Anno 1 - N. 2 / 2002
I TAROCCHI
Gioco o filosofia
in immagini ?
di Giulio Cesare Maggi
Il triofo della Morte, F.Petrarca (cod.905), Milano, Biblioteca Trivulziana
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In un leggiadro e fiorito giardino un gruppo di cinque vaghe dame in eleganti abiti e con copricapi di bella foggia stanno giocando ai tarocchi: sono esse assorte nel gioco e composte nella positura. L’affresco che ritrae la piacevole scena, di non sicura attribuzione (Pisanello, Giovanni di Vaprio, un anonimo pittore della cerchia degli Zavattari?), si trova nella Sala dei giochi dell’antico Palazzo Borromeo, quello sito alle spalle dell’Ambrosiana. Dopo l’incendio bellico del 1943 ne resta oggi solo la sinopia monocroma, ancora di bellissima lettura e altamente godibile, come si può vedere nella riproduzione qui a lato.
Il gioco dei tarocchi era assai diffuso nel Ducato milanese nei ceti nobiliari e dei ricchi, anche se non qui nato, contrariamente all’opinione corrente, per certo se non originata almeno sostenuta dall’esistenza in Lombardia del famoso mazzo Visconti, del quale si parlerà più in dettaglio tra breve.
Secondo Oswald Wirth, un ricercatore francese che dedicò allo studio dei tarocchi l’intera vita, il mazzo di tarocchi più antico a noi giunto proviene probabilmente da Venezia, ove fu usato nel corso del XIV secolo. Ma i più celebri, e certamente i più belli dal punto di vista artistico sono i già ricordati tarocchi del cosiddetto mazzo Visconti-Sforza, attribuiti a Bonifacio Bembo, pittore e miniatore attivo in Lombardia e alla Corte ducale tra il 1444 ed il 1477, ritrattista, affrescatore della Cappella ducale, un artista legato al gotico lombardo tardivo ma con sicure anticipazioni rinascimentali.
Il mirabile mazzo visconteo-sforzesco, recentemente restaurato da un artista russo, è diviso attualmente tra l’Accademia Carrara di Bergamo e la Pierpont Morgan Library di New York, ed è stato pubblicato nel suo insieme in Monumenta Longobardica (Bergamo, Gutemberg 1974). È questo uno dei pochissimi mazzi dell’epoca giunti a noi quasi completo ed assai ben conservato.
La storia del gioco dei tarocchi non è del tutto nota, ma è certo che esso, come lo concepiamo oggi sulla base dei riscontri disponibili, è di origine padana: non per nulla i Francesi dell’epoca chiamavano i tarocchi “le jeu de Lombardie”.
Il classico mazzo di tarocchi si compone di 78 carte, divise in due ben distinti gruppi, il primo dei quali è costituito da 22 carte o lame a carattere simbolico, dette Arcani maggiori, in antico Trionfi, e che sono il Matto, il Mago o Bagatto, la Papessa, l’Imperatrice, l’Imperatore, Il Papa, l’Innamorato, il Carro, La Giustizia, il Tempo o l’Eremita, la Ruota della Fortuna, la Fortezza, l’Impiccato, la Morte, la Temperanza, il Diavolo, la Torre, la Stella, la Luna, il Sole, il Giudizio o l’Angelo e il Mondo.
Completa il mazzo il secondo gruppo di 56 carte, detto Arcani minori, Naibi in antico, divise in quattro semi (spade, bastoni, denari, coppe) di dieci carte numerali ciascuno, cui vanno aggiunti per ogni seme fante, cavaliere, regina e re: ed ecco che quattro volte quattordici Naibi più ventidue Trionfi fanno 78 carte, il numero del vero mazzo completo di tarocchi.
Pare che inizialmente in Europa il mazzo da gioco fosse composto dei soli Arcani minori (e che tale sia rimasto per i giocatori spagnoli), mentre gli Arcani maggiori sarebbero forse giunti dall’Oriente ed aggiunti successivamente per rendere più complesso e misterioso il gioco; ma a questo punto si pone il quesito: i tarocchi erano solo un gioco?
Con Mandel si può ritenere che mazzi di carte numerali fossero presenti in Cina già nel X secolo, diventando di uso comune nel XIII: probabile la derivazione dal gioco del domino, collegato a quello dei tre dadi di origine mesopotamico-egizia, sicuramente antichissimo è presente anche nei riti orfici. Di quest’ultimo abbiamo qualche esemplare nel Museo di Reggio Calabria (gioco degli aliòssi), da tombe della Magna Grecia.
