Anno 5 - N. 15/ 2006


Caffè delle Muse

Angelo Giaccone

di  Francesco Piscitello



Porta Venezia

Tavola di Giannino Grossi


Da Stendhal in poi si ha talvolta l’impressione che Milano sia più amata da chi milanese non è, pur risiedendovi, che dagli autoctoni. Sicuramente lo è da parte di Angelo Gaccione, narratore, poeta, drammaturgo, saggista: cosentino per nascita, milanese per adozione.
Sulla meridionalità di Gaccione è difficile aver dubbi. Lo tradisce non solo l’accento ma la cultura; lo tradisce l’amore per i cibi della sua terra, per i piatti dei quali descrive con appassionata minuzia ingredienti e ricette; lo tradisce la nostalgia per quel mondo contadino del sud così simile, per fondamenti e valori, al nostro e a tutte le campagne del mondo e così diverso, così specifico, per tradizioni e antropologia: avrebbe mai potuto un lombardo, per esempio, scrivere un racconto come L’incendio di Roccabruna dove già lo stesso toponimo odora così intensamente di sud? Ma al tempo stesso non sfugge, a chi lo conosca e lo frequenti, la sua indubbia milanesità. Per adozione, si diceva. Ma adozione di chi e da parte di chi? Di Gaccione da parte di Milano o di Milano da parte di Gaccione? Difficile dirlo. Certo è che Gaccione si prende cura della città che ama come quando, indignato per certi orribili sopralzi che deturpano l’armonia delle forme di vecchi stabili, tanto dice e tanto fa che riesce farne imporre la demolizione o quando riesce a far collocare - custode severo e occhiuto della memoria cittadina - targhe sulle case dove hanno soggiornato glorie nazionali che una distratta amministrazione comunale ha trascurato di esporre. Quando poi generosità ed entusiasmo incontrano la passione civile esce il meglio di Gaccione: amico e sodale di Carlo Cassola fonda con lui un movimento per il disarmo unilaterale le cui idee ed i cui propositi costituiranno, alla scomparsa del grande narratore, un importante lascito al movimento pacifista del nostro paese. Indignazione, utopia, costituiscono l’humus anche della più recente iniziativa dello scrittore cosentino: il periodico “Odissea”, un bimestrale di cultura, fondamentalmente letteraria, ma anche di riflessione sulla società, sul costume, sulla politica, che si avvale della collaborazione di una parte cospicua dell’intellettualità milanese e non, nazionale ed internazionale. Però Gaccione è perfettamente consapevole del valore, della forza ma anche dei rischi dell’utopia, sa quanti crimini sono stati perpetrati in suo nome: ed ecco che, memore di Goya - el sueño de la razòn produce monstruos - non dimentica di affiancare la ragione alla passione, di porre anzi la ragione al servizio della passione, che rappresenta la filosofia di base di questo bimestrale.
Milano in versi: una città e i suoi poeti (Viennepierre - Milano, 2006), curata da Gaccione, è l’ultima fatica dello scrittore cosentino-milanese: un’antologia poetica di autori vecchi e nuovi, noti e meno noti, che fa seguito ad una trilogia - Milano, la città e la memoria, La città narrata e Poeti per Milano della stessa casa editrice - che contiene anche una poesia del curatore, che proponiamo al lettore:


CITTÀ MIA

Ci fosse un’altra vita dopo questa
io tornerei da te
a mescolare la mia terra con la tua
a impastare vita con la vita
a farti caldo il cuore.
Ti abbraccerei per implorarti e dirti:
madre, madre grassa di pianura,
lascia che il tuo porto sia ospitale,
accoglili e piegati al dolore;
fraterna sia pietà, pietoso il dono,
sopporta come madre
le ferite.