa ad occhio esperto dello stato del degrado, e, a volte, della presenza di un dipinto sottostante.
A questo provvede il personale specializzato del reparto fotografico.
Le fotografie riprese nelle diverse lunghezze d’onda, insieme a schizzi, rilievi a tampone con la tecnica del frottage, dati di tecnica costruttiva ed esecutiva, formano l’archivio ricco di centinaia di migliaia di documenti, informatizzati e non, relativi anche alle analisi e alle varie fasi del restauro. Questi dati, per la importanza delle opere di tutti i periodi passate in Laboratorio, sono una preziosa fonte di informazione, non soltanto per la conduzione corretta e consapevole dei nuovi restauri, ma anche per gli studiosi.
è molto raro che un dipinto antico sia arrivato fino a noi senza essere stato restaurato, con interventi sul supporto e la cromia. è indispensabile sapere quanto rimanga di originale e non. Dipinti provenienti a volte dal mercato antiquariale si presentano apparentemente integri nel colore senza segni di interventi. Una normale fotografia in questi casi non dà sufficienti informazioni; fotografando il dipinto con radiazioni all’ultravioletto si eccita una fluorescenza differenziale, legata alla natura dei pigmenti, all’ età del dipinto e delle vernici che con l’invecchiamento interagiscono, formando composti molecolari che, irradiati, diventano fluorescenti. Nei restauri più recenti pigmenti e vernici, non avendo avuto tempo di interagire, risultano più scuri rispetto al fondo del dipinto. Le diverse tonalità di fluorescenza, rendono possibile risolvere con buona approssimazione i dubbi sulla presenza ed estensione dei ritocchi. Documentati con la fotografia, i dati servono poi da guida per le operazioni di rimozione dei rifacimenti nella pulitura.
Non è raro il caso che vecchi restauratori siano intervenuti in maniera così estesa e abile da lasciare poco dell’originale e rasentare il falso; quando addirittura non si tratti di falsi intenzionali. Alla fine dell’ottocento e ancora nei primi decenni del novecento la moda e il mercato dei dipinti di nature morte con trionfi di frutta e di fiori, ispirati alla scuola fiamminga del diciassettesimo secolo, hanno visto la produzione di molti falsi.

Abili falsari, utilizzando come supporto tele d’epoca, generalmente con soggetti devozionali di non grande pregio artistico, creavano piacevoli dipinti floreali alla fiamminga, con sicuro mercato. Un tempo, per smascherare i falsi, oltre l’occhio esperto del critico e del restauratore, gli unici mezzi a disposizione erano le analisi sulla solubilità delle vernici e della pellicola cromatica con interventi diretti sull’opera, interventi distruttivi che l’impiego delle tecniche moderne ha molto limitato. Tali tecniche permettono talvolta di ricostruire i trascorsi di un’opera il cui supporto risulta riutilizzato una o più volte, per motivi devozionali e di moda; sostituendo, come nel caso del tritticodi Bombelli, le figure di santi e l’immagine del primitivo donatore con la propria.
Analisi strumentali non distruttive ai raggi X, all’U.V. e con Riflettografia in I.R. sono ormai routine quotidiana. Per questo motivo il Laboratorio ha scelto di attrezzare e continuamente aggiornare un apposito reparto interno. Recentemente si è dotato di una speciale apparecchiatura radiografica digitale già utilizzata in campo industriale ma per la prima volta in quello del restauro.
La radiografia documenta i dati relativi a tutte le componenti dell’opera dalla struttura allo strato superficiale. I minerali presenti (pigmenti) in un dipinto hanno un effetto schermante specifico sui raggi X, in particolare la biacca (bianco di piombo) usatissima fino al ventesimo secolo. è possibile non soltanto vedere, attraverso il film pittorico, le eventuali pitture sottostanti, ma anche i pentimenti dell’autore, gli interventi di restauro, scritte, e attraverso il ductus della pennellata caratteristica di un determinato artista, riconoscerne l’autenticità. L’analisi radiografica permette anche di riconoscere le caratteristiche strutturali, cretti (craquelures), tessitura meccanica o manuale della tela, assemblaggi interni, andamento delle fibre legnose e delle gallerie scavate dal tarlo, tutti elementi utili per una autenticazione e datazione dell’opera.
La riflettografia in infrarosso, impiegata per evidenziare lo stato di conservazione dell’opera e i vecchi interventi è spesso utilizzata anche per la lettura, sotto lo strato di colore, del momento più alto, originale e autografico dell’artista: il disegno preparatorio, eseguito talvolta direttamente con inchiostro, carboncino, grafite o utilizzando tecniche di trasposizione quali lo spolvero.
Il principio dell’utilizzo dell’infrarosso è lo stesso che porta all’uso dei faretti rossi sulle auto in caso di nebbia. Lo strato pittorico, non trasparente che rifletterebbe la luce visibile, diventa trasparente, quando il dipinto è sottoposto ad una radiazione infrarossa, tanto da permettere la riflessione degli strati sottostanti. Le radiazioni riflesse dal dipinto sono registrate con telecamera munita di rivelatori fotoelettrici (vidicon) e filtri che selezionano la lunghezza d’onda; convertite in immagini in bianco e nero su uno schermo.
Tutti i dati delle varie fasi di intervento, relativi ai restauri eseguiti e in corso, sono raccolti, informatizzati e fruibili in tempo reale attraverso la rete di computer.
Modalità e tecniche esemplificate per i dipinti sono tutte o in parte di routine nel restauro degli oggetti d’arte: affreschi, disegni, carte, statue marmoree e lignee, manufatti in legno di grandissime dimensioni. Attualmente nel grande reparto climatizzato è “ricoverata” in attesa di restauro la Peota Reale, la grande imbarcazione da parata della corte sabauda, lunga 16 metri.
Un settore del Laboratorio è attrezzato con autoclavi per la disinfestazione, in atmosfera d’azoto, dei manufatti invasi da tarli o per l’impregnazione sotto vuoto, con resine, di opere lignee, lapidee o fittili gravemente decoesionate.
Anche nel restauro, la tecnologia offre il prezioso aiuto di mezzi, per indagini e analisi, alla preesistente preparazione del restauratore il quale li valorizza in una pratica fatta di passione, di un’altissima abilità artigianale, frutto di anni di preparazione: la bottega.