Il gioco dei tre dadi fu assai popolare in Italia durante il Medioevo, con il nome di Zara, dall’arabo Zahr (dado), ricordato anche da Dante: è assai probabile il suo arrivo dal prossimo Oriente, in particolare dagli Arabi.
Vien fatto di osservare che le combinazioni possibili con il gioco dei tre dadi sono 56 cioè lo stesso numero delle carte numerali, il mazzo degli Arcani minori. La grande fragilità del materiale, la carta appunto, non ha consentito di conservare carte da gioco cinesi anteriori al XV secolo: il rinvenimento nelle grotte di Turfan di esemplari di quel periodo (ora alla Bibliothèque Nationale di Parigi) ha permesso di sfatare l’opinione che ve ne fossero in Cina, d’importazione occidentale, solo a partire dal XIX secolo. Non si può certo escludere che mercanti e navigatori europei, così attivi nel raggiungere l’Oriente, abbiano portato giochi di carte dall’Europa all’Asia e viceversa. Altri ancora pensano a giochi di origine Hindu o musulmana, praticati in India, mentre in Persia si giocava lo As-Nas (dal quale deriva con ogni probabilità l’odierno gioco del poker) con carte di cinque serie.
Gli scambi commerciali con tutti questi paesi erano assai vivaci e consentivano di ricevere e dare notizie di ogni genere anche sul gioco, inteso come un passatempo forse non banale. Di qui la possibilità, magari solo cognitiva, di analogie tra giochi di carte numerali europei ed “esotici” in senso lato.
Ma fino a questo punto siamo nel campo di ipotesi, sia pure non irragionevolmente analogiche.
Forse l’attitudine prudenziale, se non addirittura ostile, fino al Rinascimento, verso tutto quello che giungeva dall’Oriente ci ha ulteriormente privato di informazioni sicure o probabili.
Per certo la diffusione delle carte da gioco in Italia ed in Europa (nonché all’invenzione della carta da parte dei cinesi, appresa a Samarcanda dagli arabi e resa disponibile in Spagna ed in Italia verso la metà del Duecento) è legata alla introduzione della xilografia dapprima e della stampa a caratteri mobili poi.
È comunque sicuro che il gioco delle carte numerali ha preceduto la comparsa dei tarocchi, che sono successivi nel tempo e con ogni verosimiglianza autonomi e solo successivamente integrati nel mazzo, portandolo così a 78 carte. Forse fu portato in Europa, ad opera degli Zingari secondo alcuni ricercatori, a partire dal X secolo e verosimilmente da Bisanzio. In ogni caso a partire dal 1300 la diffusione dei Naibi diventa universale in Europa e ve ne è nozione in cronache francesi, fiamminghe, tedesche ed italiane. Qualche cronista, citato dal Mandel, avrebbe addirittura consigliato ai ragazzi, in luogo di quello dei dadi, il gioco delle carte come educativo: ma forse – siamo alla fine del Trecento – esistevano già carte figurate di tipo emblematico, sul tipo dei tarocchi del Mantegna, dei quali si farà cenno più oltre, e che, almeno all’inizio dovevano costituire un gioco a sé, prima di essere uniti al resto numerale del mazzo.
Ma innanzitutto, qual è il significato della parola tarocco?
Come precisa Mandel in proposito, “ignota ci è ancora l’origine del termine tarocco, di apparente filiazione araba. Taroccata si diceva di una superficie dorata a foglia quando veniva picchiettata o solcata da uno stilo, o punzonata, per imprimere un disegno nell’oro. I fondi dei primi miniati sono ottenuti in tal modo; tarocco è anche un genere di arancia siciliana d’importazione araba”.
E il termine taroccare è presente anche nel linguaggio italiano, particolarmente in quello milanese.
Il recente Dizionario Milanese a cura del Circolo Filologico Milanese (Vallardi, 2001) alla voce “taroccà” porta “giocare a tarocchi, brontolare, contraffare un prodotto commerciale di marca” e nel più vecchio Dizionario di Cleto Arrighi (1896) ricevere un “tarocc’ ” corrisponde a ricevere una citazione dal Tribunale, oltre ai significati precedenti.
Lo scrittore milanese Carlo Maria Maggi (1630-1699) fa uso frequente, specie nel suo teatro, del termine “tarocà” con il significato di brontolare, vociare. Similmente è usato in Carlo Porta (1775-1821), ma quando e perché tale termine fu impiegato resta malgrado tutto misterioso.
Ma ritorniamo alle nostre carte: quelle a quattro semi, secondo molti autori, potrebbero essere state introdotte dai Saraceni, ancorché il gioco d’azzardo fosse espressamente proibito dal Corano e si è oggi convinti che l’origine dei tarocchi sia come gioco a sé, sia come completamento delle carte numerali, sia di assai probabile origine italiana.
Già citate nelle prediche di San Bernardino da Siena, le carte con figure, condannate al pari dei dadi come causa di perdizione, i tarocchi sono ricordati da Matteo Boiardo, che scrisse i Capitoli del gioco dei tarocchi nel 1460, data che potrebbe considerarsi quella ufficiale della comparsa dei Trionfi, che nelle varie città della Penisola ebbero anche aggiunte di carte non previste dalle 22 classiche.
È proprio la presenza dei Trionfi, poi Arcani maggiori, tipico attributo rinascimentale, che rende tale ipotesi estremamente probabile. Nella cavalleria, nella letteratura, nella pittura, nella miniatura il Trionfo caratterizza il Rinascimento italiano.
Basterà qui ricordare il Trionfo come spettacolo tipico del Quattrocento italiano, derivazione di quello romano, e con esso i cortei dei cavalieri che precedono le giostre rinascimentali, ricchi di costumi e di allegorie alla cui realizzazione erano chiamati, alla corte sforzesca, artisti del livello di Leonardo. In pittura non mancano esempi e qui, per tutti, ricordiamo quello dedicato a Bacco di Cima da Conegliano, oggi al Museo Poldi Pezzoli. I Trionfi, divenuti Arcani maggiori, hanno una splendida rappresentazione nella sala del Palazzo Schifanoia a Ferrara, ove essi sono congiunti ai segni zodiacali ed alla rappresentazione delle costellazioni. E di Ferrara sono celebri miniatori di tarocchi come Alessandro di Bartolomeo Quartesana, Don Domenico Messere ed altri; ad essi furono commissionati mazzi da gioco da molte parti d’Italia spesso di carte a fondo oro.
Nel genere letterario i Trionfi più celebri sono quelli di Francesco Petrarca, nei quali il Poeta presenta, tra l’altro, quello d’amore, quello della morte, quello della fama, del tempo e dell’eternità, riccamente miniati, come si può vedere, nel codice 905 della Trivulziana.
Dice giustamente il Mandel: “Le giostre e le battaglie della vita reale venivano così a perpetuarsi anche nel gioco da tavolo”.
Ma oltre a questi elementi emblematici, altri ve ne sono con verosimile riferimento a fatti storici: ad esempio la figura della Papessa (o Sapienza segreta) viene collegata a quella di una suora Visconti, che credeva nell’età dello spirito profetizzata da Gioacchino da Fiore. Suor Manfreda Visconti da Pirovano, seguace della setta eretica dei guglielminiti, condannata al rogo dall’Inquisizione (1300).
Una narrazione, insomma, simbolica degli uomini (e delle donne) di quell’inizio di secolo, di un vero e proprio trionfo delle persone, cose e fatti notabili. Con molte analogie iconografiche con il famoso mazzo detto “del Mantegna”, peraltro costituito non da carte da gioco ma simboliche, nel quale compaiono virtù, soggetti mitologici, pianeti e altro a chiaro carattere esoterico, una sorta di “enciclopedia per immagini”, come fu definita in modo assai pertinente: ma forse non fu solo enciclopedia per la memoria, ma anche una sorta di intrigante conversazione, al contempo eloquente e “muta”, una specie, se vogliamo, di “Wunderkammer” delle persone e dei fatti dell’inizio del Quattrocento narrata per simboli, capace di scatenare la più accesa delle fantasie. Ma prevale su tutto il simbolismo che giunse fino ad influenzare, in un caso emblematico, l’arte del giardinaggio: si fa qui riferimento al famoso giardino di Bomarzo con il suo percorso (una navigazione?) di Arcani maggiori in pietra.
Carte quindi simboliche, arcane, con sotteso riferimento a complesse situazioni anche di eresie (manicheismo?), come si potrebbe forse inferire dall’assenza (o scomparsa) degli Arcani nei mazzi spagnoli, per la presenza ossessiva dell’apparato inquisitorio.