Un grazie vivissimo ad Anna Rosa Nicola per la preziosa collaborazione nella fornitura dei dati, nella scelta della documentazione ed elaborazione al computer.

Didascalie immagini
Agostino Bombelli, Alessandria Chiesa di Santa Maria del Carmine

Trittico su tavola, firmata, con S. Lucia nella tavola centrale, S. Barbara a destra
e a sinistra S. Caterina “rinata”, insieme con il donatore e firma, nel restauro
(condotto sotto la direzione della S. P. A. E. del Pieonte).
recupero di un dipinto primitivo

1) Particolare della tavola di sinistra. Nel ‘600 S. Caterina era stata “trasformata” in S. Agata, propabilmente su richiesta di un committente suo devoto.
2) La riflettografia in I.R. ha rilevato la presenza di un’altra figura.
3) La graduale rimozione della ridipintura fa riaffiorare la figura di S. Caterina (angolo inferiore sinistro e superiore destro, dove una grande caduta di preparazione e colore giustifica, probabilmente, l’intervento di restauro secentesco con il cambio delle sante).
4) Particolare con S. Caterina dopo il restauro. L’integrazione della zona di preparazione e colore cadute è stata esaguita con la tecnica del tratteggio.
5) Il committente secentesco, devoto di S. Agata, ha pensato di potersi legittimamente sostituire al primitivo donatore.
6) L’analisi con riflettografia in I.R. ha denunciato la presenza di un altro volto sotto quello secentesco.
7) La graduale rimozione della ridipintura ha confermato la presenza di un antecedente committente.
8) A pulitura terminata è comparso, con il copricapo in mano, il primo donatore.

Il dipinto secentesco con San Giusepe e Bimbo è stato utilizzato, una prima volta, a fine settecento per una natura morta con fiori, su preparazione rossa e, una seconda volta, alla fine dell’ottocento per un “trionfo” con fiori e frutta.

(La presenza dei tre dipinti originali è stata
rilevata dalla analisi radiografica)
Ad una tela settecentesca con San Luigi è stata sovrapposta una natura morta floreale.
Sopra la tela secentesca, raffigurante Gesù e la Sammaritana, è ridipinto un “trionfo” floreale.

Francisco Fajardo, L’adorazione dei Magi (1560)
L’indagine riflettografica all’infrarosso
del dipinto, mette in evidenza il disegno preparatorio, realizzato a pennello con tratti liberi e completo di chiaroscuro a tratteggio.

il ripensamento del pittore

Sebastiano Ricci, (XVIII sec.) Mosè salvato dalle acque (particolare, angolo inferiore sinistro).

In alto a sinistra fotografia a luce visibile: sopra il collo e la testa del cane si percepisce, in modo confuso, la presenza di un pentimento dell’autore.
In alto a destra il pentimento è chiaramente denunciato dalla radiografia; la testa del cane è rivolta verso Mosé bambino e sotto la testa compare il piede della figlia del Faraone, dipinto con impasto ricco di piombo.
In basso nella riflettografia il piede non compare, mentre risulta evidente il pentimento che ha cambiato la posizione della testa del cane.

Giampietrino (primi del XVI sec.), Madonna con Bimbo (dipinto su tavola, particolare)
1) Particolare fotografato a luce visibile.
2) L’esame del volto della Madonna alla riflettografia in I.R. rivela che il disegno preparatorio è stato riportato sulla tavola con la tecnica dello spolvero. Sono visibili i puntini neri del carbone passati tra i fori dello spolvero.
3) Sul volto del Bimbo il disegno definitivo non segue esattamente i punti dello spolvero