È comunque certo che carte con figure, oltre i tarocchi, furono usate come strumento didascalico-istruttivo ed erano già in uso all’inizio del Cinquecento ad opera di Th. Murner, antiluterano di Cracovia, che ebbe imitatori fino a metà del Seicento. Un uso perciò non ludico ma di apprendimento e di “ortodossia”. Vien fatto notare da Mandel che la comparsa dei tarocchi in Italia coincide con l’interesse di Pico della Mirandola (1463-1494) nei riguardi della Kabbalah, già studiata nel secolo precedente da Raimondo Lullo (1232-1316), anche se relazioni restano assai improbabili.
Dipinte a mano su cartone o pergamena, all’inizio furono spesso piccole e costose opere d’arte, ad opera di miniatori illustri, destinate alla corte ed ai ricchi.
La diffusione di carte da gioco italiane di tale tipo fu assai ampia in Europa e così pure il loro uso, reso economico da riproduzioni xilografiche o calcografiche, con mazzi di diversa composizione, fino a quelli solo numerali, limitati talora a 40 fino a 48 carte, anche con variazioni dei semi, ad esempio l’introduzione dei cuori, ecc., di uso più popolare. I Tarocchi giunsero ad influenzare persino l'arte del giardinaggio: al Cinquecento risale il famoso giardino di Bomarzo popolato di Arcani in pietra e, per l'epoca attuale, varrà la pena di ricordare il "Giardino dei Tarocchi" a Garavicchio, nei pressi di Capalbio, con gli Arcani giganteschi di Niki De Saint Phall (1929-2002), reso noto in particolare da Ph. Daverio.
Impossibile qui seguire l’evoluzione delle carte nei vari paesi: esse finirono poi per cristallizzarsi sul modello francese. Nel Seicento si verificò un’evoluzione nettamente esoterica nell’interpretazione dei tarocchi, anche con finalità divinatorie, estranee a questo gioco.
Successive elaborazioni e riferimenti a presunte e non documentate filosofie egizie, di moda nel Settecento, vengono respinte dal Wirth, Mandel e altri studiosi: queste interpretazioni esoterico-occultistiche ebbero tuttavia gran fortuna, in particolare ad opera di Antoine Court de Gebelin (1725-1784), ma ci porterebbero assai lontano dall’essenza del problema, anche se non possiamo ignorare il tentativo, nell’Ottocento, di Alphonse Louis Constant, che ebreizzò il nome in Eliphas Levi Zahedi, di collegare i tarocchi con la Kabbalah ed i 22 Arcani maggiori con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico, nonché con i 22 rami dell’albero della vita. Tali indicazioni sono presenti in mazzi di tarocchi detti “egiziani”, ancora in uso in Francia nel XIX secolo.
Questo insieme di dati ci spiega come il linguaggio puramente simbolico dei tarocchi propriamente detti sia risultato non solo difficile ma complicato da sovrapposizioni ed elucubrazioni inutilmente complesse e complicate: a fine Ottocento l’editore Grimaud aveva in catalogo nove differenti mazzi, da 32 a 56 carte. Lo stesso pittore David disegnò, a richiesta di Napoleone, un mazzo di tarocchi di stile neoclassico. Del resto, commissionato da Alitalia fu edito, nei primi anni ’70, un mazzo di tarocchi “moderni” ma classici nella figurazione, dipinti da G. Novak, oggi non facilmente reperibile.
Tanta evoluzione dei tarocchi ha portato il loro significato simbolico molto distante da quello originale: da simboli le carte dei tarocchi sono diventate l’espressione di una volontà interpretativa correlata a movimenti filosofici o comunque di pensiero prevalenti nel singolo periodo di tempo volta a volta considerato.
Ed allora vediamo se è possibile penetrarne un poco il mistero anche se è doveroso premettere che essi sono, e probabilmente resteranno, resistenti a troppo facili tentativi di svelamento; ciò giustifica i vari indirizzi di lettura che studiosi di notevole qualità ed impegno hanno nel tempo applicato a chiarirne il mistero o forse meglio la riservatezza. Escludiamo subito che i tarocchi siano un banale strumento di divinazione, anche se forse a tal fine furono spesso utilizzati.
Essi devono piuttosto essere considerati un Libro. Eliphas Levi Zahedi a questo proposito ha scritto: “Un prigioniero… che non disponesse di alcun libro ma che avesse i Tarocchi, potrebbe in pochi anni accumulare tutto lo scibile e sostenere la più dotta delle conversazioni”. Questo autore, che tentò di coniugare il Nuovo Testamento con la Kabbalah, in realtà, finì per considerare i tarocchi “il vocabolario ermetico di un linguaggio di cui faticosamente si cerca la chiave” (Pozzesi).
Se si esaminano le 22 carte degli Arcani maggiori, non si può non restare colpiti dall’osservazione di Wirth - l’autore del celebre libro su “I Tarocchi” - che li considerava “un trattato di alta filosofia in immagini, trattato che resta muto per chi non sa farlo parlare ma che parla a chi sappia sagacemente interrogarlo”. In questo senso la disposizione a ruota (rota? taro) delle carte consente accostamenti tra ciascuna di esse, con significati assai diversi se isolate oppure in sequenza casuale o ricercata. Per dare un esempio, il Matto, carta non numerata che vale zero, isolata indica passività, segno negativo e, dal punto di vista astrologico, lo Scorpione, in coppia con il Bagatto o Mago, suo contrario, indica il soggetto e astrologicamente il Sole. Lettura, come si vede, complessa, simbologica, a due sensi, con valenze anche astrologiche.
Non sarà qui possibile analizzare in dettaglio i restanti Arcani: in breve ne ricordiamo alcuni.
La Papessa, astrologicamente la Luna, ha potere divinatorio e significa saggezza. Il Papa è ritualismo, metafisica e corrisponde a Mercurio. Il Carro è vittoria, invito alla prudenza: in coppia con la Torre, il suo opposto, determina l’intelligenza alle prese con la materia. L’Impiccato (il Traditore) indica sacrificio o sogno, il vedere le cose del mondo alla rovescia, contrario a quello degli occhi corrisponde a Urano: forse lo spunto alle raffigurazioni del “monde à l’enverse” a partire da Hi. Bosch. Il Sole sta a significare felicità, luce eterna. E così via.
Come si vede gioco complesso, misterioso ma anche chiarissimo in senso simbolico-esoterico: gioco senza fine, universale, può riempire una vita. E poi la correlazione degli Arcani con le costellazioni dello Zodiaco: la Giustizia correlata con la Bilancia, il Sole con i Gemelli, il Carro con l’Orsa Maggiore. Pozzesi ha visto i tarocchi anche come carte nautiche di un “popolo del mare” giunto in Europa, ove alle connotazioni astronomiche si sarebbero aggiunte – sulla base di un enigmatico messaggio – gli Arcani maggiori che cono- sciamo oggi.
Illazioni sul ruolo dei Templari e dei pellegrinaggi a Santiago de Compostela e persino della leggenda del Sacro Graal e delle virtù alchemiche su questi simboli non sembrano meritare seria conside- razione, anche se non si può escludere che qualche cosa del simbolismo ad essi collegato, possa in qualche sorta aver “aggiunto” qualche significato peculiare ad una o all’altra delle singole carte.
Il celebre filosofo della matematica e logica ad Oxford, Sir Michael Dummet, profondo studioso dei Tarocchi, li definisce il "gioco dei giochi", il cui fascino è riposto nell'infinità possibilità di combinazioni legate alla fantasia del giocatore.
I tarocchi sarebbero quindi “un manuale, un vocabolario, un insieme di scoperte, di deduzioni, di segni lucidamente connessi, alcuni forse irrealizzabili, altri soffocati”, come felicemente li definisce Paolo Pozzesi nella presentazione dei tarocchi “Alitalia”. Tali ci piacerebbe averli in sintesi rappresentati e tali verosimilmente li interpretarono, nella giusta stagione, le nobili dame raffigurate nell’affresco milanese. Poche cose sono così serie quanto il gioco.
(Conversazione tenuta al Rotary Club Milano Est presso il Circolo Mozart il 17 Luglio 2002)
Immagini a commento:
La consultazione da O.Wirth incisione fine sec.XVI
Il gioco dei tarocchi (affresco, oggi sinopia, inizio XV sec.)
Mazzo Visconti – Sforza: La stella, Il Mondo
La Luna. Tarocchi con lettere ebraiche
L’appeso o impiccato. Mazzo di tarocchi italiano
Il trionfo della Pudicizia e Il trionfo della Morte di F.Petrarca (cod.905)
Il trionfo di Bacco, Cima da Conegliano
Re di spade. Mazzo tarocchi di Giovanni Novak
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